Il meglio della natura e dello stile di vita a due passi da molte meraviglie, ecco la prima: racconto di una domenica speciale.
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Sabato. Si parte. La prenotazione dell’albergo è fatta. Un gruppo di amici ci aspetta a Desio per una cena - spettacolo con Joe Ontario, un artista che ripropone il repertorio di Elvis Presley, protagonista del musical che abbiamo visto qualche tempo fa a Milano, dedicato proprio al re del Rock and Roll.
A cinquant’anni fa strano inseguire i fans di Elvis Presley per far felice un’amica, eppure siamo qua.
Diluvia.
Si va a cena, si ascolta lo spettacolo, ci si confronta con gli amici con i quali si è già vissuta un’esperienza incredibile a Zurigo, dove in più di 20.000 si è applaudito al concerto evento che radunava i fans europei.
Io sono solo una osservatrice che accompagna un'amica con una passione che la porta a seguire i raduni di questo tipo. Molte sono le persone vestite anni '50/'60, col ciuffone, basettoni, pantaloni a zampa d’elefante, vestiti a corolla, cofane e tutto quello che può riportare a quel mondo. Sono persone di tutti i tipi, di tutte le età. È incredibile con quanta serietà e dedizione seguono un artista che manca da così tanto tempo. Sanno tutto di lui, si scambiano le foto, informazioni, i ritrovi, i raduni, e gli eventi se li creano. Così sono qui, a guardarli felici, mentre il cantante ripercorre con la voce, la musica e i gesti la vita di una persona che non c’è più, ma mai come in questo posto sembra essere presente.
Torniamo in albergo sotto l'acquazzone e scopriamo che anche Joe alloggia qui.
Il giorno dopo ci svegliamo presto, ma diluvia, ancora. Decidiamo di tornare verso casa, nella speranza che smetta di piovere e trovare qualcosa nelle vicinanze da fare, decise a non buttare via una domenica libera. "Ho sentito parlare del labirinto della Masone" dico alla mia amica, così decidiamo di provare ad avvicinarci a Fontanellato per vedere almeno dov'è e renderci conto se vale la pena di tornare, magari con un tempo più indicato. Ci ritroviamo in aperta campagna e appena parcheggiamo davanti al labirinto smette di piovere, così entriamo.
La mia prima impressione è spiazzante, non è quello che pensavo di trovare: sinceramente non so cosa pensavo di trovare, ma non quello. Tutto perfetto, simmetrico, geometrico, quasi asettico. Milioni di mattoni faccia vista, geometrie, ampiezza, sa quasi di finto. Paghiamo il biglietto e l'addetto ci spiega, dopo averci attaccato addosso un adesivo con un numero di telefono, che se ci perdessimo potremmo usare i numeri posti lungo il percorso per dare indicazioni e farci venire a prendere.
Questo un po’ c’inquieta, ma è proprio lì il bello, l’idea di perdersi, in fondo siamo venute qui apposta, per perderci no?
Entriamo nel labirinto fatto di bambù, sentieri di cemento che girano ad angolo retto in tutte le direzioni mentre cammini in un tunnel fatto di arbusti. Siamo fra 200.000 piante di bambù appartenenti ad una ventina di specie diverse, alte fino a 15 metri in un percorso lungo oltre tre chilometri.
Ha appena smesso di diluviare e goccioline cadono da ogni foglia, la sensazione è strana, dopo il primo tunnel, il secondo, il terzo, sembrano tutti uguali, sembra di essere sempre nello stesso posto.
Purtroppo o per fortuna grazie al mio senso dell’orientamento non riusciamo a perderci, finito il percorso nel labirinto siamo arrivate nella parte centrale, quella delle esposizioni. Ci piace l'idea che se si vuole arrivare all'arte occorre districarti in un labirinto.
Siamo incuriosite da una mostra fotografica, dove cose vecchie sono messe in ordine, con un ordine tutto suo. C’è ordine fra i mattoni faccia vista, c’è ordine nel labirinto, c’è ordine nella simmetria degli edifici e c’è ordine anche in queste foto. Entriamo, essendo le uniche visitatrici, sono pochi i folli che con questo tempo decidono di affrontare il labirinto più grande del mondo, ci sediamo e ascoltiamo il video di un anziano che racconta del suo museo, lo stesso riportato nelle foto esposte.
Intorno a noi ci sono forti temporali e a un certo punto va via la luce. Poco male, il cellulare funziona, con una piccola ricerca scopriamo che il museo da cui sono tratte le foto dista poco più di mezz'ora. Così si parte e assieme a noi riparte il temporale.
