Nell’avvicinarsi della scadenza elettorale che il prossimo 31 ottobre vedrà sindaci e consiglieri comunali eleggere un nuovo presidente della Provincia ed un nuovo Consiglio provinciale, il presidente Giammaria Manghi ha presentato questa mattina il rendiconto del proprio mandato.
Quattro anni trascorsi alla guida di Palazzo Allende in veste di primo presidente della ‘nuova’ Provincia di Reggio Emilia come ente di secondo grado ridisegnato dalla legge 56/2014; quattro anni non semplici, anzi decisamente difficili, non tanto a causa “di una legge che presenta luci e ombre, quanto per la mancanza delle risorse indispensabili a garantire i servizi, a partire dalla sicurezza di strade e scuole superiori, che la Legge Delrio ci aveva comunque assegnato”. Ma quattro anni chiusi, nonostante tutto, con la consapevolezza di “aver comunque svolto un lavoro dignitoso e serio che ha dato riconoscibilità a un ente che ha saputo rappresentare un punto di riferimento nella scacchiera istituzionale del territorio” e con “l’umile soddisfazione di aver raggiunto, pur tra mille difficoltà, questo risultato: continuare a far percepire ai cittadini la Provincia come un ente serio, al contrario di quanto purtroppo è avvenuto in altre parti del Paese in questa lunga fase di indirizzi indefiniti”.
Non a caso, nel presentare agli organi di informazione il rendiconto di questo quadriennio, il presidente Manghi ha illustrato quale “dato principale con il quale ci siamo dovuti confrontare, prima ancora della rideterminazione delle funzioni in base alle Legge Delrio e alla successiva Legge regionale 13/2015, i pesanti tagli della finanza derivata, ovvero dei trasferimenti che ci sono venuti a mancare da parte dello Stato in particolare dopo la Finanziaria 2015: 112,9 milioni nell’ultimo quinquennio, in media 22,6 milioni in meno ogni anno, rispetto a una media di 3,2 milioni all’anno nel quinquennio precedente”.
Nonostante queste difficoltà, la Provincia di Reggio Emilia ha sempre deliberato i rendiconti in avanzo di amministrazione, rispettando il pareggio di bilancio e concorrendo al mantenimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale.
“E con il Bilancio 2018, il migliore del quadriennio grazie anche a una mutata attenzione da parte dello Stato, è stata inoltre ripristinata la capacità di programmazione finanziaria triennale, sancendo la ripresa del pagamento dei mutui avviati con la Cassa Depositi e prestiti, che ci permetterà di ridurre l’indebitamento, ed il ritorno a nuove assunzioni, 4 da qui alla fine dell’anno – ha aggiunto il presidente Manghi - Proprio gli avanzi di bilancio, unitamente a una politica di contenimento dei costi e a manovre straordinarie quali l’alienazione del patrimonio immobiliare non più strategico per l’ente, hanno consentito nel quadriennio di assicurare comunque consistenti risorse per la sicurezza di una rete stradale di 960 km e 630 ponti nonché di un patrimonio edilizio scolastico formato da 21 istituti superiori distribuiti in 64 edifici per una superficie di 198.700 metri quadrati frequentati da 21.779 studenti”.
Ecco allora i tagli alle sedi (passate da 7 a 4, con conseguente riduzione dei costi: Palazzo Allende, corso Garibaldi 26, piazza Gioberti e Villa Ottavi) e alle società partecipate (da 16 a 6: Autobrennero, Crpa, Aeroporto, Lepida, Agenzia per la mobilità e Gal). Ed ecco, soprattutto, il piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare non più strategico per l’ente che ha consentito di incassare 4,8 milioni di euro grazie alla vendita di Magazzini ex Car, Caserma dei Carabinieri di corso Cairoli, caseificio Zanelli, un terreno a Canossa e la casa cantoniera di Brescello, “mentre è in dirittura d’arrivo la trattativa privata per la cessione per 2,3 milioni di Palazzo Palazzi Trivelli, in piazza San Giovannino, salvaguardandone il valore e l’interesse pubblico.
