Alfie Evans, 23 mesi, è morto. Ci sono più modi per morire, come sappiamo. Nel suo caso è forse più corretto parlare di morte procurata, visti nel complesso i movimenti di medici e giudici inglesi – senza parlare della Corte europea, che neppure si è data la pena di esaminare il caso, bollandolo come “irricevibile” – che hanno portato a questo esito. Una vicenda umanamente pietosa; non solo e non tanto per la grave malattia (quale di preciso non hanno saputo diagnosticare neppure i medici dell’ospedale di Liverpool), ma soprattutto per come essa è stata condotta.
Una nazione che avoca a sé il potere di vita e di morte su un suo cittadino, che non ammette che un degente possa uscire da una sua struttura sanitaria (piantonandola con uno schieramento di polizia!), che non gli permette di espatriare e/o di cercare altri pareri e cure, che non riconosce ai genitori la facoltà ultima di decidere per il bene del loro figlio… come la vogliamo chiamare? Uno Stato che, negli stessi giorni in cui si consumava questa tragedia, non trovava di meglio che gossippare sui 92 anni della regina e del figlio Carlo che l’ha chiamata “mamma” in pubblico e si preoccupava di chissà quale nome sarebbe stato imposto al nuovo nato del nipote di Elisabetta II, William.
Questo fatto – non è il primo – dovrebbe far preoccupare ciascuno di noi. Quale diventa il criterio per cui una persona ha diritto di vita se una magistratura afferma, incredibilmente, che il “miglior interesse” per un piccolo venuto al mondo malato, la cui vita è “futile”, è di venire soppresso? Chi decide chi deve vivere e chi no? Se viene buttato al macero il diritto naturale si impone il relativismo, cioè la legge del più forte. E cioè la giungla.
Se consideriamo le sollevazioni emotive che si registrano allorchè viene ucciso un animale – un leone, un ippopotamo dell’Africa – dovremmo concludere che qualcosa si sta capovolgendo. “Ma gli animali non si possono difendere…”. Un bimbo di neanche due anni allettato ed attaccato alle macchine per sopravvivere invece sì?
Altro che di romanzi distopici parliamo quando accenniamo ad autori come George Orwell od Aldous Huxley (guarda caso, entrambi inglesi): forse sarà più preciso intenderli come “laicamente profetici”. Basterebbe allargare appena lo sguardo a tanti episodi che avvengono nei nostri tempi e vicino a noi e che tanti reputano progresso e diritti per considerare come stia cambiando, in senso disumanizzante, l’antropologia. La deriva di uno stato “etico” che si mette a frugare nell’intimità dei suoi cittadini e che vuol dettare l’agenda anche delle scelte più sacre e considerarsi l’attore ultimo finanche delle leggi di natura non potrà che portare, senza dubbio alcuno, al disastro. Non c’è neanche bisogno di essere credenti e ritenere la vita dono di Dio, intangibile dal concepimento alla fine naturale e dotata in sé di una dignità che nessuna legge umana può negare. Le menti più avvedute possono rendersi conto del controllo totale e tendenzialmente totalitario che vuole esercitare su ognuno di noi chi muove le leve del potere.
Da tante parti si sente spesso abbaiare contro chi non si allinea, contro chi avverte e mette in guardia da questi pericoli di inversione e deformazione di ciò ch’è umano, che è retrivo, che il suo pensiero è retrogrado, “medievale”.
Beh, prendiamo la palla al volo e leggiamo ad esempio questo breve brano che tratta di una figura vissuta proprio nel pieno Medioevo, Ermanno detto lo storpio: “Ermanno (…) fu soprannominato ‘il rattrappito’, tanto era storto e contratto: non poteva star ritto, tanto meno camminare; stentava perfino a star seduto nella sedia che era stata fatta appositamente per lui; le sue dita stesse erano troppo deboli e rattratte per scrivere; le labbra e il palato erano deformati al punto che le sue parole uscivano stentate e difficili a intendersi. In un mondo pagano egli sarebbe stato, senza esitazione di sorta, lasciato morire nell’atto stesso della sua nascita. I pagani d’oggi, soprattutto quando si dica loro che il piccolo Ermanno era uno dei quindici figli, dichiareranno che non avrebbe mai dovuto nascere; se poi diventano ancor più razionali, affermeranno che un simile aborto avrebbe dovuto essere eliminato senza dolore. E lo ripeterebbero con calore anche maggiore quando aggiungerò che i competenti di novecento anni fa lo dichiararono anche ‘deficiente’. Che cosa fecero quei poveretti ancor sommersi in quelle che abbiamo la faccia tosta di chiamare le ‘tenebre del Medioevo’? Lo mandarono in un monastero e pregarono per lui”. Così Cyril Martindale su questa figura, vissuta tra 1013 e 1054, venerata dalla Chiesa cattolica, nel suo “Santi” del 1976.
Ora Alfie è accanto a Dio, mentre noi continuiamo a calcare questa terra sempre più sensibile alle sirene del male. Ma tutto ciò lo chiamiamo progresso.
(Gabriele Dallagiacoma Primavori)
Grazie, Gabriele, per questo editoriale. Dopo settimane di “assordante” silenzio, anche nella nostra montagna si parla di Alfie. Allora anche da noi si è sofferto per lui e per i suoi coraggiosissimi genitori e si è pregato per loro, come avevano chiesto. Ora Alfie non ha più bisogno delle nostre preghiere: è un piccolo Santo Innocente. Quanto invece ne avranno bisogno i suoi genitori, poco più che bambini. Il tempo passa in fretta, ma non bisogna permettere di dimenticare quanto è successo. Da credente vorrei citare le parole di San Giovanni Paolo II: «Se vuoi la pace, lavora per la giustizia. Se vuoi giustizia, difendi la vita. Se vuoi la vita, abbraccia la verità, la verità rivelata da Dio».
(Daniela Venturi)