Era uomo di poche parole Nunzio Ferri, deceduto il 16 novembre a 98 anni, ma al suo funerale esponenti della sua famiglia, della comunità di Casina e di Cortogno gli hanno reso onore raccontando la forza, il coraggio e la dolcezza con cui ha affrontato le sfide della storia e della vita.
Era nato il 15 gennaio 1920 al Mulino di Cortogno, una borgata all’epoca piena di vita e abitata fin dal 1600 dalle famiglie dei Ferri, dei Giudici e dei Moscatelli, capaci di esprimere belle personalità ma anche funestate nel tempo da morti giovani, come ricostruisce il compaesano Piero Torricelli, cultore della storia locale.
Il primo ad essere colpito dalla malattia è proprio il papà di Nunzio, Giuseppe, che lo lascia orfano a 8 anni in una famiglia numerosa di cui si fa carico il fratello maggiore di 23 anni. Ben presto Nunzio impara a integrare il lavoro di contadino con quello di muratore, ma soprattutto impara a reggere la durezza della vita che si manifesta in tutta la sua tragicità durante la seconda guerra mondiale, quando, arruolato nell’artiglieria pesante di stanza a Bolzano, partecipa alla breve guerra contro la Francia e a quella ben più lunga del fronte greco-albanese, terribile per le condizioni in cui avviene.
L’8 settembre lo raggiunge nella caserma di Bolzano: “Sono stati attimi di grande terrore: durante la notte, mentre eravamo a letto a dormire, abbiamo sentito degli spari. Erano i tedeschi che sparavano contro la caserma per svegliarci. Man mano che andavamo fuori ci requisivano tutte le armi per evitare che opponessimo resistenza. Un po’ per volta ci hanno poi caricato nei loro camion per portarci a lavorare nei lager di Linz in Austria”.
È il nipote Matteo a dar voce al suo vissuto, raccolto in una intervista a Tuttomontagna rilasciata in occasione del conferimento della Medaglia d’Onore della Repubblica Italiana concessa ai superstiti dei campi di concentramento. Per Nunzio si susseguono diversi lager, ma in tutti le condizioni sono le stesse: fatica infinita, brodaglia e rape, talvolta la fortuna di un soccorso insperato: “Un giorno mentre andavamo a messa ci siamo imbattuti in un campo di patate. Subito io e i miei amici siamo andati a raccoglierne uno zaino e lo abbiamo nascosto nel bosco per evitare che venisse trovato in occasione dei controlli periodici. È stata una manna dal cielo, ogni tanto quando avevamo fame le andavamo a cuocere. Ovviamente non si lasciava nulla, neanche le pelli!”
Nunzio ha il coraggio di scappare insieme a un compagno di Fornovo, Pietro Vicini: “Il cammino di ritorno è stato particolarmente duro, ci imbattemmo anche in cadaveri, ma non abbiamo mai osato fermarci per evitare di fare la stessa fine. Si faceva l’elemosina per mangiare e per dormire cercavamo posti di fortuna come fienili in mezzo ai campi. Non andavamo mai a casa di altri per paura che ci trovassero. Tuttavia una notte abbiamo temuto il peggio. Come tutti gli altri giorni avevamo cercato riparo in un fienile. Durante la notte però sono arrivati alcuni tedeschi che hanno iniziato a fare delle ricerche. Abbiamo provato attimi di vera paura, poi Dio ha voluto che se ne andassero. È stata una notte molto lunga e ancora oggi ringrazio il Cielo per averci graziato”.
Poi fame, giorni e giorni di cammino; ma il primo maggio è a Bolzano, qualche giorno più tardi a casa: “La prima persona che ho visto è stata mia mamma, erano circa 4 anni che non la vedevo. Si è messa a piangere dalla felicità”.
Ma non c’è tempo di riposare e gioire, servono ancora forza e coraggio: “Ho cercato di superare subito l’orrore di questa guerra. Allora il cibo scarseggiava, c’era molta miseria per cui ho iniziato subito a lavorare nei campi e nella stalla e ho dovuto lasciare alle spalle tutto quello che avevo vissuto, per ricominciare. Il primo passo verso questa nuova vita è stato nel 1947 quando, in una festa a Beleo, conobbi la mia attuale moglie Berenice. Dopo un lungo fidanzamento di 6 anni nel 1953 ci sposammo e dopo un 2 anni abbiamo dato alla luce mio figlio Leandro, nel 1960 mia figlia Alida e nel 1966 mio figlio Alberto. Da allora io e mia moglie abbiamo dovuto fare tanti sacrifici per mantenere la famiglia ma ciò non ci ha impedito di essere felici e di goderci tutte le bellezze che questa vita giorno per giorno ci offre, che ho potuto apprezzare ancora di più dopo la difficile esperienza in guerra”.
Una saggezza cara ai familiari, agli amici che fino a pochi mesi fa lo hanno incontrato ogni giorno alla Casa Cantoniera o hanno potuto contare sulla sua vicinanza nella malattia, alla comunità di Casina che perde con lui uno dei grandi padri “che ci hanno costruito un futuro” come ha ricordato Piero Torricelli.
Giovanna e Redacon grazie per aver ricordato mio nonno in questo momento di passaggio a nuova Vita. Il suo esempio ci ha insegnato molto più di mille parole. Non l’ho MAI sentito lamentarsi, anche nei momenti più duri, MAI una parola offensiva rivolta a un’altra persona. La sua pazienza, la sua calma, la semplicità del vivere, i suoi valori come l’onestà, il rispetto e l’altruismo siano d’ispirazione per quanti lo hanno conosciuto. Grazie ancora.
Matteo Ferri