"Il dott. Bazzana a Tgcom24 faceva presente che in Italia la pioggia che scende dal cielo è la stessa di tutti gli anni, cambia pochissimo di anno in anno. Ma i mutamenti climatici estremi a cui ci dovremo abituare concentreranno forti piogge in brevi periodi, pertanto sarà indispensabile realizzare invasi per accumulare le acque quando scendono. Ha aggiunto che in un mese la mancanza d'acqua ad usi irrigui ha prodotto oltre 200 milioni di danni all'agricoltura".
Sono parole di un intervento di Lino Franzini, sindaco di Palanzano, che scrive ai ministri Martina, Galletti e Delrio, al presidente della Regione Bonaccini, a quello delle province reggiana e parmigiana, al capo dipartimento della protezione civile (vedi collegamento in calce).
Venendo alle cose nostre: "La diga di Vetto costerebbe circa 110 milioni, ma darebbe acqua a 73.000 ettari di terreni agricoli di Reggio e Parma tutti i mesi dell'anno e quando serve e, volendo, in condutture forzate in pressione per irrigare i terreni senza pompe o trattori, come fanno in Trentino, in Toscana, in Lombardia o a Piacenza con la diga del Molato. Ma sulla valle dell'Enza invece di lottare per la ripresa dei lavori della diga di Vetto si parla della diga della stretta delle Gazze: un'opera che alcuni tecnici hanno già definito, 'visivamente', irrealizzabile, in quanto i versanti rocciosi non sono contrapposti. Il versante roccioso sulla sponda reggiana è più a monte del versante roccioso parmense. Ma se fosse fattibile realizzare una diga in 'diagonale' sarebbe un'opera più grande e più costosa della diga di Vetto; e servirebbe a cosa e a chi? E quanti anni passerebbero per sondaggi, analisi del terreno, resistenza e sicurezza dei versanti, piani di scavo, autorizzazioni, piano di espropri, progetto esecutivo, studio di impatto ambientale o Via, studi per la durata dell'inertizzazione, studi dei ritorni economici, definire le priorità per l'uso e la gestione delle acque... tutto questo per 20 milioni di metri cubi? Ben sapendo che tra usi irrigui e idropotabili civili ed industriali ne servirebbero almeno 100 tra Reggio e Parma...".
Ancora Franzini: "Voglio informarvi che per il progetto esecutivo della diga di Vetto la società di ingegneria Marcello di Milano, uno degli studi più quotati a livello europeo in progettazione dighe (il nonno dell'attuale responsabile dello studio contribuì al progetto della diga di Assuan in Egitto), ha impiegato sette anni, ma a Vetto non c'erano certo le difficoltà della stretta delle Gazze, sia come versanti che come logistica; inoltre la diga delle Gazze, se fosse realizzabile, potrà essere definita dieci volte più sicura delle restanti dighe italiane? E chi sarà il progettista? Uno studio quotato a livello europeo come lo Studio Marcello o per risparmiare lo studio di ingegneria sotto casa?".
Conclusione. "Mi scuso se mi sono dilungato, ma credo sia ora che tutti ammettessero quanto ammesso da Castagnetti due mesi fa ad un convegno nel parmense. Disse: 'Noi politici dobbiamo ammettere di aver sbagliato a non far ripartire i lavori della diga di Vetto'. Meglio tardi che mai. Castagnetti lo ha capito e lo ha ammesso, ma in quanti lo capiranno ma non lo ammetteranno mai? Nel frattempo l'agricoltura muore e la montagna idem; ma in Emilia va bene così, in Romagna è stato diverso".
Complimenti al sindaco di Palanzano Franzini che, con determinazione e perseveranza, porta avanti da anni la battaglia per la diga di Vetto. I latini dicevano che “gutta cavat lapidem” (la goccia perfora la pietra): speriamo che ciò si avveri anche per l’amico Lino.
(Ivano Pioppi)
C’è chi è schiavo del partito e mai prende posizione se non è autorizzato e c’è che per il bene del suo territorio batte i pugni sul tavolo (sindaco di Palanzano). Il silenzio di tanti amministratori della montagna è deprimente, ma è il motivo perché a Reggio (rispetto a Modena e Parma) non si fa niente. L’importante è piegarsi e rivotare sempre lì.
