Riceviamo e pubblichiamo.
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La presenza incontrollata di branchi di lupi nelle aree dell’Appennino reggiano sta scoraggiando sempre di più le attività di allevamento, uno dei principali tessuti economici delle aree montane, e minando lo stesso equilibrio ambientale e l’assetto idrogeologico che trova nella presenza delle attività umane un fattore di stabilità. Lo affermano i vertici di Coldiretti Reggio Emilia, Vito Amendolara e Assuero Zampini, commentando positivamente i contenuti del Piano Nazionale per la conservazione del lupo che prevede anche l’eventuale abbattimento di capi.
Se la richiesta di attenzione alla questione dei danni da animali selvatici, tra cui i lupi, posta alla Regione è rimasta inevasa, con il Piano Nazionale appena varato si prende almeno in considerazione il problema e se ne prospettano soluzioni. Solo in Emilia Romagna – ricorda Coldiretti Reggio Emilia – tra il 2010 e il 2016, gli allevamenti di pecore e capre, i più colpiti dai lupi, sono passati dai 3.300 a 2.500, con una diminuzione dei capi allevati da 87mila a 76mila.
«Gli allevatori – commentano Amendolara e Zampini di Coldiretti Reggio Emilia – non ne possono più di allevare capi per alimentare i lupi. Nel 2015 sono stati uccisi in regione più di 300 capi, a queste perdite si aggiungono i più pesanti danni collaterali. Gli animali, infatti, a causa dello stress provocato dagli attacchi riducono drasticamente la produzione di latte, con pesanti tagli al fatturato aziendale. Non sono solo preoccupati gli allevatori ma anche la popolazione civile preoccupata dall’avvicinamento dei branchi di lupi alle case».
Secondo gli ultimi dati disponibili dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sull’Appennino emiliano romagnolo – ricorda Coldiretti regionale – ci sono mediamente più di 200 lupi ai quali bisogna aggiungere un numero indefinito di ibridi, cioè di capi nati dall’incrocio di cani e lupi. Proprio nei confronti di questi canidi bisognerà intervenire decisamente per salvare le pecore e gli stessi lupi.
«È necessario – affermano Amendolara e Zampini – lavorare sulla prevenzione attiva e contemporaneamente contenere la popolazione di lupi come prevede il Piano Nazionale, intervenire decisamente per eliminare la presenza e la diffusione dei canidi. È urgente organizzare a livello provinciale un coordinamento per dar seguito al Piano Nazionale e salvare così il reddito degli allevatori e salvaguardare lo stesso patrimonio di biodiversità rappresentato dal lupo (specie canis lupus) del nostro Appennino».
«È necessario cominciare ad operare sul fronte indicato proprio da Ispra – conclude Coldiretti Reggio Emilia – per evitare l’estinzione della specie lupo e cioè mettere in piedi rapidamente misure per la cattura e la sterilizzazione dei capi non appartenenti alla specie canis lupus e, nel caso questo non fosse possibile, bisognerà pensare anche di portare la raccomandazione dell’Unione europea di salvaguardare prioritariamente il lupo fino all’estrema conseguenza dell’abbattimento degli ibridi.
Contemporaneamente è anche necessario da parte dell’ente pubblico – concludono Vito Amendolara e Assuero Zampini – garantire il sostegno economico finanziario per una adeguata attività di prevenzione (indispensabile per ottenere il risarcimento dei danni) e assicurare efficienza ed efficacia nel sistema di accertamento e risarcimento dei danni per garantire un completo reintegro della perdita di reddito affinché la convivenza tra l’animale e l’uomo non porti all’abbandono dell’attività di allevamento. Non sarebbero solo gli allevatori a perderci, ma l’intera comunità, poiché i pastori attraverso la loro opera conservano e valorizzano la montagna e le sue tradizioni».
Cari signori Vito e Assuero, vi siete scordati di menzionare di sterminare anche le volpi, tassi, faine, falchi, ecc., ecc. Anch’essi possono arrecare danni agli allevatori. Vedete, sarebbe presuntuoso pretendere di avere il pollaio aperto e non rischiare di perdere qualche gallina, se gli allevatori fanno bene il loro mestiere proteggendo il bestiame adeguatamente e soprattutto sorvegliandolo, non lasciandolo all’abbandono, i lupi se ne starebbero alla larga. Da montanaro e figlio di contadini ritengo che l’esplosione demografica degli ungulati sia il vero problema sia per la sicurezza stradale che per il grufolare nel terreno dedicato alla produzione del foraggio per produrre il Parmigiano Reggiano di montagna, foraggio irrimediabilmente inquinato dalla terra smossa dai cinghiali. Il Parmigiano è la sola certezza per il nostro territorio. Il lupo è stato l’unico selettore naturale che ha fatto diminuire i caprioli. Poi mi chiedo, da cittadino contribuente tutti i soldi spesi per finanziare il progetto lupo li buttiamo dalla finestra? Dalla politica mi aspetto una risposta intelligente e sensata. In conclusione del vostro articolo noto che non si manca di chiedere ancora soldi, penso che di aiuti finanziari ne siano già distribuiti a sufficienza per sostenere l’agricoltura, specialmente in montagna; chi intraprende un’attività non può vivere di solo assistenzialismo, deve rischiare anche del suo.
(Gigio)