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“Una storia dal cuore in gola” di Dilva Attolini

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Riceviamo e pubblichiamo

Mi piace scrivere storie in questo periodo. Quelle vere ancora di più. Questa è una storia vera. E’ una storia dolorosa, che più non si può, una storia dal cuore in gola.

La protagonista la chiamerò Sig, A, perché “a” è la prima lettera dell’alfabeto, e segna l’inizio. Se è una storia dolorosa, sarò un inizio doloroso. Vorrei commuovere tutti.

Riguarda la chiusura del Punto Nascita dell’Ospedale S.Anna di Castelnovo né Monti e la smobilitazione del reparto. Riguarda la chiusura di uno spazio dove, dalla prima costruzione dell’ospedale, sono nati i discendenti montanari di un territorio vasto come un terzo della Provincia di Reggio Emilia. I monti più alti appartengono al Parco Nazionale dell’Appennino tosco emiliano, tra i quali emerge, sul versante emiliano la dantesca Pietra di Bismantova. Il paesaggio è intenso e rilassante, a camminarci dentro. Intenso anche per la ricerca del passato attraverso la cura dei percorsi matildici, fino a Lucca, Arezzo, Mantova. Dalla parte emiliana c’è il Parmigiano reggiano, La Valle dei Cavalieri, Cerreto con una notte buia una volta all’anno e Cerreto Laghi di inalterata bellezza con la neve e con il sole, Ligonchio e il ricordo della forza dell’acqua, Febbio con la Funivia sul Monte Cusna, il monte più alto della crinale, che ti porta su su, più vicino al cielo, dove non so se volano le aquile, ma dove puoi attardarti a pensare a un orizzonte diverso, quello del mare, e ricordare l’antico territorio di transumanza.

Dicono adesso che era da una stagione e mezza che se ne mormorava, già con l’arrivo dell’autunno, e poi con la neve. Lo chiuderanno il Punto Nascita, lo chiuderanno a primavera, dicevano le future mamme che avevano i loro contatti per la gravidanza. Ma come può accadere che venga presa una decisione del genere, tra mormorii confusi e senza che se ne dia conto alla popolazione per il dovuto rispetto? Oltre a tutto il reparto stesso era stato da poco ristrutturato e reso ancora più bello dall’intervento della Casina dei Bimbi? Noi comuni mortali non possiamo abituarci ai soldi spesi inutilmente. Cosa sta accadendo, allora?

In ogni caso, la politica seria si confronta con la popolazione; la politica è l’arte del convincere con argomentazioni serie e condivise, con dati e prospettive, con ragioni forti. Niente di tutto questo, da parte delle istituzioni solo un gran silenzio. Un silenzio di tomba. In più, senza troppo clamore, il cambio del direttore dell’Ausl. Mi ricordo che ne avevo sentito parlare, ma ancora indifferente, non volevo approfondire. Anch’io sono stata indifferente e me ne scuso. Tra i mormorii sulla chiusura e il cambio della direzione, il segnale era esplicito. Su tutti, allo scoperto un uomo, il dott. Nicolini, estraneo e sconosciuto, un politico di tempra dura, slegato dalla popolazione e senza legami con i montanari, anche se figlio di partigiano.

A Villa Minozzo, nel Comune dove si erge il monte più alto del nostro Appennino, è giorno di mercato. La giornata è soleggiata, è maggio. Anno 2015. Il paese è animato, le bancarelle, i negozi accoglienti, la gente compera e passeggia tranquilla, come se fosse un giorno come tutti gli altri. Non è così.  Il bar è animato, un caffè fa sempre bene. Una nonna e una mamma entrano, conoscono bene la barista, che con le spalle girate intenta a fare dei caffè, trova il modo si comunicare subito la notizia ufficiale. “Avete letto il giornale? Lo chiudono il Punto Nascita di Castelnovo!”  E’ primavera, appunto e la comunicazione è molto chiara. E’ la Regione che fa i piani sanitari, il  presidente della Regione si chiama Bonaccini.

