Parcheggia la sua Bmw 430i, blu estroil elettrizzante. Gli chiedo se posso dargli una mano, mi ringrazia e mi dice di no, si prepara la carrozzina e scende dalla sua auto senza nessun aiuto. Silvano Casali, 26 anni, di Vogno di Toano, è diventato paraplegico a causa di un terribile incidente avuto ai tempi delle superiori. Con un’ironia e una voglia di vivere ineguagliabili si accinge a raccontarmi la sua storia. Sprigiona luce, forza, un’energia autentica, quella positività che tante persone, spesso, perdono davanti a difficoltà, al confronto, insignificanti.
La tua disabilità deriva da un incidente. Quando e come è successo?
Avevo 17 anni, durante le vacanze estive lavoravo in un ristorantino vicino a casa. Era alta stagione, dopo tre giorni di lavoro molto intenso il capo mi aveva dato mezza giornata libera. Ero andato a trovare la mia fidanzata a Castelnovo, in moto, e mentre tornavo indietro, poche curve sotto casa, ho avuto un incidente. Un frontale con un’auto.
Ti ricordi bene il momento dell’incidente?
Sì, non sono mai svenuto, sono rimasto lucido dall’inizio alla fine, mi ricordo ogni cosa. Ero in scooter, stavo ascoltando prima ‘Balliamo sul mondo’ e, quando ero a terra, ‘Sogni di rock’n’roll’, avevo una cuffia sotto al casco. Mentre ero sdraiato a terra ho pensato: ‘Qua ci sto lasciando le penne, aspetta che mi fumo l’ultima sigaretta’, ma è arrivata la volontaria della Croce rossa e mi ha detto: ‘Non ti azzardare’, me l’ha presa e me l’ha portata via.
E poi?
Sono stato portato in ospedale, ho fatto 12 giorni a Parma e 6 mesi a Imola, a Monte Catone. La mia colonna vertebrale si è rotta in due punti.
Chi ti ha comunicato che avevi perso l’uso delle gambe?
Non mi ricordo, ma io me lo sentivo già. A un’infermiera ho chiesto se potevo tornare a saltare sugli alberi, lei mi ha detto: ‘Se qualcuno ti mette su un albero più in alto puoi cadere su quello più basso’.
Come hai preso la notizia?
Io sono un caso a parte, ho visto mio zio che avuto un incidente simile al mio. Quando sono nato, nel ‘92, lui era già in carrozzina, l’ha avuto nel ‘90. L’ho sempre visto divertirsi e fare tutto, di conseguenza, quando mi è capitato, non mi è sembrato niente di insormontabile, sapevo che non mi avrebbe precluso niente.
E quando sei tornato a casa?
Quando mi mandarono a casa, era gennaio 2011, un venerdì, tornai subito a scuola. Non mi sono preso tempo per dormire o aver troppo da pensare, se esiti un secondo in più è finita.
All’epoca dell’incidente dunque studiavi ancora. Che scuola facevi?
Frequentavo l’alberghiero a Castelnovo Monti, mi piaceva cucinare, e sono riuscito a finire la scuola. L’ho continuata anche in ospedale e gli ultimi sei mesi sono riuscito a finirli a scuola.
Com’è stato tornare a scuola? E come l’hanno presa i tuoi compagni di classe e professori?
Mi sono reinserito normalmente. Anzi, è stato divertente da matti: con la scusa che sei in carrozzina tutti ti voglio portare in giro. Facevamo corse per i corridoi, acrobazie, sembrava di stare al parco giochi. Poi i prof che non ti sgridavano mai, devi essere bravo anche tu a non approfittartene troppo. È stato veramente bellissimo.
Come l’hanno presa i tuoi genitori e gli altri tuoi amici?
Mio zio mi disse: ‘Ricordati che adesso vedrai gli amici veri da quelli non veri’. Non volevo credergli. Questo è stato un po’ doloroso. In pochi si sono rivelati quelli buoni, ma poi quelli ci sono sempre stati. Mio papà, quando mi è successo l’incidente, è invecchiato di 10 anni, e mi è dispiaciuto davvero molto, erano 12 anni che aveva smesso di fumare e aveva ripreso (ora ha di nuovo smesso). Ho sempre avuto vicino a me i miei genitori e mia sorella, sono fortunato anche dal lato della famiglia. Mi hanno sempre spronato a fare il meglio, e se avevo bisogno c’erano.
