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Ciao a “Neville”, villeggiante e amico di Cortogno

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Renato Canovi

“Canovi” - come lo chiamavano un po’ tutti, a Cortogno ma anche a Casina - se ne è andato. Renato per l’anagrafe, in famiglia e per gli amici di gioventù era Neville, nome che nel 1934 risultò sgradito al regime fascista perché di origine inglese.

Nato in una casa di campagna al Ghiardo, giusto sul confine tra Reggio e Quattro Castella, Neville è cresciuto nei quartieri popolari di città: le casette operaie di via Daria Malaguzzi, a Ospizio; la corte “popolarissima” di Bainsizza, soprannominata con humour dai reggiani “Sing Sing” per via dei lunghi ballatoi bianchi; il quartiere Giardino a due passi dal Santa Maria Nuova, in via Balletti.

La prima conoscenza della montagna è con gli amici, tutti emuli di Coppi, tentando la scalata del Cerreto, magari la discesa a Marinella di Sarzana. E ritorno, in giornata! Dopo è arrivato lo sci, le prime scarrozzate in auto sui tornanti di Casina. In Appennino si andava volentieri: c’era aria buona e cibo genuino.

Cortogno è venuta così. Con la voglia di un posto per l’estate, spazioso e ben ventilato, quando giù in città si abitava affollati. L’occasione arrivò intorno tra il 1966 e il 1967, tramite Meris, di cognome Domenichini, una ragazza che lavorava nel laboratorio di serigrafia impiantato al ponte di S. Pellegrino da Neville. Il padre Riccardo era amico di Naviglio Camorani: entrambi agricoltori, avevano lasciato il Tassobbio per tentare nuovi fondi, più floridi, dalle parti del lago Tibbia, a Rivalta. La ruota della storia stava girando: dall’Appennino vi era chi scendeva con la speranza di un avvenire migliore, mentre i primi cittadini prendevano a salire nelle valli di montagna, cercando una migliore qualità della vita.

Il rogito del rustico (con un po’ di terra annessa) data al marzo del 1968. La casa fu sistemata secondo i costumi “moderni” del momento, ancora inediti per Cortogno: pavimentazioni in palladiana, un bel po’ di cemento, persino il taglio di una vecchia casa per ricavarci la terrazza. Le estati trascorse a Cortogno diventarono sempre più lunghe.

Nonno Remigio portò la novità delle rose coltivate. La nonna Filomena, sarta, dispensava buoni consigli di cucito. Il pranzo annuale in casa con don Antonio divenne un rito, naturalmente infarcito di lazzi e battute gioviali, tra vita e politica, essendo i Canovi notoriamente “rossi”. Qualche volta arrivava una lepre da cucinare, portata da Giuseppe.

Cortogno da luogo di villeggiatura è infine diventato un paesaggio domestico.

Renato Canovi, con la moglie, il giorno del matrimonio

Da bambini, per nove mesi si abitava giù in città, nei tre mesi di vacanze scolastiche si stava a Cortogno. Diventò piacere atteso la salita alla Fontana del bosco o la discesa per bagnarsi nel Tassobbio, ma anche il gnocco con la panna portato da un camioncino di Marola. La latteria era un punto di riferimento. Così la bottega di Olga.

E poi il via vai con le famiglie della Costa, i Costoli e i Domenichini. La geografia quotidiana arrivava fino ai Teggi.

Non è dunque apparso strano, nel 1988, che Neville e Lucia abbiano deciso di porre qui la propria residenza. Non proprio per tirare i remi in barca, certo con l’idea di prendere un po’ di fiato, dopo tanti anni di lavoro. E da villeggianti sono diventati cortognesi.

(Antonio Canovi, per gentile concessione del periodico "Cortogno 2017")

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