(Cg)
E’ ben evidente che riuscire a non disperdere acqua debba essere una priorità, mi chiedo però se a parte qualche articolo e la battaglia per esempio del sindaco Franzini si stia muovendo qualcosa. Mi pare di constatare che non ci sia un grande interesse; un progetto come la diga di Vetto fa sicuramente fatica a rimettersi all’ordine del giorno se non c’è un impegno collettivo di tutti gli amministratori della nostra regione. Auspico che si possano trovare buone soluzioni in sicurezza che aiutino a dare anche al nostro territorio montano più opportunità di sopravvivenza.
(Manuela Guazzetti)
Si può essere d’accordo o meno sulla diga di Vetto, ma va riconosciuta in ogni caso al sindaco di Palanzano la coerenza con la quale ha sostenuto negli anni l’utilità di quest’opera, la “diga dei cent’anni” come la chiama qualcuno, a differenza di altri che hanno avuto al riguardo posizioni più incerte e anche altalenanti. Se effettivamente dobbiamo prepararci ad un futuro di “mutamenti climatici estremi”, caratterizzati da “piogge forti in brevi periodi”, tanto da dover raccogliere le “acque quando scendono”, come riportato in queste righe, una soluzione in proposito va ricercata senza troppi indugi, viste le conseguenze della lunga siccità di quest’anno, ma le alternative alla diga che sono state fin qui prospettate a livello politico, quali i piccoli invasi se non erro, sembrano rimaste abbastanza sul vago – a differenza del progetto esecutivo che sarebbe già disponibile per la diga di Vetto – e se fosse realmente così, se cioè fossero ancora alla fase di semplici intenzioni e propositi, denoterebbero quantomeno poca determinazione nell’affrontare il problema, né è dato altresì sapere in quanto tempo possa essere recuperato un tale “ritardo”. Apprendiamo della proposta di utilizzare le cave di argilla esaurite o dismesse – che sarebbe avanzata dal Consorzio di Bonifica dell’Emilia Centrale, come si legge nell’articolo di Redacon “Dall’acqua un nuovo mestiere per le ex cave” – ed è verosimile che possano costituire validi serbatoi d’acqua, anche per lo spegnimento di eventuali incendi, ma è abbastanza improbabile che tale riserva di acqua possa soddisfare totalmente il fabbisogno complessivo, se avesse a continuare questo andamento climatico. Tornando alla eventuale raccolta d’acqua nella parte alta, o medio alta, dei nostri fiumi, in uno o più punti del loro corso – semmai i decisori politici dovessero procedervi – a me pare che a trarne beneficio sarebbe soprattutto il territorio posto a valle, pianura in testa o comunque inclusa, quanto ad uso civile, agricolo, industriale, ecc., ma di fronte al bisogno di acqua, se l’acqua nasce in montagna deve valere il principio della sussidiarietà tra territori, e la montagna non può dunque sottrarsi al “compito” di “immagazzinare” l’acqua nei momenti di abbondanza, così da poterla poi utilizzare anche per caduta, con poco dispendio di energia, ma il criterio della sussidiarietà deve essere reciproco, nel senso che la montagna dovrebbe vedere a sua volta forme di compensazione a suo favore (perché in caso contrario vi scorgerei ingiuste disparità, a mio modesto ed opinabile parere).
(P.B.)
Mi associo con un plauso incondizionato al sindaco di Palanzano, signor Lino Franzini, unico a mostrare la lucidità strategica e progettuale che dovrebbe animare un amministratore pubblico. Riconosciamo la stoltaggine ideologica degli anni ’60 quando ci propinarono l’idea che la diga avrebbe rovinato l’ambiente alla lontra (in verità sarebbe stato l’esatto contrario). Al sig. P.B. segnalo che, nel mondo, questi invasi artificiali montani portano ricchezza al territorio. Oltre all’utilizzo dell’acqua per finalità civili e irrigue si genera corrente elettrica (idroelettrico “rinnovabile”) e importanti attività turistiche (pesca, canottaggio, balneazione, ecc.), a patto che solerti sindaci non emettano subito ordinanze per… non bagnarsi i piedi! Sarebbe un sicuro modo per riqualificare turisticamente il territorio.
