Pare esservi una correlazione tra le immissioni autorizzate di selvaggina e incremento dell’avvistamento di lupi che, come documentato, sono presenti ormai fino alle basse colline della provincia di Reggio Emilia. “Va premesso – scrivono assieme Dino Vecchi, delegato della Lega per l’Abolizione della Caccia, Rossella Ognibene, di Amici per la Terra Reggio Emilia, Daniela Casprini, della Associazione vittime della caccia, Clizia Ferrarini, presidente di Legambiente Val d’Enza – che è scientificamente provato ed ampiamente noto che tutti gli animali selvatici, se ben alimentati, non solo resistono bene alle malattie, ma si riproducono con maggior vigore e le cucciolate hanno una mortalità inferiore. Inoltre è noto che i predatori si focalizzano sulla ricerca di prede facili per evitare gli sforzi inutili e il pericolo di rimanere feriti. Quindi cosa c’è di più facile per un lupo che nutrirsi di animali non abituati ai predatori o direttamente di animali morti?”
Da qui la logica domanda che si pongono le associazioni: “come i lupi possono procurarsi con tanta facilità il cibo?” Da qui l’analisi dei dati a disposizione. La Regione Emilia Romagna, nel Quadro Conoscitivo per la Redazione del Piano Faunistico Venatorio, illustra quanti animali sono stati immessi per motivi venatori: a pag. 282 si legge che nel solo anno 2014 le aziende faunistico venatorie di Reggio Emilia hanno immesso 10.052 fagiani. “Fagiani che potremmo paragonare a ‘polli d’allevamento’ – lamentano le associazioni – , a chi non è capitato di imbattersi in fagiani che tranquillamente camminano vicino alle strade o alle case? Secondo voi questi animali sono in grado di adattarsi ad una vita selvatica? Secondo voi non sono facile preda di lupi? Pure i gatti domestici riescono a prenderli”.
I dati continuano (pagg. 255 e 256), nel 2014 sono state immesse, in Emilia Romagna, n° 29277 Pernici Rosse. Gli Ambiti territoriali di caccia (Atc) che immettono il maggior numero di Pernici Rosse (circa il 50% del totale) sono: FC02 (13%), RE04 (11,3%), BO03 (10,1%), PR06 e RE03 (7,1% ciascuno). Quindi gli ambiti reggiani A.T.C. RE4 (montagna) e RE3 (collina) hanno immesso ben 5.386 Pernici Rosse a cui ne vanno aggiunte altre 220 immesse dalle aziende faunistico venatorie di Reggio Emilia. In un solo anno 5.600 pernici rosse immesse in collina e montagna, animali che essendo cresciuti in cattività non hanno mai visto un predatore.
Ancora (pagg. 263 e 264) nel 2014 sono state immesse, in Emilia Romagna, 15.085 Starne da parte degli A.T.C. a cui vanno aggiunte 1.925 immesse dalle aziende faunistico venatorie di Reggio Emilia. “Anche in questo caso – scrivono – animali allevati per essere uccisi dai cacciatori e che non conoscono minimamente i pericoli della vita selvatica”. “Fagiani, Starne, Pernici Rosse sono tra gli animali che l’ISPRA (cioè lo Stato) individua come prede delle volpi, causa quindi dell’aumento del numero delle volpi, figuriamoci se non sono prede per i lupi: quale lupo disdegna un bel fagiano che razzola tranquillo!?”
“A questo dovremmo aggiungere che sarebbe necessario anche un adeguato controllo dello smaltimento delle viscere di caprioli, cervi e cinghiali uccisi sul territorio. Se queste fossero lasciate nei boschi e nei campi, nella stagione venatorio 2013/2014 avremmo avuto ben 57,5 tonnellate di carne a disposizione dei lupi. La cifra non è una pazzia è semplicemente calcolata partendo dai dati di Federcaccia di Piacenza (‘Corso di Formazione per Aspiranti Cacciatori di Ungulati con metodi selettivi’) in cui si stima, per singolo animale, un peso medio a pieno, cioè coi visceri, di circa 20 Kg per il Capriolo, di circa 60 Kg per il Cervo e di circa 80 Kg per il Cinghiale. I visceri di questi animali rappresentano, del peso vivo di ogni soggetto ucciso, circa il 25% per il Capriolo, circa il 35% per il Cinghiale e circa il 30% per il Cervo”.
