Inizia oggi la collaborazione con Redacon Francesco Giro, laureato in Lingue e Letterature Straniere, studente di Giornalismo e Cultura Editoriale.
È musicista, lettore e cinefilo: giramondo per passione, sognatore per indole.
Benvenuto da parte di tutta la redazione.
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Sfogliando i giornali nelle ultime ore, e cercando riscontro da un attento zapping, sono stato profondamente colpito da una notizia proveniente da est, dalla terra che più di ogni altra ci ha da sempre impressionato e appassionato con storie di tecnologia e informatica: in Cina hanno inventato un robogiornalista. Mi spiego. Non è la versione colta di Mazinga, e non spara razzi come Goldrake. È un semplice (si fa per dire) avatar che dispensa informazioni. L’agenzia di stampa cinese Xinhua e il motore di ricerca Sogou hanno unito le forze nella creazione di un anchor man completamente renderizzato (proiettato in tridimensione ndr), capace di leggere le notizie, ammiccare, annuire o borbottare come una persona – e giornalista – in carne e ossa. Gli è stato dato un nome (English AI Anchor), ed è stato ideato sulle fattezze di un noto cronista televisivo cinese, Zhang Zhao. Per non farsi mancare nulla, la Xinhua ha addirittura pensato a due differenti versioni: una in lingua inglese, e una in cinese.
Le reazioni del pubblico cinese non sono state probabilmente quelle sperate all’alba dell’invenzione: c’è chi lo ha definito ridicolo, chi si è impaurito nel vederlo, e chi continua a chiedersene l’oggettiva necessità. AI Anchor ha però la risposta pronta a dubbi e perplessità. Il suo esordio in tv è stato scandito da parole pacate (tipiche di un soggetto incapace di provare sentimenti, oserei dire) ma quantomai taglienti: “lo sviluppo dei media richiede continua innovazione e una profonda integrazione con le tecnologie internazionali”. Blade Runner scansati.
Sarà per coincidenza, o per uno strano e inspiegabile volere metafisico, ma fato vuole che la notizia mi arrivi proprio in concomitanza alla visione di un film di qualche tempo fa, Her di Spike Jonze, che forse tanto distante dalla realtà AI Anchor non è.
Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) è uno scrittore alternativo: scrive lettere intime e personali per conto terzi. Maestro delle relazioni altrui, non si può dire lo stesso della sua, tanto che incombe in una profonda depressione dettata dal fresco divorzio. Una nuova tecnologia gli cambierà però la vita: è Samantha (Scarlett Johansson), un sistema operativo dotato di intelligenza artificiale, capace di parlare e provare emozioni. Mi fermerò qui, per nulla anticipare a chi ancora non ha visto questa piccola perla.
È stata una frase in particolare a riportarmi alla notizia di cui sopra: “Sai, certe volte penso di aver già provato tutti i sentimenti che potessi provare e che d’ora in poi non proverò più niente di nuovo, ma solo versioni inferiori di quello che ho già provato”, in cui – nella mia associazione – i sentimenti citati possono metaforizzare le tecnologie che in ogni campo del sapere tendono sempre a rinnovarsi. Il protagonista di Her, in questo caso, ci dice che nulla è, o sarà, come quello che è stato (un amore finito male, si suppone). Mi piacerebbe pensare la stessa cosa. Almeno per quel che riguarda il robogiornalista di Xinhua: se condannare la “perversione” della relazione tra Phoenix e Johansson, tra Theodore e Samantha, appare semplice, perché non avviene lo stesso riguardo l’invenzione cinese? Siamo sicuri di avere la necessità di sostituire l’intelletto umano con un avatar tridimensionale? Siamo certi di avere il bisogno quasi fisiologico di progredire sempre e comunque, senza fermarci mai a quel “d’ora in poi non proverò più niente di nuovo”?
I rischi di innovazioni di questo tipo sono innumerevoli. Jonze, nel 2013, ci presentava su schermo una realtà distopica, apparentemente irraggiungibile, ma forse, non così lontana.
(Francesco Giro)