Nonostante l’incidente sei riuscito a concentrarti nello studio?
Ci ho messo anche più impegno rispetto agli altri anni, volevo passare con un bel voto. Mi ricordo che all’esame avevo portato la guerra del Vietnam. Sono uscito con 85/100.
E una volta diplomato cos’hai fatto?
Negli ultimi mesi di scuola avevo preso anche la patente (e da lì è nata la mia passione per le auto). Con la patente ho iniziato a giocare a basket prima a Reggio e poi a Parma, serie A2, ho giocato per quasi due anni, finché non ho avuto problemi al collo. Mi è venuta una patologia abbastanza rara, la siringomielia.
Come ti sei accorto di questa malattia?
Me ne sono accorto mentre stavo giocando. Mi hanno fatto cadere con un bruttissimo fallo e per una frazione di secondo non ho mosso niente.
Hai dovuto subire un intervento?
Ho avuto un intervento alla fine del 2013, poi un altro a metà del 2014. Sono stati più tosti dell’incidente. Fisicamente mi sono ripreso subito, però l’ansia era tanta: hai la sensazione come di avere una bomba a orologeria nel collo, che, anche se disinnescata, sai di avere lì e speri non si riattivi mai.
Hai dovuto abbandonare il basket?
Sì, mi hanno detto che non potevo più fare sport ad alto livello. Mi sono tenuto la palestra, con non troppi pesi, il nuoto, e ogni tanto la bici, ma poca roba.
Dopo quegli interventi sei stato bene?
Sono stato bene fino al 2017. Poi, nel 2017, ho avuto la piaga da decubito, che è abbastanza comune a tanti in carrozzina. Quella mi ha fregato. Mio zio l’aveva avuta, avevo capito che era qualcosa di pesante, ma finché non la provi non puoi capire davvero. Ho fatto 13 mesi d’ospedale, pesanti. Però ho avuto tanto di quel tempo, a letto 24 ore su 24, che anche una brutta esperienza ti lascia interiormente qualcosa. Impari ad apprezzare molte più cose, apprezzi di più il tempo, riscopri di avere qualcosa dentro di veramente profondo.
Nonostante tutto sei riuscito anche a lavorare in questi anni.
Dal 2011 al 2012 ho lavorato un anno in comune a Toano, poi un anno alla GorFar a Cavola. Dopo i due interventi, ho fatto qualche anno sabbatico, un po’ perché non si ritrovava niente, poi perché nel 2015 ci ho messo un po’ per riprendermi. All’inizio del 2017 avevo lavorato 15 giorni per la Microlog, un’azienda di Sassuolo, poi ho avuto la piaga da decubito. Al lavoro mi avevano detto: ‘Pensa a guarire che noi ti aspettiamo’. Dopo che sono uscito dall’ospedale, a marzo, e sono guarito, ho fatto un periodo che potevo stare seduto solo 3 ore al giorno, si aumenta pian piano, appena ho avuto abbastanza ore da poter riprendere li ho avvisati, e nel giro di poco mi sono rimesso a lavorare lì. Ho riniziato il 22 ottobre. Per adesso sta procedendo tutto regolare.
A cosa pensavi in quei 13 lunghi mesi in ospedale?
Ho letto molti libri e ascoltato tanta musica, spesso pezzi che riflettevano la mia sofferenza, a volte per evadere, a volte per rincuorarmi, a volte per sovrastare i pensieri. Ho anche approfondito il mio fanatismo per le macchine, ho studiato come preparare la mia auto, e appena sono uscito ho cominciato a corre in pista a Modena. La prossima tappa punto a Monza. È un’esperienza da provare, ti migliora lo stile di guida, poi quando duelli con altre macchine ti senti il Niki Lauda della situazione.
Cosa provi quando sei al volante?
Non penso a niente, passato, futuro, ci siamo solo io, la strada e la macchina, con tutte le sensazioni ed emozioni che essa ti può dare. È una passione che ho sempre avuto, prima con gli scooter, poi con le auto. All’inizio era solo una cosa a livello di estetica e marchio, ora è una passione più a 360 gradi.
Com’è la tua giornata?
Inizio il lavoro alle 8,30 e finisco a 12,30. Al pomeriggio faccio sport e una volta a settimana studio tedesco. M’interessava imparare una lingua in più, ne ho parlato al lavoro e ho scelto questa perché poteva essermi utile.
Quali sono le tue mansioni nell’azienda dove lavori?
Controllo qualità sulle telecamere.