“Bilanci virtuosi e forme inedite di finanziamento che ci hanno permesso di continuare a garantire, anche in questi anni, investimenti a favore della comunità”, ha aggiunto il presidente Manghi elencando le risorse comunque assicurate al territorio in questo quadrienno: 53,2 milioni per la strade, 34,2 milioni per le sedi e il funzionamento delle scuole superiori, 10,8 milioni di fondi erogati per il diritto allo studio. Altrettanto importanti, per il presidente Manghi, “l’aver portato a termine – attraverso il conferimento di 5.000 azioni Autobrennero, la ricapitalizzazione di Act per 3,2 milioni che altrimenti avrebbero gravato sui Comuni; l’aver continuato ad assicurare, unica Provincia italiana insieme a Napoli, il sostegno economico alle istituzioni culturali reggiane - I Teatri e Palazzo Magnani soprattutto, ma anche Istituto Cervi e Istoreco – a tutela dell’interesse collettivo; l’aver accompagnato, attraverso la presidenza della Conferenza territoriale sociale e sanitaria, momenti cruciali per la nostra sanità: dalla fusione tra Ausl e Azienda Santa Maria Nuova all’avvio del nuovo Pal, al progetto Sant’Anna plus”. E, soprattutto, essere riusciti a gestire senza alcun esubero la riduzione del personale – nel senso di dimezzamento della spesa - imposta dal Decreto Madia. Dai 391 dipendenti pre-Legge Delrio la Provincia di Reggio Emilia è scesa oggi a 161, “ma senza alcun esubero e, anzi, con il Bilancio triennale siamo riusciti a programmare nuove assunzioni”.
“Saranno fondamentali anche per continuare ad assicurare quello che è certamente uno dei grandi pregi, unitamente all’aver avvicinato i sindaci ad amministrare un ente di coordinamento territoriale, della Legge Delrio: ovvero la Provincia intesa come ‘casa dei Comuni’ - ha proseguito Manghi – In questi anni abbiamo svolto un prezioso
supporto tecnico e amministrativo ai Comuni, soprattutto i più piccoli, in particolare attraverso la Stazione Unica Appaltante che, istituita nella primavera 2015, vede ad oggi l’adesione di 3 Unioni, 17 Comuni e 2 Aziende di servizi alla persona e ha già istituito 46 gare di appalto per un valore di 21,4 milioni. Dal gennaio 2018, insieme al Comune di Reggio Emilia, la Provincia ha inoltre costituito l’Ufficio Associato Legalità per assistere tutti gli Uffici tecnici comunali nell’applicazione del Protocollo che ha introdotto più stringenti controlli antimafia anche nell’edilizia privata e nell’urbanistica. In questi primi mesi l’UAL ha ricevuto ben 330 pratiche, 323 delle quali già evase, e ormai di prossima attivazione è anche l’Ufficio Associato per la Sismica, richiestoci espressamente da tutti i Comuni reggiani, a parte ovviamente il capoluogo”.
Poi c’è il fondamentale ruolo di ente intermedio, previsto dalla Costituzione, svolto in questi anni dalla Provincia di Reggio Emilia su diversi fronti: dal Patto per rilanciare l’occupazione nell’Area Nord, fortemente colpita dalla crisi in particolare dell’edilizia, ai Tavoli di lavoro per assistere cittadini e imprese alluvionati, favorire il recupero del prestito sociale perduto a seguito del fallimento di cooperative del territorio, gestire i fondi di solidarietà a beneficio delle popolazioni terremotate, elaborare un piano anticrisi idrica in Val d’Enza.
E il futuro delle Province? “Credo non si possa escludere il ritorno all'elezione diretta da parte dei cittadini: la Lega in aprile ha depositato un disegno di legge che prevede di fatto il ritorno alle vecchie Province e nel Milleproroghe è stato individuato lo strumento, un apposito comitato tecnico in seno alla Conferenza Stato-Regioni, che dovrà delineare il percorso da compiere – ha detto il presidente Manghi - La 56/2014 era una legge di transizione verso le aree vaste, poi l’esito opposto del referendum ha interrotto quel processo ed è iniziata un’altra storia: il nuovo incarico in Regione mi vedrà impegnato anche a delineare gli effetti di questo cambiamento di prospettiva, aggiornando la Legge regionale 13/2015 anche in riferimento ai risultati che l’Emilia-Romagna otterrà attraverso l’importante cammino verso una maggiore autonomia avviato in base all’articolo 116 della Costituzione”.
Ma le Province, nuove o vecchie che siano, servono? “Sono indispensabili – conclude il presidente – perché la nostra architettura istituzionale ha assolutamente bisogno di un anello di congiunzione tra i Comuni e la Regione”.
In precedenza, il presidente Manghi aveva incontrato tutti i dipendenti in una Sala del Consiglio gremita per un “saluto sobrio e non celebrativo, ma vero”. “In questi anni ho vissuto la Provincia come una comunità – ha detto - Anni molto complessi e faticosi, anche per voi, forse non guidati con sufficiente luce da chi ci ha accompagnato ai livelli superiori”. “Nonostante tutto siamo arrivati a conclusione di questo non facile quadriennio riuscendo a far sì che la Provincia di Reggio Emilia continuasse ad essere giudicata come un ente serio, che ha un’anima e che è in campo: e credo che questo sia un riconoscimento che non va tanto al suo presidente pro tempore, ma a tutti voi, che pur tra mille difficoltà avete continuato a lavorare con serietà”, ha detto definendo questi “quattro anni una esperienza straordinaria che mi ha fatto crescere anche grazie a voi” e chiudendo ringraziando i più stretti collaboratori e ricordando Paola e Giustino, due dipendenti scomparsi.
