'Era una famiglia tranquilla, normale, come tutte '.
I fatti di Latina di questi giorni sono noti. Un padre di famiglia riduce in fin di vita la moglie che aveva chiesto la separazione, uccide le figlie e si suicida. E' un gesto abominevole, aberrante e impone una riflessione collettiva. Questo avviene sotto gli occhi di una comunità che vede, distratta, e non coglie.
Da fuori, tutto bene.
Le testimonianze lo descrivono una persona corretta, pulita, in ordine. I colleghi sapevano dei litigi, ma molti litigano a casa, si sa. Poi la violenza esce dalle mura domestiche, e la moglie fa un esposto, non una denuncia, non se la sente, lui perderebbe il lavoro, e lei forse anche un brandello di dignità rimastele, appeso alla speranza degli alimenti, di una separazione civile, consensuale.
Lui aveva altre donne, gliene aveva combinate tante.
E ancora una volta i commenti banalizzano, sono cose loro, marito e moglie litigano, si sa.
Ma da fuori, tutto bene.
Il lavoro, regolare. La donna aveva chiesto aiuto a un centro anti violenza, c'era coinvolto un avvocato, le figlie erano terrorizzate, avevano assistito a un'aggressione del padre che aveva picchiato la madre davanti al posto di lavoro. La tragedia era annunciata. Dopo l'aggressione pubblica, lui supera ben due visite, e gli danno 8 giorni di riposo.
Si poteva prevedere la strage? Ciò che fa ammutolire è l'impotenza del tessuto sociale. L'orrore che avviene tra le mura di casa non trapela se non molto tardi, quando la pelle psichica si è già lacerata e riempita di lividi assieme al corpo. Le vittime di violenza domestica vivono come fantasmi invisibili, prima di tutto a loro stesse.
Perché accade?
Non si possono elencare presunte cause senza il rischio di semplificare. L'essere umano può essere talmente complesso, contorto, irrisolto e ferito da attuare condotte criminali anche sui propri figli, ritenuti sua proprietà, ma figli anche di una compagna che lo rifiuta, quindi da punire e annientare. Incapace di accettare il rifiuto della moglie nutre pulsioni di vendetta, per ferirla e ucciderla due volte. La ferocia della sua frustrazione lo porta a un furore omicida e animale, la diga dell'affetto, dei legami si spezza e soltanto il distruggere diventa possibile.
Tutto questo con l'amore non c'entra nulla.
Ha a che fare con un devastante abisso narcisistico, che provoca l'impotenza a reggere il fallimento, il no, il volere altrui.
Chi arriva a questo ha sviluppato una visione del mondo come un luogo dove tutto gli è dovuto e possibile. O per troppa accondiscendenza dei genitori, che l'hanno illuso di essere il re del mondo, onnipotente. O per non essersi mai sentito di esistere per loro. La ferita del non amato, dell’invisibile può produrre le stesse aberrazioni della persona amata male. La conseguenza è non tollerare un abbandono, l'immagine di sé che va in frantumi. Al punto da scatenare una furia assassina, che alla fine può riflettersi anche verso se stesso.