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SocialMonti/ Cosa ti regalo? E’ tempo di doni, dona presenza

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Questa rubrica vuole essere un luogo di spunti per stimolare una riflessione corale e collettiva su temi di attualità. L’idea è quella di partire dal nostro territorio verso cerchi più ampi, o vice versa ascoltare gli echi lontani e portarceli vicini.

(Ameya Canovi *)

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Buon Natale. È la frase che sentiamo più ripetere ogni anno quando ci avviciniamo a questa ricorrenza. Cosa significa un “buon” Natale? Non esiste una connotazione unica. Per alcuni fare un buon Natale significa aver scampato il pericolo di una diagnosi funesta, significa avere vicini ancora i propri cari. Magari potersi permettere un viaggio o ricevere un regalo atteso da tempo. Per altri invece questo periodo dell’anno è un fastidio. Il troppo sfarzo, un’allegria stereotipata, fare festa a tutti costi possono risuonare come una forzatura. Per chi ha perso una persona cara, per chi non sta bene e fatica a trovare la voglia di sorridere, il Natale non è buono ma un amplificatore di dolore, fino a diventare un incubo, da attraversare in fretta, per abbassare il rumore, e tornare a toni meno atroci.

Foto Giuliana Maiorano

Di certo, chi lo vive con piacere si aspetta qualcosa o qualcuno di “buono” per Natale. Che può manifestarsi su un piano materiale, o su un piano simbolico, spirituale. Nel primo caso si ricerca con cura, talvolta in maniera sfrenata, un dono che dichiari, confermi, garantisca amore a chi lo doniamo. Nell’altro si fanno propositi, promesse e ci si ripromette. Di migliorare, smettere, impegnarsi, vivere, essere più felici. È comunque un momento di bilanci il Natale, un rito di passaggio. Un evento che ci mette in contatto con il tema della nascita e della rinascita.

In Occidente, perlomeno in Italia, il Natale comporta anche cibo ricercato, momenti di convivialità. Si intensificano gli inviti e le occasioni per scambiarsi auguri, pensieri, presenza. E forse è proprio la presenza che trasforma il Natale per tutti, credenti e non, in un momento per sperimentare lo stare  con. Comunione, con-unione.

Se abbracciamo questa circostanza come opportunità per riflettere sul nostro essere presenti, il Natale può assumere un significato profondo al di là delle luci e del consumo. Possiamo chiederci se ci siamo davvero in quello che facciamo, in quello che doniamo. Se viviamo il momento presente con totalità, saremo un presente per noi stessi e per chi incontriamo.

Che il Natale allora sia pieno di questa presenza, con responsabilità e ascolto di noi stessi e dell’altro, cogliendo l’occasione per stupirci e meravigliarci ancora del miracolo della vita. E per dire grazie.

«Tutto è ormai una corsa. Si vive senza più fare attenzione alla vita. Si dorme e non si fa caso a quel che si sogna. Si guarda solo la sveglia. Siamo interessati solo al tempo che passa, a farlo passare, rimandando al poi quel che si vorrebbe davvero. Sul “poi”, non sull’ “ora”, si concentra l’attenzione.
Nelle città in particolare la vita passa senza un solo momento di riflessione, senza un solo momento di quiete che bilanci la continua corsa al fare.
Ormai nessuno ha più tempo per nulla. Neppure di meravigliarsi, di inorridirsi, di commuoversi, di innamorarsi, di stare con se stessi. Le scuse per non fermarsi a chiederci se questo correre ci fa più felici sono migliaia e, se non ci sono, siamo bravissimi a inventarle.»

Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra 

*Ameya Gabriella Canovi è PhD, docente e psicologa, si occupa di relazioni e dipendenze affettive. Da poco ha terminato un dottorato di ricerca in ambito della psicologia dell’educazione studiando le emozioni in classe. Ha un sito e una pagina Facebook “Di troppo amore”.