(F.D.)
Mi scusi, però lei crede realmente in un’attività importante turistica per un lago che nei periodi caldi è tendenzialmente abbastanza vuoto?
(Piansano)
Giusto per tranquillizzare l’amico “Piansano” si tenga presente che anche in estate, nel momento di massimo sfruttamento, i bacini montani non si asciugano con una pozza d’acqua esausta, ma calano soltanto il livello di soglia di qualche metro, rimanendo assolutamente fruibili. Non dispongo dei dati di superficie che raggiungerebbe l’invaso di Vetto, ma immagini a quanti milioni di metri cubi di acqua corrisponderebbe uno strato di un solo metro di acqua su una superficie (abbozzo) di 500 ettari. Vicino a noi, in regione, abbiamo i bacini di Suviana e Ridracoli dove questo è stato realizzato da anni, solo per fare un esempio. Occorre avere visioni e progettualità strategiche anche per le generazioni future, diversamente arretriamo come mi pare stia avvenendo.
(F.D.)
Leggo con piacere tanti commenti corretti e meditati, la realtà delle cose sta prendendo il sopravvento sulle ideologie, l’acqua è il principale bene della montagna e poterne disporre quando serve deve dare benefici a valle e a monte, come scrive il signor P.B. Ma le difficoltà da superare per arrivare a realizzare questa bellissima opera che ci sarebbe invidiata da tutti sono tante, ma sono solo ideologiche e politiche. I primi a comprendere l’utilità dell’acqua per gli usi irrigui sono gli agricoltori, ma i primi a rendersi conto dell’utilità dell’acqua ad uso potabile sono i sindaci; gli agricoltori da tempo chiedono la diga di Vetto ma perchè i sindaci non la chiedono?, viene da pensare che sia corretto ciò che scrive il signor Cg, alcuni sindaci prima di ascoltare i propri cittadini ascoltano le disposizioni del partito e non ammetteranno mai, come fatto dal senatore Castagnetti, di aver sbagliato, sono convinti che ciò che dice il partito è vangelo; inoltre ciò che dice la Guazzetti è una grande verità, serve l’impegno di tutti a partire dalla classe politica regionale, ma se vogliamo avere acqua per noi e per tanti altri tutti devono fare la loro parte per quest’opera, un’opera che grazie a Dio è realizzabile proprio sulla nostra valle dell’Enza.
(Davide)
Non voglio contraddire “F.D.”, dal momento che attività come pesca, canottaggio, balneazione, ecc., tradotte in maggiore presenza turistica, aiutano sicuramente l’economia di un territorio, quantomeno quella del posto, ma so anche di visitatori ed escursionisti che preferiscono un territorio non toccato dalla mano dell’uomo, per dire delle due facce della stessa medaglia, e in ogni caso il problema si pone a mio avviso in termini un po’ diversi, perché chi frequenta il nostro territorio per svago, diletto e scopo ricreativo, se ne ritorna poi via – alla fine della giornata, o della settimana, o del mese – mentre il sistema locale deve continuare a funzionare nelle sue varie espressioni e possibilmente senza vuoti e discontinuità, se vogliamo che la montagna “tenga”, anche guardando al futuro, e non si sfaldi il suo tessuto sociale, la cui ricostruzione sarebbe oltremodo difficile (se non impossibile). Partendo da questa premessa e mettendo in conto che pare rendersi sempre più necessaria la raccolta di acqua in montagna, al punto che se ne stanno convincendo anche quanti fino ad oggi erano di altro avviso, e se consideriamo altresì che il maggior fabbisogno idrico riguarda verosimilmente il restante territorio provinciale, causa le coltivazioni specializzate, il carico di popolazione, la rete di industrie e poli produttivi, ecc., io ritengo come principio – ossia indipendentemente dalla soluzione “tecnica” che verrà eventualmente adottata, vale a dire una sola diga o più invasi – che alla montagna andrebbe riconosciuto questo “onere”, giustappunto al fine di rafforzarne le prospettive attraverso forme di compensazione da “negoziare” e che potrebbero riguardare sia la sfera pubblica che quella privata (ribadisco che sto esponendo una semplice opinione, di cui sono piuttosto convinto, senza tuttavia la pretesa di essere nel giusto).
