Home Cultura Valerio Varesi a Castelnovo ne’ Monti

Valerio Varesi a Castelnovo ne’ Monti

55
0
Valerio Varesi

Incontro Valerio Varesi, il celebre creatore del commissario Soneri, che nella serata di ieri, giovedì 9 marzo, ha presentato a Castelnovo ne’ Monti il suo ultimo libro, “Il commissario Soneri e la legge del Corano”. Di seguito la nostra chiacchierata per Redacon.

D: Valerio Varesi, originario di Torino, a cosa si deve la scelta di abitare a Parma e in quale modo la città ha influenzato i romanzi che hanno per protagonista Soneri?

R: Si è trattato di una scelta obbligata in quanto quando avevo tre anni mio padre ebbe un incidente sul lavoro, cosicché la mia famiglia dovette rivolgersi alla rete di parenti perchè potesse accoglierla ed aiutarla. Anche se vi sono solo cinque giorni la settimana Parma resta la mia città, vi sono cresciuto e credo che interpreti bene le dinamiche che si svolgono nelle città di medie dimensioni del Nord Italia.

D: Molti anni fa, in una sera di nebbia, mi trovavo a Parma in piazza Duomo e per un momento non mi è parso impossibile che dalle stradine laterali, illuminate dai lampioni dalla luce giallastra, potesse sbucare una carrozza a cavalli. Parma è, ancora oggi, un luogo ricco di scorci pittoreschi nei quali si può ritrovare l’aura dell’Ottocento, non è mai stato catturato da queste atmosfere e spinto a scrivere un romanzo ambientato, magari, all’epoca di Maria Luigia?

R: No, perché la mia idea del romanzo noir è attuale e lo uso come strumento per indagare l’oggi. Ritengo che la figura di Maria Luigia sia inflazionata, poi magari i parmigiani non ne conoscono neppure bene la storia. Inoltre reputo che Verdi e il melodramma siano stati ampiamente celebrati.

D: Sono convinta che i personaggi rispecchino sempre una parte dell’autore, sia che in essi si riconosca, sia che ne siano l’opposto. Ne rappresentano le convinzioni e le idee, o il contrario delle stesse; quanto di lei è Soneri e quanto di ciò che non le piace di se stesso mette nel commissario o negli altri personaggi?

R: Soneri è simile a me, seppur con percorsi ed esperienze di vita diverse non vi è alterità tra le due sensibilità e abbiamo lo stesso sguardo verso il mondo. Le caratteristiche negative che attribuisco ai personaggi e che riconosco come mie sono la difficoltà di comunicare, l’incapacità di capire il mondo; la forte antipatia verso chi è pieno di sé o quanti stolidamente perseguono vie burocratiche senza soffermarsi a farne un’analisi o averne un’opinione.

D: Alcuni illustri colleghi di Soneri: Maigret, Nero Wolfe, Poirot e il più recente Montalbano sono come lui dei buongustai; la buona tavola appaga quasi tutti i sensi: la vista per la presentazione del piatto, l’olfatto per gli aromi che sprigiona lasciandone pregustare la delizia, il tatto per la consistenza del cibo e il gusto, quando finalmente lo si assapora. Cos’è l’appagamento per Valerio Varesi?

"Il fiume delle nebbie" 2003

R: Realizzare te stesso, ottenere quello che desideri, scrivere. Quando poi giunge il successo ne ricavi un senso di sicurezza, attraverso i libri crei un contatto con le persone, un coinvolgimento, ne scaturiscono discussioni e si formano comunità. Nel mio caso il successo è arrivato con “Il fiume delle nebbie” che nel 2003 partecipò al Premio Strega piazzandosi settimo. Poi si sa, il passaparola tra i lettori, anche il solo parlarne da parte di chi non lo ha apprezzato, ha fatto sì che nascesse l’interesse per il commissario e per il suo autore.

D: Negli ultimi romanzi si presentano argomenti di grande attualità: immigrazione, integrazione, xenofobia, politica. Quanto può e/o vuole, un romanzo, influenzare la pubblica opinione?

