Riceviamo e pubblichiamo.
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Se non vado errato, il che può sempre accadere, sono più d’uno i provvedimenti che, sulla carta almeno, possono dare una mano al nostro bell’Appennino, a cominciare dalla legge sulla montagna, che credo abbia previsto fondi integrativi, cioè risorse aggiuntive, per gli ambiti montani, specie quelli più svantaggiati, per venire alla più recente legge cosiddetta salva-borghi, volta a preservare e sostenere le piccole realtà comunali (con meno di cinquemila abitanti), cui possiamo aggiungere altri strumenti di scala regionale o interprovinciale.
In un articolo apparso da poco sul vostro giornale, dal titolo “Cerreto e Succiso: le economie di luogo che ci salveranno”, leggiamo che nell’Appennino emiliano, grazie alla "Strategia per le aree interne" e ai piani 2018 del GAL (Antico Frignano Appennino reggiano e del ducato) si aprirà a breve una nuova stagione di crescita e proposta, ossia parole che suonano incoraggianti e stimolanti per un montanaro, pur se non va abbandonata la prudenziale dose di realismo visto che la nostra montagna ha già perso un servizio piuttosto importante e per altri siamo un po’ “col fiato sospeso”.
La perdita di servizi sembra andare nella direzione opposta rispetto al rilancio della montagna, ma volendo rimanere ottimisti si può anche convenire sul fatto che le economie di luogo offrano qualche buona prospettiva per l’Appennino, o diano quantomeno l’opportunità di puntarvi, anche perché il nostro territorio si presta ad iniziative dove “il piccolo è bello”, ma sembra quasi che chi si muove in questa logica tenda a privilegiare soprattutto, se non esclusivamente, le attività innovative, sia cioè proiettato tutto in avanti, dimenticando per così dire l’esistente.
Ho avuto questa impressione apprendendo in questi giorni sulla stampa locale la notizia di un allevatore del crinale, che viene dato per l’ultimo pastore transumante dei nostri luoghi, il quale avrebbe rinunciato a spostare il proprio gregge verso le abituali zone di pascolo invernale dovendolo sottoporre a proprie spese ad una vaccinazione i cui costi non sarebbero compatibili col bilancio aziendale, e a fronte di tali difficoltà starebbe orientandosi a dismettere nel giro di un anno, seppure a malincuore, il mestiere esercitato per una vita.
La pastorizia è stata, notoriamente, uno degli elementi tradizionali e distintivi del nostro crinale, da tempo immemorabile, e un territorio che voglia salvaguardare e valorizzare la propria identità e specificità, proprio anche in funzione delle “economie di luogo”, dovrebbe a mio avviso proporsi di sostenere, e semmai incentivare, quanti si prefiggono di continuare, pur con tanto impegno e sacrificio, il lavoro di sempre, anche perché questo modo di procedere non è incompatibile col guardare a forme di lavoro meno convenzionali, come eventuale investimento per il futuro.
In caso contrario, se cioè spostiamo i riflettori solo su ciò che potremo “mettere in piedi” e realizzare, si rischia, da un lato, di perdere il “contatto” con quello che già abbiamo - vedi per l’appunto il gregge in causa - e, dall’altro, di renderci abbastanza disillusi e disincantati rispetto a tutti quei bei discorsi che sentiamo ripetutamente farci sulla preziosità della montagna, nonché sul ruolo che ha fin qui svolto, e sulla necessità di “darle man forte”, e confido pertanto che il predetto allevatore possa ricevere dalle istituzioni l’aiuto occorrente a sostenere i costi comportati dalla vaccinazione dei propri animali, e receda così dall’idea di “chiudere la stalla”.
(P.B., 26.12.2017)
Quindi lei vorrebbe proporre alla montagna di rimanere negli anni ’50 e ci chiede di vivere in un presepe? Lei crede che i ragazzi di 20 anni avranno voglia di seguirla su questa strada? Il mondo gira ed è sempre più piccolo. Smettiamola una buona volta di voltarci indietro e guardiamo al futuro senza paura.
(Federica)
Riguardo al pensiero di “Federica”, mi vengono da fare due riflessioni: 1. per quello che ho visto, o mi è sembrato di notare ovvero percepire, trovandomi nel corso degli anni a girare qua e là per la “Vecchia Europa”, sono più d’uno gli ambiti, se non i paesi, anche tra quelli ritenuti avanzati, o molto avanzati, dove la modernità pare convivere piuttosto bene con la tradizione, talora in un’armonia e “atmosfera” che può anche dare l’idea del presepe, e non è escluso che se ne siano accorti, semmai apprezzandolo, pure i ventenni, o giù di lì, che oggigiorno girano il mondo (divenuto per loro effettivamente più piccolo rispetto ai tempi nostri, e tale dunque da poter fare un qualche confronto coi luoghi in cui ci troviamo abitualmente a vivere); 2. agli anni ’50 sono seguite altre stagioni, prima fra queste quella del “miracolo economico italiano”, che ha profondamente cambiato il volto del nostro Paese, e se “Federica” non l’ha vissuta direttamente può comunque farsela raccontare, ma fino ad una certa epoca non si ebbe ad interrompere il legame col passato, nonostante le trasformazioni allora in atto, e a detta di molti quelli sono stati anni abbastanza proficui, da ricordare. Non si tratta dunque di riportare indietro le lancette del tempo, bensì di non rincorrere ad ogni costo il nuovo e la discontinuità, senza mai voltarsi indietro (una corsa che può farci perdere l’orientamento, indipendentemente dalla età, se appunto tronchiamo le nostre radici).
(P.B., 27.12.2017)
Magari si facesse qualcosa, speriamo che non siano le solite fandonie.
(Commento firmato)