La nonna si gusta il suo caffè un po’ confusa, non è preparata perché non conosce bene i termini della questione. Non è così per la mamma che ha un bambino piccolo nato all’ombra della Pietra. Si inalbera, subito, non è possibile, mormora, bisogna fare qualcosa. Nasce immediatamente l’idea di informare le donne e i cittadini, senza perdere tempo, per bloccare questa eventualità, prima che sia troppo tardi. Formare un gruppo è la prima idea, da soli si è sicuramente perdenti. Il nome dell’iniziativa salta fuori in un attimo, la parola magica è cicogna; a questa parola se ne aggiunge subito un'altra: salvarle le cicogne; poi montagna verrà aggiunta in seguito, noi siamo gente d’Appennino.

Le cicogne nell’immaginario sembrano riconquistare il territorio, con la forza delle parole. Prima di sera la pagina Facebook comparve in rete, ottenendo in pochi giorni molti mi piace. Ecco, le cicogne speravano di continuare a volare serenamente, iniziando un nuovo primo volo da Villa Minozzo.

Tutto facile? Affatto. All’inizio sembrava di sì. In ordine cronologico: un appello in rete e un appuntamento per formare un gruppo, poco dopo la costituzione del Comitato: Salviamo le Cicogne, legittimamente protocollato presso il Comune di Castelnovo né Monti, poi la decisione di fare una raccolta di firme, ne raccoglieranno più di undicimila su una popolazione di poco più di trentaduemila abitanti.

Torniamo per un attimo alla protagonista dentro questa storia. Con l’anno nuovo, 2016, la Sig. A era diventata mamma. Aveva partorito uno splendido bambino, un montanaro, in un ambiente ideale, con un’attenzione assistenziale che ha sempre definito superba. Ironia della sorte, questo bambino, come avvenimento propiziatorio del futuro, era diventato parte di un filmato che gli studenti delle scuole superiori avevano dedicato al territorio: Appennino in a day. La sua venuta alla luce voleva essere un simbolo di rinascita.

Intanto il gruppo “Salviamo le cicogne di montagna” continuava  nell’opera di sensibilizzazione. La cosa più importante ai loro occhi, oltre al coinvolgimento degli abitanti, era diventato l’appoggio delle Istituzioni, in particolare dei Comuni, capisaldi in difesa dei servizi, con i rappresentanti eletti dalla popolazione a loro protezione. Era della luce tracciante non solo dei Sindaci, ma delle Giunte, dei Consiglieri tutti, che le cicogne avevano bisogno per volare, oltre al tempo favorevole. L’inghippo arrivò, eccome.

Ma anche le cicogne sbagliarono. Inviarono da approvare un ordine del giorno scritto e imposto senza mediazioni preventive. Le Giunte dei Comuni guardarono più alla forma che alla sostanza, in poche parole ne uscì un pandemonio, solo il Comune di Toano approvò l’Ordine del Giorno.

Riflettendo ora, con tracce di ironia, credo che le cicogne abbiano fatto un altro grosso sbaglio. Si erano illuse che la loro iniziativa fosse lodata. Io credo che se tutti i Comuni avessero voluto difendere il servizio, avrebbero per primi attivato una protesta, coinvolgendo gli abitanti. Loro stessi, gli Amministratori, si sarebbero ribellati al partito che guida la Regione. Forse avevano le mani legate. Perché i vertici di questa area politica sono supponenti, credono sempre di avere ragione, vanagloriosi, come a livello nazionale, sfasciano per affermarsi.

Non posso non pensare a vecchi tempi, non vecchissimi, a quelli appena andati, e in particolare a un uomo, Giuseppe Battistessa, con la sua andatura sbilenca e i giornali sotto il braccio. E’ solo una mia nostalgia, perdonatemi. Penso che se fosse stato ancora in mezzo a noi, i capi della vasta pianura avrebbero fatto fatica a prendere certe decisioni. Era un lucifero custode, un estremo difensore. Facevo parte del Comitato Consultivo Misto insieme a lui. Conosceva ogni cosa, ogni numero, aveva memoria di tutto.