R: Il tentativo è quello, comunicare la mia rappresentazione del mondo, scrollare le rigidità ideologiche mostrando diversi punti di vista, sollecitando le coscienze a prendere in considerazione più aspetti di una vicenda tenendo presenti fattori che magari non ci appartengono ma che è indispensabile conoscere per poterla valutare.

"Nebbie e delitti", la serie televisiva

D: Dalle storie del commissario Soneri è stata tratta la serie televisiva “Nebbie e delitti”, interpretata da Luca Barbareschi. E’ stata ambientata a Ferrara immagino a causa di una serie precedente, “Trenta righe per un delitto”, girata sempre a Parma e con Barbareschi di nuovo nel ruolo di protagonista. Nel susseguirsi delle puntate alcuni particolari sono stati modificati, la città, la fidanzata… Nel momento in cui un autore cede i diritti dell’opera rinuncia anche alla propria paternità?

R: Sì, il produttore può cambiare quello che crede. Soprattutto deve osservare la meccanica televisiva del politicamente corretto. Nulla deve essere troppo forte, la narrazione stessa deve essere scorrevole; poi bisogna tenere conto delle pause pubblicitarie, del fatto che durante la pubblicità lo spettatore cambia canale e quando si sintonizza, magari perdendo delle battute, non deve comunque perdere il filo narrativo.

D: Stephen King disconobbe “Shining” di Kubrick al punto da adattarne il romanzo per una miniserie televisiva; ritiene che nel complesso Soneri televisivo abbia mantenuto lo spirito originario o che si sia adeguato alle preferenze dello spettatore? Non sarebbe la prima serie televisiva che ha subito cambiamenti drastici rispetto agli inizi (interpreti, località, svolte narrative).

R: King e Kubrick sono entrambi dei geni, era prevedibile che fossero in contrasto, io credo che Barbareschi abbia bene interpretato Soneri, raffigurandone lo spirito ed il temperamento, così come mi è piaciuta la Stefanenko. Purtroppo ci sono stati i cambi di ambientazione, dovuti ad accordi economici per dare risalto a certi i territori, alcuni dei quali con la Pianura Padana non avevano nulla a che fare. Non per niente la prima serie di “Nebbie e delitti” ha avuto un seguito che è andato via via calando nelle serie successive che hanno apportato modifiche sostanziali.

D: Agatha Christie pose fine alla vita dei suoi celebri investigatori, il commissario Soneri ha un destino già tracciato, se non addirittura scritto?

R: Soneri è un personaggio che invecchia come tutti noi, quindi è destinato a morire, ma per ora non ne sono ancora stanco e continuo a trovarlo stimolante.

D: L’autore è una sorta di divinità, crea personaggi, situazioni, conclusioni… Perché una divinità decide di infliggere una pena alle sue creature?

R: Premetto che non mi sento una divinità, però sì, è vero, un autore ha la facoltà di creare dei personaggi i quali però, sembra difficile da credere, acquisiscono un’autonomia propria nel divenire della storia. Può essere che abbia pensato per loro un destino e che poi, quasi autonomamente, prendano la loro strada, seguendo una traiettoria che mi si impone. Creo premesse che ne aprono altre inaspettate.

D: In Italia si pubblicano moltissimi titoli, ciò nonostante restiamo un Paese nel quale si legge poco, si è fatto un’idea del motivo?

R: Siamo molto più ignoranti della media europea, o meglio, abbiamo una élite molto acculturata e la stragrande maggioranza che non si avvicina ad un libro se non in occasione della strenna natalizia. Manca il lettore medio. In Italia il “Centro per il Libro e la Lettura” (Cepell, è un istituto autonomo del Ministero per i beni e le attività culturali ed ha il compito di divulgare il libro e la lettura in Italia e di promuovere all’estero il libro, la cultura e gli autori nazionali, n.d.r.) stanzia all’anno 1.400.000 euro contro i 70.000.000 di altri Paesi europei. Inoltre bisogna considerare che il nostro è un paese cattolico, il che significa che il libro non è il tramite tra noi e Dio, mentre lo è per i Protestanti e gli Ebrei che, fin da piccoli, sono istruiti ad utilizzare il libro come mezzo per dialogare con il divino. Per loro quindi il libro è un mezzo consueto, con il quale hanno una familiarità che a noi manca.

