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I comitati “Salviamo le cicogne” e “Dinamo”: “Punti nascita, la Regione li ha chiusi la Regione può riaprirli”

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Riceviamo e pubblichiamo.

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L’intervento di Confcooperative sui punti nascita della montagna e il suo rilancio da parte di alcuni amministratori e politici locali meritano alcune considerazioni.

Condividiamo le riflessioni generali sul bisogno di promuovere misure a sostegno per la montagna e mantenere i servizi anziché tagliarli, a parole tutti si son sempre mostrati prodighi.

La realtà della politica locale però è un’altra e sorprende che il documento di Confcooperative scriva che “è ormai chiaro a tutti che la tenuta del punto nascite e, più in generale, del presidio ospedaliero montano richiede…”.

È bene aggiornare l’agenda nella consapevolezza che il punto nascita di Castelnovo ne' Monti è chiuso ormai da otto mesi, così come gli altri due punti nascita dell’Appennino, Borgotaro e Pavullo, soppressi su delibera della Regione Emilia Romagna. La stessa Regione che ha invece mantenuto aperti in deroga i tre punti nascita della pianura che avevano anch’essi gli stessi problemi di numeri minimi di parti/anno di quelli della montagna, ovvero meno di 500, fra questi Scandiano che è servibile da Reggio Emilia e da Sassuolo con 10 minuti di macchina.

Preso atto della realtà, entriamo nel merito della proposta di Confcooperative: “La Regione, che l'ha già chiesta, solleciti ora la deroga al nuovo ministro della Salute”.

Di certo non saremo noi a opporci a questa richiesta, ogni cosa che può essere fatta in favore della riapertura dei Punti Nascita troverà sempre il nostro favore.

Ma si eviti di far confusione per alleggerire le responsabilità scaricandole su altri.

La deroga ministeriale non è una delibera operativa, bensì un semplice parere consultivo che non è dato dal ministro nuovo o vecchio ma dal Comitato percorso nascita nazionale.

Il parere motivato è espresso sulla base della documentazione fornita loro dalla Regione, come da “Protocollo metodologico per la richiesta di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti/annui e in condizioni orogeografiche difficili”.

Nel merito è opportuno rilevare che:

  • la documentazione inviata dalla Regione è imprecisa perché riporta distanze dei capoluoghi comunali rispetto al capoluogo provinciale ma non descrive le distanze reali delle estensioni dei comuni montani che comportano oltre le due ore di viaggio in condizioni ottimali a causa di una superficie territoriale di 800 kmq.
  • i comitati già da fine dello scorso anno hanno rispettivamente chiesto che le amministrazioni comunali e l’Unione dei comuni della montagna inoltrassero domanda di riesame del parere alla commissione ministeriale (grosso modo quel che chiede Confcooperative ora) e ricorso al tribunale amministrativo, ma non hanno ottenuto ascolto, anzi, nel caso di Castelnovo hanno ricevuto voto contrario dal consiglio comunale.

Ora, questa nuova dimostrazione d’interesse determinata dal cambio del governo italiano ci appare quantomeno tardiva e strumentale perché continua l’esercizio di esternalizzazione delle competenze e delle responsabilità: chi ha chiuso i punti nascite in montagna e tenuto aperto in deroga quelli in pianura è la Regione Emilia Romagna con delibera consigliare, allo stesso modo la Regione può riaprirli, soprattutto alla luce delle evidenze nefaste derivante da questi primi mesi di chiusura.

Ci rallegriamo che ora Concooperative e gli amministratori locali considerino pure loro la chiusura dei Punti Nascita “un gravissimo errore” ma li esortiamo a indirizzare le loro azioni su chi ha il potere decisionale, ovvero la Regione Emilia Romagna. Con onestà e coraggio.

(I comitati "Salviamo le cicogne" e "Dinamo")

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