Poi ci hanno intontito che chiudevano il Punto Nascita per la sicurezza. E’ una parola importante la sicurezza, sapevano che su questa parola potevano contare. Fra poco vi racconterò ciò che è accaduto alla Sig. A. a proposito di sicurezza. Prima, però, devo ricostruire altri momenti della vicenda complessiva.

Una sera, in teatro, su questo argomento, c’era a quel lungo tavolo, sul palco, chi con ardore difendeva questo presidio, documentando il suo racconto, si accalorava dicendo che la sicurezza c’era nel loro lavoro, bastavano poche cose per assicurarla anche al Punto Nascita, che la soluzione era possibile.

Io mi illudevo, ricordo, a sentire quelle parole, perché la nascita è l’avvenimento più bello della vita, non è una malattia!, inoltre il nascere in un posto o nell’altro non è indifferente, la nascita è un legame così profondo da scolpire nel cuore una identità, un sentire affettuoso, un desiderio di ritorno se gli eventi ti conducono altrove. In più, nel nostro specifico, contava l’ampiezza del territorio, quelle strade tortuose, e lunghi cammini e la difficoltà di immaginare realmente cosa sarebbe accaduto alle nuove generazioni, alle giovani donne future madri.

Ma c’era anche chi, pur essendo nato vicino alle radici dei castagni, come tanti di noi, raccontava che la chiusura del Punto Nascita non avrebbe cambiato il mondo e il nostro futuro. Ricordo le parole precise. -Che sarà mai, tutto il percorso di assistenza e accompagnamento al parto sarà seguito in ospedale, solo nel momento della nascita si va a Reggio, cittadini per il primo giorno, poi si torna su, tranquillamente.

Affermazione che aveva scatenato altro pandemonio, questa volta, nella platea. Si torna su, ma dove, a casa, in reparto? Molti in sala avevano capito subito che l’idea era assurda.

Si procedette comunque. Le istituzioni si affidarono a delle commissioni che non aggiunsero niente di nuovo; Salviamo le cicogne di montagna proseguirono con iniziative, incontri, richieste. In questi incontri a spiegare le cose e il perché di queste scelte, non si presentarono mai né Nicolini, né Bonaccini. Il pretesto era che avevano paura di essere aggrediti. L’ho scoperto in questi giorni. Accidenti, fatico a credere che sia vera questa affermazione. Dovrebbero saperlo che siamo gente seria, non aggressiva. Terremo conto dei suoi timori, soprattutto alle prossime elezioni regionali, così Bonaccini dormirà sonni tranquilli.

Sono passate molte stagioni dall’inizio di questa storia. Il Punto Nascita è stato chiuso, inesorabilmente, il 4 ottobre 2017.

Arriviamo al presente. Ultimamente, piano piano, il dialogo si è logorato tra il Comitato, le Istituzioni, e il Partito che governa la Regione con a capo il non laureato Bonaccini, diploma di liceo scientifico. Chissà se ama le storie.

Ma dovrà ascoltarla questa volta, spero. Intanto La Sig. A è in attesa del secondo figlio, può ora sperimentare il presente. Il percorso è seguito dal Consultorio. Avrebbe voluto una bambina, invece è un altro maschio, ma non si può avere tutto dalla vita. L’importante che vada tutto bene, che tutto si svolga in assoluta sicurezza. Ce l’hanno raccontato che mandano le donne a partorire in città per la sicurezza. Non c’era nessun altro motivo, facevano sapere coloro che in Regione decidevano i nostri destini.

Tutti i controlli procedono bene. Ma un giorno, può capitare, la Sig. A non sta bene, ha dell’affanno, è molto stanca, forse un principio di influenza, chissà, qualche battito le risuona forte in petto. La Sig. A ha paura. E’ al quinto-sesto mese di gravidanza. La prossima visita di controllo programmata ci sarebbe stata dopo quindici giorni. Telefona per sapere cosa può fare. Sono le dieci del mattino. E’ una situazione diversa dai controlli normali. Che fare? La Sig. A percepisce la difficoltà dell’operatore, che non sa cosa consigliare.