(P.B.)
Mi fa piacere interloquire con P.B. che introduce temi “stimolanti”. Per fruire di territori “non toccati dalla mano dell’uomo” rimangono ormai pochi angoli del pianeta, Amazzonia, Antartide, Siberia che però questi escursionisti penso non amino frequentare. E’ bello il “selvaggio”, se però ci sono a portata i servizi (sanità, logistica, sicurezza, ricovero, ecc.). Negli altri casi l’uomo che abita e rispetta il proprio territorio interagisce sempre con l’intento di adattarlo alle proprie esigenze e migliorarlo. I nostri avi fecero così, e non mi pare che lo abbiamo disastrato. Al giorno d’oggi deve indubbiamente crescere la sensibilità al “rispetto” dell’ambiente ma non vedo contraddizione con le opere di cui parliamo. Tutti i grandi parchi nazionali del Nord America (considerati i “precursori” dei nostri) hanno all’inizio del 1900 creato enormi invasi artificiali, dove la natura li rendeva compatibili, per supportare bonifiche, irrigazioni, energia. Visitandoli oggi o guardando la cartina geografica certamente non tradiscono l’artificialità originaria, anzi sono parti fondamentali degli stessi. Stessa cosa nei vicini paradisi altoatesini, svizzeri, austriaci, anche qui importanti opere ne hanno caratterizzato positivamente le valli. L’equazione opere = sfregio è figlia di una visione ideologica tutta nostra e della quale siamo rimasti “prigionieri”. L’acqua è vita, se si immette e mantiene in territori aridi o semi-aridi non può che arricchirli. Concordo sull’attuale turismo “mordi e fuggi” sulla nostra montagna. D’altra parte le colpe non sono lontane. La nostra offerta turistica è molto carente, basti pensare che un paese come Castelnovo Monti, con la Pietra di Bismantova, non ha neppure un campeggio. La ricettività a “basso costo” che invogli giovani e famiglie a spendere qualche giorno da noi è limitatissima e poco accattivante. Ogni nostra azienda agricola, se sgravata dalle note assurdità burocratiche, potrebbe fare una eccellente accoglienza in B&B. Se non riqualificheremo la nostra montagna con una visione strategica più ambiziosa proseguirà la tendenza in atto alla desertificazione (idrica, economica e sociale). Abbiamo la fortuna di essere davvero a pochi passi da un bacino di clienti importante (città padane), ma già oggi se qualcuno deve decidere dove andare a passare il weekend in montagna pesando, costo ospitalità, percorrenze stradali, offerta turistica, promozioni integrate, punta l’auto verso nord. Spiace, ma è così.
(F.D.)
Riguardo alla replica di “F.D.” cercherò di essere il più chiaro possibile, cominciando col dire che non ho alcuna preclusione ideologica verso le “opere” immesse dall’uomo in natura, quando servono, sono cioè di pubblica utilità, e la raccolta dell’acqua sta verosimilmente divenendo tale anche da noi, ma non è detto che questi interventi favoriscano essenzialmente o principalmente il luogo in cui vengono realizzati e non, piuttosto, altri territori che ne utilizzano in forma maggiore le ricadute, come mi pare essere nella fattispecie per l’acqua la quale, raccolta a monte, può in effetti portare molteplici benefici a valle, e in tale logica a me non sembrerebbe affatto improprio e sconveniente che le aree più beneficiate compensino in qualche modo quelle che lo sono meno e sul come farlo penso ad esempio che la montagna, dove sono previsti gli invasi, potrebbe essere eventualmente aiutata, quale “contropartita”, a mantenere la sua rete di servizi, i cui costi possono essere più alti che altrove, servizi di cui ha innanzitutto bisogno chi vive e lavora in montagna assicurando così le cosiddette attività primarie e dando di riflesso una mano alla tenuta del tessuto sociale, oppure sostenere in via più diretta il comparto privato (a meno che non si voglia prefigurare per il futuro della montagna qualcosa di molto diverso e “innovativo” rispetto all’esistente o al modello cui eravamo abituati, il che mi lascerebbe quantomeno perplesso, ma non mancherà forse l’occasione per tornare sul tema).
(P.B.)
