SocialMonti
Questa rubrica vuole essere un luogo di spunti per stimolare una riflessione corale e collettiva su temi di attualità. L’idea è quella di partire dal nostro territorio verso cerchi più ampi, o vice versa ascoltare gli echi lontani e portarceli vicini.
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Ho avuto il piacere di assistere al TEDx tenutosi a Reggio Emilia lo scorso 28 ottobre presso il centro Loris Malaguzzi. TED (Technology Entertainment Design) è un marchio di conferenze statunitensi, è diventato un format mondiale gestito su base no profit, organizzato da volontari in varie località con le sole forze economiche degli sponsor, dove sono proposte idee e pareri autorevoli che siano riconosciuti validi da diffondere. Inizialmente TEDx si focalizzava su tecnologia e design, in seguito il suo raggio di competenza si è steso al mondo scientifico, culturale e accademico. Il format è unico, le conferenze, chiamate talk, avvengono su un tappeto rosso tondo e durano diciotto minuti, con vari relatori che si alternano.
Il tema di quest'anno di TEDx Reggio Emilia, Humanity Beyond Humanity, riguardava il nostro restare umani oltre la tecnologia. Le dodici talk hanno sviscerato l’argomento ponendosi in maniera stimolante, talvolta provocatoria e conducendo sempre a una riflessione sulle nostre pratiche odierne.
Come possiamo non perdere la nostra umanità e combinare l’invito di Steve Jobs a restare affamati di vita e progresso, senza snaturaci e diventare macchine insensibili e fasulle? In questa nostra era di forte spinta tecnologica, di dipendenza dai social, da un'immagine patinata e falsata che ci porta a dipingerci perfetti, plastificati, finti. Chi siamo? Chi stiamo diventando? Cosa stiamo perdendo e cosa abbiamo guadagnato?
Il filo rosso di queste dodici conferenze è una chiamata alla consapevolezza, uno stato di allerta verso un cambiamento in atto cui non siamo preparati. I relatori hanno portato, direttamente o indirettamente, l'attenzione alla forte ambivalenza della tecnologia, ai rischi, ma anche alle potenzialità.
Ognuno di loro ha saputo creare una riflessione, un’emozione. Lisa Iotti, giornalista, invita allo stato di allerta dei tempi di attenzione che abbiamo sempre più brevi, alla compulsione a controllare email e notifiche, alla modalità di leggere un testo profondamente cambiata. Il nostro sguardo da lineare si è tramutato in scheggia impazzita vagante e illogica. La Fomo (acronimo di fear of missing out, la paura di restare tagliati fuori) porta a svegliarsi e leggere le email anche nella notte.
La ricerca ci mette in guardia dall’effetto branco della rete. Ivano Eberini ci ricorda il rischio di polarizzare i pareri e fomentare aggressività come nell’esperimento di Zimbardo, dove simulando il gioco guardie e ladri, i partecipanti iniziarono ben presto a comportarsi come aguzzini. La rete tuttavia non è in sé solo de-umanizzante. Offre infinite possibilità, che sono amplificate e alle quali non siamo preparati, spesso dimenticandoci che una volta postato in rete un contenuto, quello resta ed è per sempre. E rischiamo di diventare una farfalla imprigionata in una teca come sostiene Roberta Gilardi.
Perciò il prenderci una constante responsabilità dei nostri comportamenti in rete (come si presume nella vita reale) ci protegge dal diventare avventati, impulsivi, disumani, crudeli e insensati.
La giovanissima fotografa e content creator Sara Melotti svela la falsità del mondo di Instagram, guadagnandosi l’attenzione del New York Times, denunciando il pericolo del perseguire un’immagine irrealistica di felicità e impeccabilità: la perfezione è nemica della felicità. Il suo invito a restare umani ci porta a spostare lo sguardo dai profili patinati e costruiti, verso un impegno umanitario che dia un senso del nostro essere in rete, portando un contributo a chi sta peggio. Allo stesso modo il chirurgo Claudio Maestrini, volontario nelle missioni umanitarie in Africa, invita a una sinergia delle forze e delle competenze.
Toccante la testimonianza di Mikkel Matthiesen: io sono un ragazzo down e sono felice di vivere, la mia sindrome non è una malattia ma uno stile di vita. Come lui Giovanni Torreggiani, un ragazzo “zitto”, autistico e poeta capace di parole altissime: “Sarei sicuramente un campione, se tutti mi guardassero con in miei occhi”, scrive grazie alla tecnologia, regalandoci uno squarcio nel suo profondo e pieno mondo interiore. Così come travolgente è stata la testimonianza di Annalisa Rabitti, che ha trasformato il suo dolore di madre di un ragazzo “zitto” in impegno prima sociale poi politico sfociato in un progetto senza barriere per tutta la città di Reggio Emilia.
Il contributo scientifico, infine, esorta a riconsiderare il concetto di umano, alla luce delle nuove scoperte. La dottoressa Erica Francesca Poli ci conduce magistralmente a percepire la relazione che dal nostro DNA connette a parti di noi e all’esterno, come un’enorme catena umana di informazioni, suggerendoci, pertanto, di istruire le nostre cellule con amore.
Infine la tecnologia ci permette di vivere grazie a un trapianto o a operazioni sofisticate che salvano la vita, come sottolineano Marco Menegus e Roberto Mancin. L’intelligenza artificiale va a sostituirsi all’uomo laddove è possibile apportare migliorie, un robot può fare compagnia e far sorridere un bambino in terapia intensiva.
Resta il monito che senza umanità, che è nostra e soltanto nostra, non ci può essere totale competenza, come ribadisce Diego Ingrassia. Restare nel corpo, in ascolto delle emozioni ci proteggerà dalla de umanizzazione, dal processo di imbarbarimento a cui sembriamo andare incontro.
La capacità di commuoverci ci manterrà umani. Gli oratori di questo TEDx hanno sfiorato appassionatamente le anime dei presenti, trasformandoli in una platea profondamente partecipe, intensamente umana.
(Ameya Canovi *)
Fotografie Irene Ferri - Copyright 2018 | vietata la riproduzione
* Ameya Gabriella Canovi è PhD, docente e psicologa, si occupa di relazioni e dipendenze affettive. Da poco ha terminato un dottorato di ricerca in ambito della psicologia dell’educazione studiando le emozioni in classe. Ha un sito e una pagina Facebook “Di troppo amore”.