Il 1° novembre a Felina la Fondazione Don Zanni ha inaugurato la piazzetta di "Casa Nostra" dedicata a Cuvier Boni. Fotogallery
Il 30 novembre 1945 don Artemio Zanni, ritornato appena tre mesi prima dalla Germania (“prigionia” è il termine che si usava allora), viene nominato “economo spirituale” (cioè amministratore provvisorio) della parrocchia di Felina. Poco dopo ne diventerà parroco effettivo. Giunge a Felina la settimana dopo, l’8 dicembre, in motocicletta. I Castellari (i contadini della parrocchia) gli donano una fascina di legna per asciugarsi e scaldarsi nel grande camino della canonica. In Germania, imprigionato in una cella, aveva sognato, una volta parroco, di costruire una bella casa in cui accogliere bambini poveri da assistere e da educare, da preparare alla vita. Ora, a Felina a pochi mesi dalla fine della guerra, quel progetto si imponeva non più come sogno, ma come necessità impellente. Dopo aver accolto, nell’estate 1946, una ventina di bambini napoletani, bisognosi di qualche mese di cure, di buon cibo, di aria buona e soprattutto di affetto, nell’inverno successivo un altro caso. Il maestro della scuola di Roncadelli, frequentata dai bimbi delle borgate “ad là de Rè” (cioè in riva destra del Tresinaro), segnala a don Zanni un caso urgente e allarmante: in un tugurio nei boschi oltre Monchio vive una mamma con due bimbi. Sono al freddo e alla fame. Di notte scendono a Monchio per dormire nel caldo di una stalla e per chiedere in elemosina un bicchiere di latte. La notizia è di quelle che fanno scattare don Artemio. Piove che Dio la manda, ma si avvia ugualmente per la Stetta. A Valbona incontra la signora Ganapini (“la mamma della Rita”), colei che con cuore di madre ha prestato un po’ di cure ai due bimbi, e che si impegna, con quel tatto che a lei sola è possibile, di condurli, insieme alla mamma in canonica.
Il giorno dopo i due bimbi – Francesco, 9 anni, ma ne dimostra tre di meno, e Maria, 11 anni – e la mamma, Caterina Rosini, sono in canonica, al caldo. Mangiano in un doppio piatto, su un tavolo con tovaglia, e non credono ai loro occhi. La mamma è febbricitante. Viene ricoverata in ospedale e poi, viste le condizioni mentali, al San Lazzaro di Reggio. Ora don Zanni ha ben chiaro il suo progetto. Il sogno fatto nel carcere tedesco si fa chiaro e impellente: la “casa dei bimbi” del sogno sarà un orfanotrofio per gli orfani che la guerra ha lasciato qui in montagna. Dopo Franceschino e la Maria cominciano ad arrivare altri bimbi (quelli che si vedono nella gigantofotografia appesa alla cappella), fino a riempire del tutto la canonica. È allora che decide la costruzione della nuova casa, tutto e solo per i bimbi. Il cantiere si apre nel terreno più bello e assolato del beneficio parrocchiale, dove i priori tenevano la loro vigna e dove ora si trova il campo sportivo. Per finanziare l’opera, oltre che ad affidarsi alla carità dei parroci e delle famiglie benestanti della montagna, don Zanni lancia anche una “Lotteria pro erigendo Orfanotrofio della Montagna”, estrazione il 15 agosto 1947, primo premio una bicicletta sportiva nuova da donna. Tra gli altri premi anche cinque polli. Poi, nel 1948-1949, il cantiere si trasferirà qui a Casa Bucci, con la costruzione della cappella e dei locali soprastanti. Qui Francesco sarà non soltanto il primo di “Casa Nostra”, ma ne sarà – per usare parole di don Zanni – il fondamento, la colonna, il custode, colui che fino alla morte (nel 1974) veglierà perché ogni giorno si chiuda con il rasserenante “la notte si è fatta e tutto va bene”. Ma questo è un altro pezzo della storia che per ora tralasciamo.
Credo, invece, che sia importante un’altra considerazione. Casa Nostra, grazie all’intraprendenza della Fondazione Don Zanni, si appresta a riaprire non più come orfanotrofio per bimbi, ma come casa per mamme con bimbi, in difficoltà.
Questo non è un cambio di destinazione di “Casa Nostra”, ma un ritorno allo spirito e alle ragioni delle sue origini, cioè a Francesco e Maria con la loro mamma. Una giovane donna che la debolezza fisica e psicologica aveva esposto all’abuso da parte di uomini incoscienti che l’avevano lasciata sola, in un bosco, con il carico di due bimbi. Storie che, purtroppo, come spesso i giornali ci ricordano, si ripetono ancor oggi. Casi per fronteggiare i quali è nata la fondazione Don Zanni e rinasce, passo dopo passo, “Casa Nostra”. Cose che sappiamo e vediamo e per la quale oggi siamo qui. Non per curiosità, ne sono certo, ma per fare nostro quello spirito di apertura al bisogno degli altri che ha caratterizzato la vita di don Artemio Zanni e che ha portato al successivo sviluppo di “Casa Nostra”. È la “eredità di bene” che don Zanni ci lascia e che non possiamo non accogliere e proseguire.
Per una più ampia narrazione dei fatti sopra accennati: G. Giovanelli, Don Artemio Zanni, un prete senza confini, Fondazione “Don Artemio Zanni”, Felina, 2014