“Nell’annata venatoria 2013/2014 sono stati uccisi 4.617 Caprioli, 269 Cervi e 1335 cinghiali nella sola provincia di Reggio Emilia (dati forniti dalla Provincia di Reggio Emilia con nota del 17/11/14 prot. 62554). Basta fare due conti e si arriva alle decine di tonnellate, basterebbe una minima percentuale lasciata sulle colline e sulle montagne che tanto cibo sarebbe a disposizione dei lupi. Per questo riteniamo che sia necessario che la Regione Emilia Romagna vieti l’immissione continua di fagiani, lepri, pernici e starne, come sia necessario un controllo ferreo sullo smaltimento delle viscere degli ungulati. Non si può urlare ‘Al lupo, al lupo’ e poi nutrirlo”.
E nonostante tutti questi lupi, che stanno facendo strage di cani, gatti e selvaggina varia, i cacciatori provano ancora piacere nell’uccidere ben 3153 caprioli con la caccia di selezione 2016-2017. Oltre al lavoro solerte dei bracconieri che non smettono mai di mettere lacci e tagliole. Anni fa si vedevano 8-10 caprioli in branco, ora è tanto se ne intravedono 1 o 2 al massimo. Nella zone di Campolungo – Noce – Pietra di Bismantova non se ne vede più nessuno! Li vogliamo proprio sterminare questi ungulati. Vogliamo abolire questa malefica “caccia di selezione” che non è altro che un pretesto per far divertire i cacciatori?
(Antonella Telani)
La caccia di selezione non ha lo scopo di far divertire i cacciatori, ma il suo obiettivo è quello di mantenere la densità di popolazione di ungulati al di sotto di limiti prefissati da appositi tecnici. Il numero di animali da prelevare è stabilito dalla Provincia/Regione in base a stime/conteggi della popolazione, sulla scorta di calcoli che fanno appositi tecnici e sentito il parere dell’Ispra. Quando si vedevano 8/10 caprioli per campo i limiti erano ampiamente superati.
(Marco)
Quindi, secondo quest’analisi, nel periodo che va da febbraio ad agosto i lupi digiunano? Lo chiedo perché in questi 6 mesi non si effettuano immissioni di selvaggina e non si pratica la caccia. Curioso…
(Roberto)
Quindi da febbraio ad agosto non esistono lepri, fagiani, pernici, starne? Estinte? Anche accogliendo la sua teoria, risponda a questa domanda: perché allora nutrire il “pericolosissimo” lupo da settembre a gennaio? Giusto per essere precisi, la caccia di selezione però si pratica pressoché sempre. Attendiamo risposta.
(Legambiente Val d’Enza)
Quando arriva febbraio “la caccia” ha prodotto prelievi e la selvaggina rimasta sul territorio è assolutamente rinselvatichita al 100%; tant’è che negli ultimi anni grazie alle immissioni abbiamo potuto riosservare nidiate di fagiani e pernici, cosa mai vista anni fa. La predazione del lupo su questi animali infatti è minima e questo invalida completamente la vostra teoria che non è altro che pura e grottesca propaganda anti caccia. Per quanto riguarda la caccia di selezione non è assolutamente sempre aperta, ha calendari e regolamenti ben precisi e tutti disponibili.
(Roberto)
Roberto, non ha risposto alla nostra domanda: anche accogliendo la sua teoria, perché allora nutrire il “pericolosissimo” lupo da settembre a gennaio? Caccia di selezione, prendendo solo alcuni periodi di alcune specie: quella al cinghiale va dal 15 aprile al 31 gennaio, capriolo 1 gennaio – 15 marzo, piani di controllo della volpe tutto l’anno. Un’osservazione: basta fare le strade principali e non è raro vedere fagiani, quindi questi sono fagiani rinselvatichiti che il lupo non riuscirebbe a predare? Lo stesso lupo che però sbranerebbe cani, caprioli, ecc. Curioso…
(Legambiente Val d’Enza)
Io ho sempre saputo che caprioli e cervi hanno al massimo due piccoli all’anno: uno lo falcia il contadino con le lame rotanti mentre sega l’erba, l’altro deve stare attento ai cacciatori, ai bracconieri, alle auto, ai lupi… E nonostante tutto ce ne sarebbero migliaia da uccidere tutti gli anni? Mah! C’è qualcosa che non torna. Non è che la Provincia fa fare le stime e i conteggi ai cacciatori? Solo allora si spiegherebbe il perchè non si vede più un capriolo in giro. Una volta alla prima neve si chiudeva la caccia, l’altra mattina ho sentito sparare nei boschi sotto Berzana: quanta neve ci vuole?