Benissimo, i miei colleghi sono tutti simpaticissimi, sempre pronti a darti una mano e poi persone di spirito e compagnia.
Come trovi l’ambiente fisico intorno a te in generale, ci sono tante barriere?
Barriere architettoniche ce n’è a nastro ovunque. Poi tutti ti sembrano più alti , anche chi è 1,68 ti sembra 1,85. Se c’è una barriera architettonica che proprio non riesco da solo a superare, chiedo sempre a qualcuno, altrimenti si limitano i posti dove devi andare e le cose che potresti fare.
Ti piace viaggiare?
Ogni tanto, amo casa mia, difficilmente mi sposterò da lì, però anche il mondo è interessante, vedere culture diverse e provare cucine diverse. Una cosa metodica che faccio quando viaggio è andare sempre a visitare il quartiere della moda di ogni città e assaggiare piatti e vini tipici. Sono stato in Francia e a Londra. Nel 2016 sono stato in Giappone 11 giorni con mio cugino, dal punto di vista paesaggistico è molto simile a come me lo aspettavo, culturalmente mi è piaciuto molto, le persone sono fantastiche. Avevo tre sogni nella vita, uno era quello, ce l’ho fatta a realizzarlo.
Gli altri due sogni?
Eheheheh.
Tirando le somme, la tua vita è cambiata?
Me la vivo alla grande, paradossalmente l’incidente mi ha aperto molte porte e offerto molte opportunità.
(Giuliana Sciaboni per Tuttomontagna)
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La lettera di ringraziamento di Silvano Casali
Gli anni del primo ventennio del XXI secolo, nella nostra società, si possono riassumere in un unica parola: frenesia. Questa condizione ci porta a vivere una vita al limite delle nostre condizioni psicofisiche, facendoci perdere sempre più di vista quelli che sono i pilastri della vita privata e sociale, i valori. Questa lettera è dedicata alle persone che di questi valori ne fanno un modello di vita, ma andiamo per gradi, prima vi racconterò una breve parte della mia storia.
Quando diventi paraplegico, la tua vita viene stravolta da numerosi cambiamenti, sia positivi sia negativi. Questi cambiamenti ti costringono a rivedere tutti i tuoi progetti e la tua carriera lavorativa.
Sin da bambino amavo cucinare, così a 14 anni scelsi la scuola alberghiera per fare della mia passione un lavoro. Nell'estate dei miei 17 anni lavoravo come cuoco, ma durante il mio turno di riposo ebbi un incidente stradale, e persi l'uso delle gambe. Quando sei sulla carrozzina ti si apre un mondo completamente nuovo, quello vecchio svanisce, e così di un sogno resta solo un ricordo. La sedia a rotelle è ingombrante, costrittiva e non riesce a muoversi fra le piccole cucine dei ristoranti, e le ore di lavoro ininterrotte sono insostenibili per un fisico martoriato da traumi e interventi, ancor di più dopo una piaga da decubito.
Così ti devi adeguare, e ti metti dietro a un computer, anche se è l'ultima cosa che avresti pensato di fare nella tua vita. Pian piano metabolizzi e lo accetti, ti fai nuovi amici fra i colleghi e vai avanti felice e contento, quando si riesce. Sì, perché non sempre si riesce, non tutte le aziende sono accessibili per la carrozzina, non tutti assumono, “c'è crisi”, dicono. E poi, siamo onesti, un cuoco, per quanto impegno ci possa mettere, non è un impiegato, algoritmi e fatture non sono neanche lontanamente paragonabili a padelle e gamberetti.
Ma dopo anni di pazienza, finalmente, trovi una piccola azienda che ti assume, viene in contro alle tue esigenze, e ti valorizza perché crede in te. Il martedì ti fa il colloquio e il lunedì seguente sei già assunto e operativo. Ma la sfortuna vuole che dopo soli 15 giorni di lavoro una piaga da decubito mi ha costretto a 13 lunghi e dolorosi mesi d'ospedale, con un’unica certezza data da una promessa: “Pensa a guarire, che noi siamo qui ad aspettarti”.
Scrivo questa lettera per ringraziare ed elogiare la ditta Microlog Srl di Sassuolo, che ha onorato la parola data, riassumendomi immediatamente appena rimessomi in salute, e riaccogliendomi a braccia aperte. Ringrazio anche che al mondo ci siano ancora persone così, che dei valori fanno un proprio credo.
(Silvano Casali)