Senta un po’ presidente Bonaccini… come va a finire questa storia vera.

La Sig. A si sente consigliare di rivolgersi al Pronto Soccorso di Reggio Emilia. Al Pronto Soccorso!!! A Reggio Emilia!!! Un’ assurdità. Se tutto procede bene, il Consultorio è organizzato e l’assistenza ha molti contenuti di aiuto. Ma se nascono problemi imprevisti, non da 118, non è chiaro cosa si può fare. C’è il nostro Pronto Soccorso e il Reparto di Ostetricia e Ginecologia, ma per le donne in gravidanza non servono questi servizi, con il loro pancione devono andare verso Reggio, dove è là che partoriranno. Contraddizioni palesi di chi diceva, che sarà mai! Ci hanno chiuso il nostro Punto Nascita per la sicurezza, poi ci lasciano con altre insicurezze. Il Pronto Soccorso del Santa Maria Nuova non mi sembra il posto adatto. Posso dire che la Sig. A è disorientata per sé e per le donne montanare. Le incertezze fanno male, oltre all’insicurezza della distanza.

Un episodio del genere ha un significato preciso. Non è certamente la sicurezza che ha determinato la chiusura del Punto Nascita.

Hanno sempre detto, anche, che non è una questione di soldi. Allora perché l’ hanno decisa ed effettuata questa chiusura. I motivi per chiedere la deroga non mancavano. A mio avviso, e me ne assumo la responsabilità, la risposta si chiama MIRE.

MIRE: Maternità Infanzia Reggio Emilia. Poteva essere un progetto bellissimo, se fosse stato pensato per la città e dintorni. Un luogo per migliorare le conoscenze, le prestazioni, da riversare poi sulla provincia. Ma l’hanno pensato come un supermercato delle nascite, un megastore, un Iperpuntonascita. Costosissimo, 35 milioni di euro, pensato per cinquemila parti l’anno, per cui prima o poi tutte le donne incinte della provincia dovranno andare a partorire lì.

Penso che chiuderanno anche il Punto Nascita di Guastalla, oltre agli altri. Posso sbagliare costi e dati e previsioni, ma in articoli su Redacon ho chiesto alcune volte che venissero a spiegarcelo il MIRE. Nessun incontro, neppure documentazioni sui giornali. Non so rassegnarmi a pensare al futuro delle nostre giovani donne, discendenti del nostro destino, che per avere un bambino saranno costrette a situazioni di incertezza, a lunghi viaggi, con tanti disagi e difficoltà, e importanti costi famigliari. Non si può non ostacolarlo così come è stato pensato. Anzi vorrei sapere chi lo ha “partorito”, è il caso di dire.

Una storia mette in evidenza i buoni e i cattivi. Tra i buoni chi si è opposto, tra i cattivi chi ha imposto, in Regione, per vanagloria, la chiusura del Punto Nascita. Tra i buoni e i cattivi gli indifferenti, anch’io lo sono stata indifferente. Ora non voglio più esserlo. Speriamo non sia troppo tardi.

Dilva Attolini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2 COMMENTS

  1. Le mie posizioni politiche non corrispondono a quelle del partito “che governa la Regione con a capo il non laureato Bonaccini, diploma di liceo scientifico”, ma non mi sembra che il possesso di una laurea sia la precondizione indispensabile per essere, o farci divenire, un buon amministratore (o per saper amare le storie nel modo giusto, e questa merita di essere ascoltata), e il giudizio che legittimamente si può esprimere su chi ci governa, ai vari livelli istituzionali, dovrebbe riguardare il suo operato di “governante”, indipendentemente dal possesso o meno di un diploma di laurea (l’Autrice di queste righe mi scuserà se ne avessi frainteso involontariamente le parole).

    P.B. 24.11.2018