D: L’analfabetismo di ritorno è ormai una piaga dilagante, in alcuni programmi televisivi a quiz, molto seguiti, si assiste a risposte a dir poco imbarazzanti. Facciamoci due risate, gliene racconto una: “Il nome della maga che amò Giasone?” La risposta era facilitata: "M….". Cosa rispose la brillante concorrente, senza esitazione alcuna? “Magò”. Non aggiungo altro, lei?

R: Il celebre linguista Tullio de Mauro fece un’analisi sconfortante: il 70% della popolazione non comprende un testo di media difficoltà. Ne consegue che l’“analfabetismo funzionale” porta all’impossibilità di comunicare il proprio pensiero e quindi di intervenire attivamente nella società. Non potendo apportare il proprio contributo l’individuo si aliena dalla comunità, la disgregazione della quale diventa inevitabile. Aggiungo che il ’68, per quanto riguarda la Scuola, è stato devastante. Ha distrutto un apparato, se si vuole obsoleto, senza però fornire un sostituto confacente. Per fare un esempio: nelle università ci sono docenti inadeguati, di sessant’anni, che ancora occupano un posto senza che le nuove leve, auspicabilmente più preparate, possano accedere alla cattedra.

D: L’Italiano è una lingua ricchissima di sfumature attraverso le quali si può esprimere con esattezza il proprio pensiero. Esiste il linguaggio della Filosofia, dell’Arte, dell’Economia, ma a mio avviso oggi è orientato verso un livello basso quanto omogeneo e, soprattutto, verso l’espressione da sms. Qual è la sua impressione rispetto al modo di esprimersi del giorno d’oggi?

R: C’è un evidente appiattimento dovuto alla comunicazione, in primis quella televisiva e mi riferisco anche ai giornalisti, i quali, ormai, disdegnano l’uso del congiuntivo. Poi c’è stato lo sdoganamento del linguaggio triviale e l’introduzione massiccia dell’Inglese. Il mio traduttore in lingua Inglese, in visita in Italia, mi ha chiesto stupito come mai qui si trovino i wine bar e se non avessimo un termine italiano da utilizzare. Nella stazione ferroviaria di Bologna c’è un servizio che è stato chiamato “Kiss&Ride”, serve per essere utilizzato dalle auto solo per soste brevi, cioè il tempo strettamente necessario per discesa o salita dall’auto dei passeggeri, in pratica… “bacia e guida”. Peccato che il mio amico scozzese, con l’umorismo che lo contraddistingue, mi abbia detto che in pratica per loro ha più il significato di “bacia e cavalca”, non proprio da bon ton…! Così, nel tentativo di essere internazionali otteniamo solo il risultato di renderci ridicoli. Teniamo presente, inoltre, che più di cento docenti del Politecnico di Milano hanno protestato contro il provvedimento che prevede l’Inglese come unica lingua delle lauree di secondo livello e dei dottorati di ricerca; questo nonostante la nostra sia la quarta lingua più studiata al mondo.

D: Come vede un uomo di cultura e di studio quale lei è i programmi di intrattenimento sempre più basati sulla volgarità, il tormentone demenziale e l’assenza di contenuti che oggi vendono per umorismo?

R: Lo vedo come un vuoto di idee, un vuoto culturale. Il livello è sempre più rivolto verso il basso; libri per adulti (un nome per tutti: Sepúlveda) che invece dovrebbero essere catalogati per ragazzi. Quando frequentavo le Scuole Medie si leggevano testi di maggiore spessore, un altro segno dei tempi che cambiano e non in meglio. Abbassare il livello del popolo era nel progetto di Licio Gelli: un popolo che non sa e non ricorda è più facilmente manovrabile.