(Antonella Telani)
Sarebbe interessante vedere quanti soldi entrano nelle casse degli Atc grazie alla caccia di selezione, peccato che accedere ai bilanci degli Atc sia cosa per pochi e non per tutti.
(Legambiente Val d’Enza)
Signor Roberto, non perda tempo, non capiranno mai, è solo un pretesto per dare contro la caccia. Avevo scritto un altro commento ma Redacon non me lo ha mai pubblicato. Signori di Legambiente ecc. ecc., andate anche ad occuparvi di chi inquina invece che avercela sempre con noi cacciatori, che noi le nostre tasse le paghiamo.
(Simone)
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Il Suo precedente commento non ci risulta, fatto salvo che comunque la redazione si riserva di pubblicare quanto ritiene pertinente. Lo rinvii, se crede, e lo vaglieremo.
(red)
Ringrazio il signor Roberto per avermi dato la possibilità di puntualizzare alcuni dati e fatti che la Regione Emilia Romagna ha dovuto, suo malgrado, ufficializzare nel quadro conoscitivo per la redazione del Piano Faunistico Venatorio regionale dell’Emilia Romagna. Questi dati e fatti dimostrano che Diana, la dea della caccia, in realtà è nuda e la responsabilità ricade in massima parte sui cacciatori e su chi non ha provveduto a far rispettare la normativa in vigore, nello specifico l’art. 32 ter della L.R. n. 8/1994 (commissariamento degli ATC).
In merito al ripopolamento di starne, la Regione scrive: “la starna è presente in Emilia Romagna in nuclei disgiunti e non autosufficienti frutto di regolari interventi di ripopolamento che portano annualmente alle immissioni sul territorio di circa 15.000 capi in ATC, 8.000 in AFV e si traducono in un prelievo a carico della specie pari a circa 1.400 capi all’anno, a cui si aggiungono gli effettivi abbattuti in AFV. I dati disponibili su consistenza e distribuzione, parziali ed incompleti, non aiutano a delineare un quadro conoscitivo più dettagliato.” (Cfr. Quadro conoscitivo per la redazione del Piano Faunistico Venatorio regionale dell’Emilia Romagna – pag. 423).
Eppure la L.R. 8/1994 all’art. 33 – comma 1, prevede: “che gli ATC prediligono programmi annuali di attività avvalendosi per la parte tecnica di professionalità specifiche, che riguardano in particolare:
a) la ricognizione delle risorse ambientali, nelle presenze faunistiche e dei prelievi venatori programmati;
b) l’incremento delle popolazioni animali selvatiche”.