Ovviamente si dà per scontato, come avviene per impianti analoghi, che tutta la “produzione” dell’invaso (acqua potabile, acqua ad uso irriguo, energia elettrica) viene venduta e fatturata secondo tariffazione differenziata e parte dei proventi reinvestiti nei servizi territoriali citati. Di pari passo, a valle, andranno modernizzati gli impianti di irrigazione per la massima efficienza (sistemi a goccia), ma ho visto che il fatto di pagare l’acqua convince gli imprenditori agricoli ad adeguarsi immediatamente.
(F.D.)
Stamani abbiamo appreso dai giornali che il governo nazionale avrebbe esteso lo stato di emergenza per crisi idrica all’intero nostro ambito regionale, e quindi anche alla nostra provincia, dopo che ad alcune altre era già stato riconosciuto, nel senso che quando intervengono determinate “straordinarietà” ci si rivolge, comprensibilmente, al “potere” centrale e nei giorni scorsi, se la memoria non mi tradisce, credo di aver letto opinioni o ipotesi di una maggiore centralizzazione, quanto a decisioni e fors’anche a spesa, per le opere preventive in campo idro-geologico, ossia nella difesa del territorio, e se si dovesse andare su questa strada potrebbe adottarsi una logica abbastanza simile anche per programmare e realizzare la “lotta alla siccità”, viste le conseguenze della scarsità d’acqua cui abbiamo assistito nell’intero Paese e qualora fosse appunto lo Stato ad intervenire il medesimo potrebbe andare incontro a quei comprensori montani che fanno riserva di acqua, riconoscendo loro benefici-agevolazioni fiscali per le rispettive imprese ed attività e mettendoli nelle condizioni di poter salvaguardare la propria rete dei servizi.
(P.B.)
Non ne capisco nulla di dighe, ma ero in vacanza in Alto Adige e leggevo sui giornali che il presidente della Provincia di Bolzano abbassava al massimo il livello delle acque delle tante dighe che hanno loro per dare acqua ai fiumi del Veneto, in particolare all’Adige, per poter irrigare meleti e vigneti del Veneto, un grande atto di cortesia per aiutare l’agricoltura veneta. Questo mi ha portato a pensare che per fare questo servono le dighe, solo le dighe possono costituire delle riserve idriche quando l’acqua scarseggia e allora a Vetto perchè non si fa la diga che serve?; quali motivi impediscono la realizzazione di questa riserva idrica che garantirebbe acqua alla pianura?; ma chi si può opporre ad un’opera che riduce lo spreco delle acque e dà vita all’agricoltura Reggiana?
(Gianna)
Solo gli “ecostorditi” (che ovviamente abitano in città e in casa utilizzano acqua corrente ed energia elettrica) possono opporsi ad un’opera che può portare solamente benefici. Per chi è scettico consiglio di fare un giro a Ridracoli o a Suviana per rendersi conto di cosa ha voluto dire per loro avere un’opera del genere sul territorio. Soldi e posti di lavoro, che noi abitanti della montagna dovremmo accogliere a braccia aperte. Auspico davvero un impegno della politica in generale, senza colore politico per un’infrastruttura utile a tutti.
(FH)
Ecostordito è carino. Provo ad evidenziare alcuni punti a sfavore della diga. Dicono i geologi che il versante parmense sia ad elevato rischio frana in particolare se viene scalzata la base o resa fluida come succederebbe in presenza di acqua. Il microclima viene sicuramente modificato e zanzare o nebbia sarebbero la norma. Se per Palanzano, Vetto o Ramiseto il lago potrebbe essere un’opportunità occorrerebbe sentire cosa ne pensano a Canossa o a San Polo. Ciò che è successo al Vajont o a Stava sono ipotesi da considerare attentamente. A beneficiarne sarebbero i comuni della bassa, Montecchio, Brescello, Gattatico, rischio zero e utili molti, ma disponibilità a contribuire alla costruzione o a risarcire chi rischia? Per contribuire alla costruzione si potrebbe pensare ad una centrale idroelettrica, ma elettricità ed agricoltura sono in sintonia? Lascio a voi i commenti. Io commento l’opportunità “turistica”. Abbiamo avuto molte strutture realizzate in montagna: le gallerie della 63, il parco nazionale, le stazioni sciistiche, la Gatta-Pianello, ecc. Incomplete, non capite, non condivise, che hanno portato ancora poco. Occorre aprire una scuola di imprenditorialità, ecco cosa serve alla montagna, imprenditori, meglio se montanari.