D: Oltre che scrittore è giornalista, esiste una maggiore libertà nel poter esprimere in un romanzo le proprie idee o bisogna far fronte alle richieste dell’editore?

"Lo stato di ebbrezza" 2015

R: No, non ho mai avuto limitazioni, quando scrissi “Lo stato di ebbrezza” feci presente all’editore del Gruppo Mondadori (presidente Marina Berlusconi) che nel libro avrei parlato di Silvio Berlusconi. Mi venne risposto che non c’era alcun problema perché su di lui avevano pubblicato di tutto.

D: Il suo romanzo che preferisco è “Labirinto di ghiaccio”, purtroppo non lo ricordo con nitidezza, ma forse quello che si rammenta rappresenta ciò che il libro ha veramente significato; ho ravvisato una dicotomia tra la reclusione claustrofobica in un labirinto sotterraneo e la permeabilità del ghiaccio alla luce, ai ritrovamenti che il protagonista fa nel corso degli scavi. Qual è il suo rapporto con la società civile, specialmente se vista attraverso la lente del cronista?

R: Non ho mai pensato a una divisione tra società civile e società politica e credo che abbiamo i politici che ci meritiamo. Nella società civile abbiamo associazioni di volontariato che fanno un’opera encomiabile, ma abbiamo anche truffe colossali; la società italiana non mi piace molto perché non vi è coesione. Prendiamo gli Statunitensi, sono un popolo eterogeneo, diremmo multiculturale, ma intendiamoci, la cultura dominante resta quella anglosassone e in ogni caso quando si trovano davanti alla bandiera o alla Costituzione non ci sono discussioni. Gli stessi Inglesi e Francesi hanno divisioni interne ma si ritrovano nell’unità nazionale.

D: Soneri e il silenzio, Varesi e il silenzio…?

R: E’ essenziale, ho bisogno di rimanere da solo ed in silenzio. Ogni giorno devo trovare un momento per restare da solo con me stesso, sedimentare quello che è avvenuto, ritrovare il mio dialogo interiore. Sono stato un bimbo taciturno ed introverso, questo aspetto non è cambiato nel corso degli anni.

D: Come autore di romanzi, terminato il lavoro, ha sempre la sensazione che sia compiuto o, anche a distanza di tempo, che alcuni passi potessero essere meglio sviluppati?

R: Ho sempre la sensazione di insoddisfazione, ma non sono il tipo di autore che rinnega i propri scritti quando in essi non si riconosce più o non del tutto. Ogni giorno dormiamo e ci svegliamo, un po’ come morire e rinascere. Ogni giorno qualcosa cambia, ma quello che ho scritto mi apparteneva in quel momento, pensavo che fosse il meglio, ero così e devo accettarlo anche con le critiche che posso muovermi rileggendomi tempo dopo.

"Il commissario Soneri e la legge del Corano" 2017

D: Di primo acchito mi sembra una persona schiva, riservata, se è così come concilia il suo carattere con le presentazioni al pubblico?

R: E’ stata una lotta dura, le prime volte che apparivo in pubblico mi sentivo imbranato, mi venivano addirittura le vampate di caldo. Poi, come capita nei momenti difficili, si lancia il cuore oltre l’ostacolo e si superano le remore. Dalla difficoltà di esprimermi a volte finisce che parlo più di quanto vorrei e la mia maggiore preoccupazione è non comprendere l’interlocutore, non riuscire ad avere un dialogo con lui.

D: Non è la prima volta che viene a Castelnovo per una chiacchierata con gli spettatori, c’è qualcosa che la lega al nostro Appennino, è stata casualità, nel tempo ha conosciuto i nostri luoghi?

R: A Castelnovo venivo da tempo, trovo che l’Appennino reggiano sia più popolato di quello parmense, ciò nonostante ha un aspetto più selvaggio, dovuto alle montagne più alte, alla sua stessa conformazione. Insomma, è più “montagna”.

D: Ultima domanda, di rito: progetti per il futuro?

R: Ho in progetto un libro strano, tratterà della menzogna e dell’ansia di protagonismo della nostra epoca. Senza il commissario Soneri…