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I racconti dell’Elda 2 / “Ritorno a Montebabbio”

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I racconti dell’Elda

Ritorno a Montebabbio

Il castello di Montebabbio

Com’è suo solito il mio accompagnatore mi dice: “Domani ti porto a Montebabbio, ci sono stato da piccolo e mi ricordo poco, chiedi alla Mirella se vuole farti compagnia”.

Anch'io per l’ultima volta ci sono stata parecchi anni fa quando ho aiutato la zia Cleofe a preparare il trasloco. Don Battista (chi di voi non l’ha conosciuto si è perso molto) era stato trasferito a Castelnuovo e anche se la Cleofe teneva il muso, quando il Vescovo ordina bisogna ubbidire “vero don Geli?”.

Io di Vescovi nella mia lunga vita ne ho conosciuti quattro, tre erano di Reggio e uno brasiliano, anche se era oriundo bolognese e credete, tutti e quattro non hanno valutato molto il pro e il contro prima di prendere decisioni così importanti, specialmente se riguardavano persone anziane. Scusatemi, ma da buona cattolica praticante (certamente non bigotta) data l’esperienza e la scusante della mia età, penso di potere dire la mia su questi trasferimenti.

Dopo tutto quello che un parroco ha fatto, ben visibile e godibile per tutti i figli dei Castelnovini e non, dopo una vita irreprensibile è stato uno di quei pochi che i nostri compaesani non hanno potuto intaccare con le loro chiacchiere da bar, negli ultimi sessant’anni.

E’ arrivato che era giovane e bello, sapete come avrebbero potuto demolirlo, come del resto hanno fatto con altri, fate attenzione voi giovani che dovete prendere il suo posto, a Castelnuovo vive gente molto ciarliera, ora dico: “Monsignor Camisasca, non potrebbe fare un passo indietro? Evitargli questa umiliazione e lasciarlo godere in vecchiaia le sue opere? Fargli prendere il posto che don Battista (da lui accudito con pazienza per molti anni) ha ricoperto fino alla fine e magari dare un consiglio a questi giovani?”. Chiedo venia eccellenza, ma io l’ho conosciuta e ho capito che con Lei si può ragionare. Ora scusandomi ancora per il mio ardire posso continuare a raccontare la mia gita.

Il castello di Montebabbio si trova su una collina sabbiosa che si eleva sul livello del mare di circa trecentotrenta metri, mentre il monte Evangelo sfiora i cinquecento metri e da lì dove sono poste tre Croci puoi ammirare un panorama stupendo, tutte le cime più alte dell’Appennino, il Cimone, il Cusna, il Ventasso. Canossa e la Pietra di Bismantova. Poi verso settentrione la pianura Padana e nelle giornate più limpide, puoi scorgere il Monte Baldo, i Colli Euganei e buona parte dell’arco Alpino.

La borgata Castello è quella che desta maggior interesse in quanto conserva ancora la vecchia torre medioevale e la chiesa parrocchiale che negli ultimi quarantanni ha subito molti furti, perciò è stata spogliata di tutti i suoi arredi.

Avevo circa dodici o tredici anni, la prima volta che mia madre mi metteva su quella corriera che faceva tutte quelle curve, fra Carpineti, Baiso Viano e raccomandandomi al bigliettaio, mi spediva a Montebabbio ad aiutare sua sorella “la zia Cleofe” per fare le pulizie di Pasqua. La corriera si fermava alla Madonnina di Rondinara poi si camminava a piedi per più o meno un’ora, facendo dondolare la valigetta di cartone che conteneva l’abito da lavoro. Adesso vi sembrerà strano, ma io allora possedevo solo due vestitini, quello dalla festa e quello da tutti i giorni e credete non li buttavo sul letto o una sedia, ma ne facevo molto conto.

Ora non si fa più quella strada che ti faceva venire la nausea, la fondovalle accorcia molto la distanza e la macchina non puzza di nafta. Dopo poco più di mezz’ora cominciamo a scalare la collinetta, qui le curve sono rimaste le stesse e anche i tre borghi ai lati della strada, poi ecco la torre bellissima come allora e la chiesa un po’ scostata. Ai miei occhi la stessa visione di allora e il cuore mi fa un tuffo particolare. Passiamo davanti alla chiesa poi giriamo a sinistra per arrivare al centro del piccolo borgo “il Castello”.

Scendiamo dalla macchina e noto un signore anziano, ma i suoi lineamenti mi ricordano qualcuno difatti dopo qualche mia domanda riconosco il mio amico “Adriano”, mai più rivisto da più di cinquantanni, poi la moglie che riconosco dal suo sorriso “Angela” non sapevo neanche che si erano sposati, allora quando venivano a giocare in canonica eravamo bambini, perché ai miei tempi a tredici o quindici anni si era ancora bambini.

Guardo la vecchia canonica, la porta di servizio che allora rimaneva sempre aperta, dove era collocato il forno a legna a uso comune, tutte le famiglie se ne servivano per cuocere il loro pane. Poi entro nel cortile col giardinetto ovale in stato di abbandono, al portone manca il battacchio tutto decorato, qualcuno se n’è appropriato. Questa vecchia canonica che era parte del castello, ora è data in uso a degli extracomunitari, ma sembra abbandonata. Mi affaccio alla scaletta che portava ai sotterranei dove razzolavano le galline della Cleofe, lì è cresciuto un bosco, il vecchio fico mi accoglie coi suoi rami spogli sta seccando. Il colpo più grosso poi lo ricevo da Adriano quando mi dice che il pavimento del grande salone che fungeva da teatrino era stato rimesso a nuovo negli anni ottanta con mattonelle offerte dalla ceramica Marazzi.

Meno male che la Signora, ora padrona della torre che suo marito acquistò negli anni settanta, prima che don Battista se ne andasse ci invita a visitarla e lì i ricordi riaffiorano. I bambini che frequentavano la scuola in quelle due stanzette una sopra l’altra e l’ultima in alto dove don Battista allevava un centinaio di canarini che si sentivano cinguettare tutto il giorno e più su le campane. Dopo parecchio chiacchierare risaliamo in macchina, attraversiamo il paese diviso da una ripida salita, passando davanti all'Oratorio della Madonna della Neve. La prima impressione è quella di un paese abbandonato, all'infuori di un bar lassù dove ci si dice “le Botteghe” solo qualche anziano in giro, se penso che cinquantanni fa c’erano quattrocento abitanti, tre negozi di alimentari, un forno, due bar, un caseificio sociale, due edifici scolastici che don Battista aveva ottenuto con caparbietà, due corriere che settimanalmente collegavano il paese con Reggio e Sassuolo, ora i boschi stanno occupando i terreni abbandonati, che nei secoli scorsi l’uomo aveva ridotto a uso agricolo.

Proseguiamo per San Valentino, voglio visitare la chiesa che accoglie le spoglie del beato Rolando Rivi, caspita abbiamo un santo a quattro passi da casa e io non ci ero ancora stata e ora capisco il perché. Inginocchiata davanti alle sue spoglie, mi assalgono i soliti pensieri. Lui aveva quattordici anni quando i partigiani “pazzi” lo hanno ucciso, mia sorella ne aveva diciassette.

(Elda Zannini)

 

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