(Mc)
Ieri sera sulla trasmissione in tv Piazza Pulita si è parlato prevalentemente di acqua e ambiente; un dato mi ha impressionato: l’Italia nell’ultimo anno ha avuto un deficit idrico di 20 miliardi, spero di aver capito male; ma la lunga presentazione è stata veramente preoccupante; foreste che bruciano, comprensori agricoli sull’intero territorio nazionale arsi dalla siccità per la mancanza di acqua ad usi irrigui, ghiacciai che perdono il loro potere, danni causati dai cambiamenti climatici irreversibili, l’inquinamento delle acque dei fiumi e delle falde e tanto altro che sono pentito di non aver registrato questa trasmissione che si è spinta ad intervistare i massimi esperti nazionali che studiano il futuro del nostro territorio. Ho collegato tutto questo a chi si oppone alla costruzione della diga di Vetto sull’Enza e mi sono posto questa domanda: ma chi si oppone a quest’opera si rende conto di cosa sta facendo?; il no alla diga di Vetto è un no meditato o solo politico?; abbiamo l’agricoltura più importante d’Italia che un domani potrà sfamare i nostri figli e non si realizza un’opera che può garantirne la sopravvivenza? Credo che a fare il male del territorio non sia la politica ma chi approva tacitamente tutto ciò che dice, bene o male che sia.
(Pierluigi)
Mi riprometto sempre di non rispondere a certi commenti, ma di fronte al commento del signore che si firma Mc non posso farne a meno. Posso accettare che uno sia favorevole o contrario ad opere che modificano il territorio, immagino che chi vuole il male dell’agricoltura o degli agricoltori reggiani e parmensi si faccia in quattro per riuscirci, ma non posso accettare che si continui a dare disinformazione falsa e infondata, spero sia frutto di buona fede e non di malafede; una cosa è certa è frutto di ignoranza della materia. Parlare di nebbia è puerile, è esattamente il contrario, il lago provoca una corrente ascendente che contribuisce a ridurre la nebbia che ogni anno vedo Vetto; parlare di zanzare, preferisco non esprimermi, dico solo cosa faranno al lago Maggiore o negli altri laghi o dighe, dico solo che al lago del Bilancino i 6000 turisti che al sabato e alla domenica affollano le spiagge del lago non hanno la maschera; per il semplice motivo che le acque di una diga non sono acque stagnanti ma acque in continuo movimento; per i cambiamenti climatici il sindaco di Neviano disse ad un convegno, se ci sono, sono solo migliorativi. Ma la cosa che mi addolora e che speravo di non leggere più sono i confronti con il Vajont o il pericolo dei versanti; dire questo è assurdo e neppure onesto; a Vetto potrà nevicare in agosto ma non potrà mai esserci il pericolo Vajont, a meno che non si voglia costruire una montagna a picco sul lago di 2000 metri come il monte Toc e minarla per farla crollare nel lago; ma la cosa peggiore è che una persona, presumo incompetente in materia, metta in dubbio uno studio di impatto ambientale pagato più di 4 miliardi di vecchie lire da noi italiani che ha verificato la sicurezza dei versanti e ha scritto, nero su bianco, a pag. 647 che la diga di Vetto risulterà essere 10 volte più sicura delle dighe italiane; posso accettare che le “lontre” di Vetto non sapessero nuotare ma non posso accettare che si faccia del terrorismo ingiustificato tramite disinformazione assurda; ma seminare dubbi lanciando il sasso e ritirando la mano è un classico modo all’italiana. Se il signor Mc desidera prendere visione dello studio di impatto ambientale mi rendo disponibile in qualsiasi momento.