Come mai gli ATC inadempienti non sono stati commissariati dalle Province? Ma c’è di più, nel quadro conoscitivo per la redazione del Piano Faunistico Venatorio regionale dell’Emilia Romagna (Cfr pag. 420) si legge: “dal 2013 la Regione Emilia Romagna ha vincolato il prelievo di Pernice Rossa e Starna all’elaborazioni di piani di gestione per le due specie, senza però raggiungere i risultati auspicati per l’assenza di un efficace controllo dei prelievi e la mancata applicazione di metodiche di monitoraggio standardizzate sulle quali basare la programmazione del prelievo.” Per il Fagiano: “in tutti i PFV, nei seminari di gestione faunistica (incontri seminariali sulla conservazione e la gestione della fauna selvatica 2014), in bibliografia (Franzetti B. e Toso S., 2009; Mazzoni della Stella R. e Santilli F. 2013), si fa ampiamento riferimento ai rischi sanitari e genetici connessi alle immissioni e al loro impatto economico e alla scarsità di risultati in termini di incremento della produttività naturale. A fronte di numerose e ripetute sollecitazioni a una loro progressiva graduale riduzione, la gestione del fagiano è complessivamente ancora molto dipendente da questa pratica.” (Cfr Quadro conoscitivo per la redazione del Piano Faunistico Venatorio regionale dell’Emilia Romagna – pag. 441). Appare strano che i cacciatori tanto si attivino contro l’ibridazione del Lupo tanto da chiederne a gran voce la sua gestione venatoria e poi siano loro stessi a creare rischi di inquinamento genetico di altre specie quali il Fagiano. Va ricordato che nel 2016 l’ISPRA (Prot. n. 52186/T-A11 del 23.08.2016) ha dato parere sfavorevole al piano di gestione della Starna e della Pernice Rossa dell’ATCRE3 “Collina”. La fauna selvatica, patrimonio indisponibile dello Stato, sembra proprio essere gestita in modo approssimativo spesso senza dati, a volte con dati senza metodiche, appare chiaro la necessità di rivedere completamente il sistema riducendo il conflitto di interessi che i cacciatori hanno quando fanno censimenti o quando gestiscono il patrimonio di tutti.
(Dino Vecchi, agrotecnico, delegato regionale della LAC Emilia Romagna)
Vorrei rispondere ai commenti dei signori Marco, Roberto e Simone: le associazioni animaliste ed ambientaliste si occupano anche di inquinamento, ma non per questo non possono occuparsi di tutela della fauna. Il nostro impegno di volontari si muove sull’ambiente, a noi pare che questo interesse ampio non sia riscontrabile invece nelle associazioni ambientaliste (Urca, Ecoclub), che hanno come riferimento il mondo venatorio, ad esempio: quante osservazioni ai piani territoriali locali, provinciali e regionali hanno fatto per limitare il consumo del suolo? Il calendario venatorio prevede l’apertura della caccia che va dalla piccola selvaggina, ai cervi, daini, mufloni, caprioli, cinghiali, volpe, dal 1° gennaio fino al 31 gennaio dell’anno dopo. Quindi non è vero che ci sono momenti di chiusura. Inoltre, nel reggiano, i censimenti vengono svolti dai cacciatori e non come avveniva in altre province (ad esempio Modena) anche da non cacciatori. E’ vero che i cacciatori pagano le tasse per la licenza di caccia, per correttezza dovrebbero anche informare che le loro organizzazioni venatorie ricevono dallo Stato a titolo gratuito 2.943.804,32 euro annui (art. 24 della Legge 11.02.1992 n. 157), una bella cifra se si pensa che milioni di italiani versano in uno stato di indigenza. Andare a caccia non è un obbligo, è una scelta. Per concludere, non è necessario andare a caccia, secondo il professor Carlo Consiglio (già ordinario di Zoologia a La Sapienza di Roma, che ha scritto nel libro dal titolo “Divieto di caccia. Tutto quello che i cacciatori non vogliono farci sapere”, Edizione Sonda, che vi consiglio di leggere): “come insegna l’ecologia tutte le popolazioni di animali si accrescono secondo una curva, detta ‘sigmoide’. Man mano che la popolazione accresce nel tempo, e le risorse (specialmente cibo e spazio) incominciano a scarseggiare, la curva di accrescimento si discosta da quella esponenziale, fino a un punto di massima pendenza, detto ‘punto d’inflessione’. Da tale punto in poi la popolazione continua ad aumentare ma a velocità decrescente, fino a raggiungere un tratto orizzontale. La grandezza della popolazione a questo punto è chiamata ‘capacità portante’. D’ora in poi la popolazione non cresce più, o al massimo può andare incontro a brevi fluttuazioni. Quindi tutte le popolazioni animali si regolano da sole senza alcun intervento dell’uomo. Se fosse vero che gli animali selvatici lasciati a se stessi aumentano eccessivamente di numero, non si capisce come avrebbero potuto regolarsi prima della comparsa dell’uomo.”
(Federica Reverberi, delegazione L.A.C. Reggio Emilia)