Sul finale dell’articolo, il Presidente uscente, in ordine al futuro delle Province, ritiene che “non si possa escludere il ritorno all’elezione diretta da parte dei cittadini”, una eventualità che sarebbe probabilmente gradita a non pochi, ossia a quanti, ed erano in buon numero, non videro all’epoca con favore quella trasformazione che modificò volto e natura dell’Ente provinciale.
Ma non sarà comunque facile tornare indietro, rifare cioè Province alla vecchia maniera, e bisognava semmai pensarci prima, allorché – era la primavera del 2014, se ben ricordo – le forze di governo del tempo decisero di fare una tale scelta, cambiare cioè la fisionomia della Provincia togliendo giustappunto l’elezione diretta da parte dei cittadini.
Io non so se quella decisione sia stata presa per “attenuare” in qualche modo il vento dell’antipolitica di allora, ma più d’uno si interrogò sulle ragioni del voler cambiare un Ente che funzionava, e sul perché farlo senza attendere l’esito della Riforma costituzionale in gestazione (la quale riguardava anche le sorti delle Province, e il cui percorso si sarebbe concluso col Referendum del dicembre 2016).
Pur trattandosi di tematica e di circostanze diverse, mi viene da fare un parallelo con la “soppressione” della Comunità Montana, la quale era sentita da molti come un punto di riferimento, conosciuto e collaudato, e contribuiva inoltre a dare al nostro territorio un profilo marcatamente identitario, tanto che non manca chi la ricorda o ne parla con una certa qual punta di nostalgia.
Per chi crede in tale valore, anche la Provincia come la conoscevamo poteva ispirare alla identità territoriale, alla stessa stregua dei Comuni pur se con qualche differenza, ma al di là di questo aspetto, che può interessare soltanto qualcuno e non altri, mi viene da pensare che occorrerebbe procedere in ogni caso con prudenza e cautela quando ci si prefigge di intervenire sulla “architettura istituzionale”.
Un analogo discorso potrebbe valere anche per i cambiamenti tesi a riorganizzare e riconfigurare servizi dai lunghi trascorsi, e che nel corso degli anni, talora molti anni, hanno sempre corrisposto e ben figurato, tanto da meritarsi la fiducia degli utenti (talvolta si può essere indotti a cambiare puntando al risparmio, salvo poi accorgersi che non si genera alcun risparmio ma semmai non poco “malcontento”).
P.B. 05.10.2018
Vladimir Putin e Donald Trump comunicano con il mondo via @Twitter. In questo articolo non si esclude che si possa tornare alla elezione dirette delle province ,- mattone – di un “architettura istituzionale” istituito con il Regio Decreto n. 3702/1859 (c.d. Decreto Rattazzi). Un software di aggiornamento no?
Se non ne ho frainteso le parole, l’estensore del secondo commento pare propendere per uno “svecchiamento” della “architettura istituzionale”, in sintonia con l’evoluzione che c’è stata nel nostro modo di comunicare (del quale viene preso come esempio quello utilizzato dai Presidenti delle due “superpotenze” mondiali).
Io non so molto del “quadro istituzionale” vigente oggigiorno in USA, e potrei dunque cadere in errore ma, da quanto è dato di leggere o di ascoltare, mi sembrerebbe che in quel Paese, innegabilmente piuttosto avanzato sul piano tecnologico, non sia cambiato granché, in termini istituzionali, dagli anni della sua costituzione.
Ritengo, in buona sostanza, che Istituzioni e Tecnologia non debbano procedere per forza in parallelo, alla stessa velocità, perché si tratta di questioni diverse, da valutare con metri che non devono essere necessariamente equivalenti, e circa le leggi “ottocentesche”, non credo affatto che tutto ciò che sa di “vecchio” sia automaticamente da “rottamare”.
Che la tecnologia cammini veloce è altamente positivo, anche perché può aiutarci a dar risposta e soluzione a più d’un problema, fra i tanti dei nostri giorni, ma se un intero sistema corre e si trasforma in continuazione, rischiamo di tagliare ogni nostra “radice”, perdendo ogni punto di riferimento (fino a diventare una società “liquida”, come si usa dire).
Per concludere, il mio punto di vista è naturalmente opinabilissimo, ma io penso che se in una società non v’è qualcosa di durevole, o abbastanza stabile, come tradizioni, consuetudini, valori, ecc… – e ci metterei pure alcuni pezzi delle nostre istituzioni, per stare in argomento – viene a mancare quel “filo conduttore” da cui dipende la continuità generazionale, e anche la nostra identità (due aspetti che a me non paiono secondari)..
P.B. 09.10.2018