Tranquilli, nessuna intenzione di aprire un processo. Solo che, rimuginando frasi udite nell’infanzia, (avevo nove anni quando Don Mario è morto), il dubbio non l’ho ancora chiarito. Lo so che non si saprà mai la “vera” verità. Che poi, alla fine, a chi potrebbe interessare ormai? Vorrei comunque rispolverare quei dubbi almeno per onorare la memoria di un sacerdote umile e schivo, che seppe perdonare.
Si chiamava don Mario Muzzarini ed era parroco a Santo Stefano dal 1902, proveniente da Vallisnera. Dobbiamo a lui la costruzione del campanile che ora ammiriamo di fianco alla chiesa di Santo Stefano. Quello precedente, su l’altro lato, da tempo era rovinato addosso alla canonica, e non sappiamo con quali conseguenze.
Da quel poco che ricordo ed ho percepito Don Mario era uno di quei parroci che la gente considerava “uno dei nostri”. Non si esibiva in esternazioni politiche. Anzi, considerava la politica un male necessario, da ricondurre sulla giusta strada, e le sue aspirazioni non erano di certo quelle propalate sui giornali o nei comizi da coloro che, consapevoli o meno, seguivano l’andazzo dell’epoca.
Quando l’ho conosciuto io don Mario era già avanti con gli anni, e nostro parroco da più di quarant’anni. Era solito recarsi a Castellaro la domenica a celebrare la Messa per la gente del borgo. La prima la celebrava in parrocchia, la seconda nel nostro oratorio. Noi ragazzi stavamo di guardia davanti a casa e quando compariva sulla sua cavalla nella parte alta dei Poggetti avvisavamo nonna Aurelia che suonava i richiami con la campanella. Li suonava a mano perché, anni prima, un fulmine aveva scardinato la campanella dal suo campaniletto a vela, l’aveva fatta rotolare sul tetto ma non era precipitata sulla strada e non aveva subito danni dal fulmine. La corda che penetrava nel tetto e scendeva vicino al forno aveva funzionato da freno. Nessuno però si era premurato di ricollocarla al suo posto.
La memoria di don Mario come uomo pacifico risulta anche da altre testimonianze. Capitava di doversi recare in parrocchia nei giorni feriali per segnalare una nascita e concordare giorno e ora del battesimo. A quei tempi il battesimo veniva impartito entro due giorni, se non in giornata. Vi era ancora una notevole mortalità infantile e, inoltre, l’amministrazione del Sacramento era un fatto religioso, non una festa civile. Oppure si raggiungeva la parrocchia per avvisarlo che un parrocchiano stava per lasciarci e, quindi, bisognava suonare l’agonia e portargli l’Estrema Unzione. Mi è stato detto che alcune persone lo hanno trovato nell’orto coi suoi bragoni alla zuava, senza la tonaca, intento a vangare come un comune mortale. Un esempio che, all’epoca, destava una certa meraviglia e ammirazione.
Personalmente di lui ricordo una voce tenorile, leggermente nasale, bene intonata, capace di coprire e guidare eventuali stonature della gente. In particolare lo ricordo quando intonava Immacolata, Vergine bella, al termine della messa.
Non era invadente, ma conosceva e si interessava a tutti. Quando, dopo la messa, saliva nella stanza che noi chiamavamo sala a prendere il caffè d’orzo preparato dalla nonna chiedeva sempre notizie dei figli militari. A volte gli facevano leggere le lettere dei figli, sperando magari di avere qualche buona notizia in più.
La pagellina che don Mario inviò ad ogni militare della sua parrocchia per la Pasqua 1942
La guerra, ormai, aveva steso la sua ombra anche quassù da noi. I giovani erano tutti sotto le armi, e le notizie poche. Ci giungeva l’eco di paesi incendiati e di persone uccise dai nazifascisti per rappresaglia. Erano comparsi anche i primi nuclei di partigiani, che però non davano confidenza e si tenevano lontani dal villaggio. Poi, col tempo, erano aumentati di numero e in più, anche tra di loro, compariva qualche pecora nera.
Due episodi causarono, o almeno accelerarono, la morte di Don Mario. Due episodi provocati di proposito. Circa un mese prima della morte Don Mario stava rientrando da Castelnovo sulla sua cavallina. Tra il Casino e Rosano, nella spianata di Moziollo, qualcuno sparò. Intenzionalmente. Non si sa se per colpirlo o solo per spaventare la cavalla. Comunque era un messaggio preciso. La cavalla si imbizzarrì e cominciò a correre scomposta verso casa. Don Mario sapeva cavalcare e non fu disarcionato, ma riportò delle insaccature da cui non si riprese.
Più o meno nello stesso periodo Don Mario stava facendo dei lavori di muratura nella cantina. Di giorno, logicamente, perché non c’era la luce elettrica. Era una cantina piuttosto angusta e con poche riserve. Si fidava dei muratori che conosceva e non rimosse le poche scorte. Qualche sera dopo sentì dei rumori, andò a controllare e trovò un paio di ladri intenti a sottrarre le scorte. Per tutta risposta lo minacciarono con le armi. La notizia si diffuse nei borghi della parrocchia nonostante che Don Mario evitasse di parlarne.
La domenica successiva, quando salì a prendere il caffè, mio nonno cercò di carpirgli i nomi dei ladri ma lui si guardò bene dal palesarli. Tutti avevano compreso che si trattava di gente del posto, pratica del locale. Non valse la promessa di sporgere denuncia alle autorità legali né, tantomeno, quella di dare una lezione ai responsabili del furto.
Don Mario morì il 28 aprile del 1944, portando con sé il segreto. In seguito imparammo anche che i pochi risparmi personali li aveva destinati alle Missioni della Consolata.
Nel cimitero di S. Stefano, un tantino trascurata a dire il vero, c’è ancora la sua tomba.
Savino Rabotti
Certamente non si saprà mai chi ha ucciso Don Mario,ma se 2 più due fà quattro,considerando le centinaia di Preti uccisi dai partigiani,pardon, pecore nere,per poter instaurare tramite l’eliminazione fisica degli oppositori,la dittatura del proletariato, non è poi difficile capire da che parte stessero i suoi assassini.
esuleinpatria