Acqua a catinelle, verrebbe da dire andiamo casa, ma noi no, noi e la nostra curiosità siamo idrorepellenti. Il navigatore ci guida a Fontanellato. Quando svoltiamo per entrare nel casale dove si trova il museo scopriamo che è in corso un evento proprio per ricordare il fondatore: Ettore Guatelli.
Dobbiamo aspettare per la visita guidata, nel salone ritroviamo lo stesso video che era stato interrotto dal temporale così finiamo di vederlo, facendomi innamorare completamente di questo personaggio. Avrei rivisto il video dieci volte. Ascolto il racconto di una persona che per tutta la vita si è dedicata alla raccolta delle cose che gli altri non volevano, non usavano, a cui non servivano. Arriva la nostra guida e ci racconta chi era Ettore Guatelli, classe 1921.
Figlio di mezzadri a Ozzano Taro, in provincia di Parma, dove è situato il complesso rurale che custodisce la raccolta, conobbe Attilio Bertolucci, che divenne la principale figura di riferimento nella sua formazione. Guatelli scriveva a macchina i testi che Bertolucci gli dettava e in cambio il poeta lo preparava all’esame di licenza magistrale. Frequentatore dei magazzini dei raccoglitori dell’Appennino, inizialmente solo per curiosare, in seguito per salvare dalla distruzione i mobili, le cose e gli attrezzi provenienti dalle case contadine e dai laboratori degli artigiani. Ne raccoglierà più di 60.000. Fino all’anno della sua morte (settembre del 2000) Ettore dedica anima e corpo alla sua opera, raccogliendo, accumulando, accogliendo ospiti e visitatori, allestendo e riallestendo stanze e pareti.
Finalmente entriamo, siamo proiettati in un mondo incredibile.
Ci ritroviamo in un luogo che non so se definire magico, folle, onirico, incredibile, sensoriale e potrei andare avanti ancora con gli aggettivi tanto non sarebbero comunque sufficienti per descriverlo.
Se dovessi spiegare a qualcuno cos'è l'artigianato lo porterei certamente in questo posto. Per ogni tipo di oggetto esposto ce ne sono decine e decine, tutti diversi, tutti con lo stesso utilizzo, ma personalizzati, perché vengono da un tempo in cui ognuno si costruiva gli attrezzi e ognuno li costruiva in funzione del proprio bisogno. Mi è capitato spesso di visitare musei di questo tipo, che raccolgono reperti del passato, ma mai come in questo posto sono rimasta affascinata, avvinta ed emozionata dalla nostra storia recente. Anche qui va via la luce, ma noi proseguiamo.
È incredibile pensare che così vicino a noi si trovi un mondo fatto di oggetti, che quasi tutti abbiamo avuto in casa, che conosciamo, che magari abbiamo in cantina o solaio, ma messi lì, messi in quel modo, a disposizione dell'immaginario, riprendono vita, si raccontano e ti raccontano di un tempo dal quale forse dovemmo imparare. Il tempo in cui ogni cosa aveva valore, e anche il più piccolo attrezzo se rotto si riciclava in altro.
Credo che meriti mettersi in macchina, anche sotto la pioggia, anche sotto il diluvio, col caldo, col freddo, e partire per un luogo come questo, dove ritrovare il valore delle piccole.
Tra le tante definizioni che usava per descrivere la raccolta a lui intitolata, Ettore Guatelli ricorreva spesso a quella di “museo dell’ovvio” oppure di “museo del quotidiano”, ma ovvio è l'aggettivo più distante da questo luogo, credo.
Non posso che ringraziare la “serendipità” che si è divertita con noi. Il termine serendipità indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra. Noi cercavamo solo una bella giornata da passare insieme fra amiche, ma da un ritrovo di fans di Elvis a Desio siamo finite nel casale di quello che non posso che definire un artista nelle campagne parmensi, passando da un labirinto in cui non siamo riuscite a perderci.
Grazie a Doris che ci ricorda come si possa coniugare il vivere in un piccolo paese al non sentirsi fuori dal mondo dell’arte. Non grazie ad internet, ma al nostro Paese, l’Italia, che offre bellezza a pochi chilometri ovunque si sia. Uno spunto, uno stimolo, a visitare luoghi a noi vicini per scoprire il Belpaese che il mondo ammira. Il privilegio di poter vivere lontano dal caos cittadino, ma di poter godere delle offerte di arte e cultura che ci sono attorno.
(Cristina)
Grazie Doris, per la tua capacitá di trasmettere la magia delle tue emozioni e della tua gioia di vivere. Sai leggere la vita anche sotto la polvere e le ragnatele.
(Daniela Trenti)