(Lino Franzini)
Mi scuso prontamente, signor Franzini. Non ho commentato i fatti, ho solo riportato ciò che più persone, a suo dire disinformate, mi hanno riportato. Io, come altri, non ho avuto accesso ai documenti ai quali fa riferimento. Se per lei è puerile la nebbia per me è trattare dei dubbi che le persone comuni come me, a suo dire ignorante e disinformato (grazie), comunque hanno; ritengo opportuna la sua precisazione(un po’ meno gli epiteti). Tenga presente che quando è stato fatto il Vajont lo si è presentato come sicuro e poi qualcosa è cambiato. Poi mi spiace deluderla, ma il sottoscritto è stato sempre favorevole alla diga. La diga è però un tema molto complesso e chi abita a Ciano deve potere dormire tranquillo, io ho solo tentato di evidenziare che i dubbi ci sono, forse puerili, ma ci sono e non è solo una questione politica. Nei commenti un punto condiviso è il cambiamento climatico. Questo deve portarci a riconsiderare un’opera che poteva sembrare non necessaria, ma soprattutto devono spingerci ad avere un’agricoltura e delle attività industriali che rispettino e utilizzino al meglio la risorsa idrica. Leggendo le sue righe mi pare che l’aspetto turistico sia predominante, io credo che la diga sia uno (e non il solo) dei possibili strumenti per gestire meglio una risorsa fondamentale.
(Mc)
Sì, il Vajont era stato presentato come sicuro, nonostante Edoardo Semenza, un giovane geologo di 32 anni, figlio di Carlo, l’ingegnere che aveva progettato la diga, avesse detto a suo padre come sarebbe andata a finire. Quel che è successo la sera del 9 ottobre del ’63 disse poi che aveva ragione. Non abbiamo elementi per escludere che il padre, non avendo dato nessuna importanza agli studi del figlio, possa anche averlo riempito di epiteti. Si continua ad insistere che a Vetto non c’è il monte Toc (pezzo, nel dialetto locale) ed è vero, ma, stando alle cartine dell’Ispra, la stabilità dell’area non sarebbe poi così omogenea. Anche alla diga di Scandarello non c’è una montagna a strapiombo alta duemila metri, ma durante lo sciame sismico si è temuto che un potenziale smottamento potesse portare allo stramazzo e gente responsabile si è messa lì a calcolare volumi in funzione del volume d’acqua presente nell’invaso. Dubbi, solo dubbi, sacrosanti dubbi.
(Mv)
Sarebbe interessante conoscere nome e cognome di quei geologi citati da Mc che hanno avuto un incarico professionale per trivellare migliaia di carotaggi ed effettuare costose analisi di laboratorio per dichiarare il versante parmense a rischio; questo dato, se fosse vero, comporterebbe la denuncia per chi ha autorizzato l’inizio dei lavori e per chi ha redatto progetto e studio di impatto ambientale; credo che Mc deve dire questi nomi, o se questo è frutto di chiacchiere da bar di chi è contro la diga di Vetto. Le ipotesi più sballate e dove ognuno può dire la sua si possono fare alla Stretta delle Gazze, dove non esiste nessun progetto e nessuna verifica della sicurezza dei versanti, ma non a Vetto dove sono stati appaltati e iniziati. Nell’occasione ci tenevo a dire che per delle lontre un lago è il paradiso terrestre, specie se ci sono delle trote, ma un lago è un paradiso per tutta la fauna. Da parte mia una diga va fatta o alle Gazze, se risultasse fattibile, o a Vetto che sarebbe la cosa più logica.
(Daniele)
Vedo che il signor Franzini ha già risposto in maniera esaustiva a MC. Ogni diga è diversa dalle altre e paragonare quello che è successo altrove con Vetto è pura follia. Oltretutto l’esempio della Val di Stava riguardava una vasca di contenimento di una miniera, non una diga seria. Una diga come quella di Vetto sarebbe estremamente sicura, uno perché è in terra e quindi antisismica per sua natura costruttiva, e due perché grazie alla grossa superficie del suo invaso avrebbe una capacità di laminazione delle piene di svariati milioni di metri cubi anche nella condizione più gravosa (a massimo invaso). Anche a opera in esercizio il controllo delle sponde del lago verrebbe effettuato per legge a prescindere in maniera costante.
(FH)
P.S. Cosa c’entra l’agricoltura con l’energia? L’agricoltura e l’alimentare sono al secondo posto per i consumi di energia elettrica in provincia di Parma con circa 700 GWh nel 2016, dati di terna.