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I mesi di aprile e maggio hanno visto il triennio del liceo linguistico Dall’Aglio impegnato negli esami di certificazione linguistica.
Le classi quinte si sono cimentate nell’esame First Certificate in English (di livello intermedio avanzato), una delle due quinte anche nella certificazione Zertifikat Deutsch für Jugendliche (livello B1), le classi terze e quarta nella certificazione Delf B1 di lingua francese, con alcuni studenti delle quinte che hanno sostenuto la certificazione B2 anche per francese.
Perché le docenti considerano questi esami un momento d’importante crescita formativa per le classi? Per diversi motivi, che vanno oltre a quello della mera certificazione. Questi esami danno la possibilità di far valutare il proprio operato da enti esterni, evitando così il rischio dell’autoreferenzialità, di una scuola che non si confronta abbastanza col mondo esterno.
Questi esami sono anche per le studentesse e gli studenti, una sfida per l’autonomia operativa, per trasferire in un contesto nuovo le potenzialità sviluppate e le competenze acquisite a scuola. È un assaggio di ciò che verrà ‘dopo’, un’opportunità per mettersi alla prova.
Perché farlo in più lingue? Perché studiare più lingue? Ci sono ancora spazi per lingue straniere diverse dall’inglese in un mondo linguisticamente anglicizzato, in un Paese (il nostro) che usa la lingua di Shakespeare appena può (tanto che la Crusca ha tirato le orecchie al Miur per un uso eccessivo dell’inglese) e spesso la usa con effetti quasi esilaranti?
La risposta migliore è che la conoscenza delle lingue non serve solo a rendere più interessante il nostro CV. In passato si riteneva che i bambini di famiglie con genitori che parlavano lingue diverse avrebbero avuto problemi nello sviluppo linguistico, problemi tali da comprometterne il futuro scolastico poiché le lingue diverse avrebbero costituito una continua interferenza. Studi recenti, che evidenziano l’elasticità del nostro cervello, hanno sconfessato questa teoria. Come riporta il New York Times in un articolo del marzo 2012 (intitolato ‘Why bilinguals are smarter’), parlare più lingue non solo ha ovvi benefici pratici, ma sviluppa l’intelligenza. È vero che le lingue interferiscono una con l’altra (e ben lo sanno le studentesse e gli studenti del liceo linguistico che all’esame di Stato devono confrontarsi con tre lingue nello spazio di un’ora), ma tale interferenza obbliga il cervello a risolvere questi conflitti, rinforzandone i ‘muscoli’ cognitivi. Uno studio del 2004 (E. Bialystock e M. Martin-Rhee) ha mostrato che il bilinguismo aumenta le capacità cerebrali esecutive: programmare, risolvere problemi, restare concentrati evitando la distrazione, muoversi velocemente da un compito all’altro, ritenere informazioni.
Se non sembra abbastanza, forse vale la pena di considerare che nuove ricerche hanno dimostrato che il parlare spesso più lingue protegge addirittura dall’Alzheimer e dalla demenza (studio italiano pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences e coordinato da Daniela Perani, direttrice dell’Unità di Neuroimaging molecolare e strutturale in vivo nell’uomo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele).
Parlare e studiare più lingue consente agli studenti non solo di essere più bravi nella comunicazione in generale, nella memorizzazione, nel comprendere culture diverse, nell’analizzare testi letterari e non, con competenze che oltrepassano il puro dato tecnico, perché le lingue sono strumenti complessi, che vanno oltre il mero codice, ma, moltiplicando l’attività cerebrale, potenzia l’attenzione come pure le abilità di multi-tasking, di apprendimento, le abilità matematiche (le lingue sono sistemi logici), nonché quelle decisionali. Da docente posso anche dire che un adolescente in grado di esprimersi in più lingue ha una visione di sé più sicura, il che certo non guasta nella formazione della personalità.
Quando vedo i nostri studenti applicarsi sulla grammatica delle lingue straniere mi viene in mente Gramsci quando diceva, nei Quaderni dal Carcere, che “La lingua latina o greca si impara secondo grammatica, un po’ meccanicamente: ma c’è molta esagerazione nell’accusa di meccanicità e di aridità. Si ha che fare con dei ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza…”. Sì è vero, studiare le lingue richiede e sviluppa costanza e precisione, ma certo la nostra scuola, rispetto a quella del periodo di Gramsci, ha dalla sua la capacità di rendere la didattica coinvolgente, perché non c’è apprendimento senza coinvolgimento emotivo.
Per Gramsci la distinzione tra lingue vive e lingue morte è evidente nella didattica: “il latino e il greco si presentano alla fantasia come un mito, anche per l’insegnante. Il latino non si studia per imparare il latino, si studia per abituare i ragazzi a studiare…” e infatti pensa che “Nessuna lingua viva potrebbe essere studiata come il latino” perché l’aura di mito non esisterebbe più, in quanto la modernità della lingua la distruggerebbe in partenza. Tuttavia, penso che oggi siamo più fortunati: è possibile lavorare a scuola con le lingue vive creando attorno a loro una specie di mito quando riusciamo a far sentire la forza delle culture che queste lingue trasmettono.
Studiare le lingue mette insieme l’aspetto tecnico con quello della formazione globale perché una volta che si sia padroneggiata la tecnica ci si aprono mondi interi.
Come dice Don Milani in Lettera a una Professoressa : «Più lingue possibile perché al mondo non ci siamo solo noi. Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre»
Quando i genitori chiedono ‘Perché studiare le (plurale) lingue? Che vantaggio possono averne i nostri figli?’, penso sempre che il bello del viaggiare non è la meta, ma il viaggio stesso, per crescere nel viaggio ed essere pronti ad incontrare tutte le mete possibili.
(Prof.ssa Ornella Gigli. Docente di lingua e letteratura inglese e responsabile del liceo linguistico Cattaneo-Dall’Aglio)
Se parli con un uomo in una lingua a lui comprensibile, arriverai alla sua testa. Se parli con un uomo nella sua lingua, arriverai al suo cuore (Nelson Mandela).
(Roberta)