Un tempo ci si raccontava, poi, quello che si era mangiato, cosa ricevuto, comprato come regali, i parenti venuti al pranzo di Natale. Ora la festa che celebra la nascita di Gesù di Nazareth avviene in diretta. Sui social vediamo le tovaglie, i vini degustati, le mise sfoggiate, chi c'era e non c'era, il tempo che fa in ogni dove.
Inutile decretare meglio o peggio, così è, così va. Se da un lato il social ruba quella intimità familiare, di un giorno solenne condiviso tra le quattro mura di casa, ora c'è una condivisione collettiva, si entra nelle case di tutti, si guarda chi ha l'albero più decorato. Il social crea 'vicinanza', comunità. Virtuale. Con le applicazioni di messaggeria istantanea, è possibile condividere immediatamente con video ed immagini un luogo, un cibo, una situazione con chi non è presente. Su Facebook è possibile postare in tempo reale ciò che si sta vivendo e con chi. E tutti sappiamo, o ci illudiamo di sapere, 'tutto' di tutti. Ovviamente questo riguarda coloro che sui social scelgono di postare, entusiasti di condividersi, il Natale o altri eventi tutto l'anno.
Qualcuno è vittima di uno spasmodico impulso narcisistico, altri fanno un uso dei social giocoso, senza prendersi troppo sul serio, stanno a questo gioco moderno, divertiti dal mezzo nuovo che permette di diffondere ciò che si decide di quello che prima era un fatto privato, defilato, lontano dai riflettori telematici.
C'è chi giudica severamente il fenomeno, chi sostiene sdegnato 'la mia vita non la metto su Internet', arroccato in un atteggiamento fermo e difensivo della propria identità, nel tentativo di opporsi a una tendenza inarrestabile.
Se osserviamo da un punto di vista psicologico e sociologico ciò che la tecnologia ci permette, in sé il movimento mediatico non è né buono né cattivo. E' semplicemente uno strumento, un'evoluzione di quel che era e ora non è più, o è diverso. Se prima c'erano le piazze dove fare commenti, i gruppetti dove poter 'spettegolare', oggigiorno ci si espone volontariamente e pubblicamente. Ci si mostra, si aprono le porte della propria vita (o quello che decidiamo di voler dire di noi) e, chi più chi meno, la si offre ad uno sguardo e a potenziali like, ambito termometro del proprio indice di gradimento nella comunità virtuale.
Ma a voler rassicurare coloro che pensano che 'andava meglio prima', possiamo osservare che in fondo molto di ciò che cambia resta uguale.
Seguiamo gli influencer, personaggi che fanno tendenza sul web, i cui pareri e consigli vanno a ruba, esattamente come un tempo si imitavano i più popolari in città, nei paesi, o le attrici famose in TV. Leggiamo i nostri blogger preferiti, così come ascoltavamo le personalità importanti su altri media. Avidamente andiamo a vedere cosa hanno twittato quelli di cui siamo followers, ma fan e lettori lo siamo stati da sempre di qualcuno. E' un fenomeno di ogni società guardarsi gli uni con gli altri, per ispirarci ed aggiungere qualcosa di nostro a quello che qualcun altro ha fatto o pensato.
E' utile riflettere e prendere atto dei costumi che cambiano, e dei modi di relazionarsi che evolvono. Questa corsa all'esibirsi può spaventare e far temere sorti autodistruttive per questa società frenetica, veloce, esposta e liquida.
In realtà ciò che davvero non si vuole mostrare non lo si mostra. Essere in 'vetrina' è un'illusione, così come è illusorio pensare di 'spiare' le altrui vite. Si finisce, come prima, per sapere ciò che è da sapere, di far vedere solo ciò che si vuole che gli altri vedano di noi. Siamo sempre noi a scegliere. La ridondanza mediatica è l'amplificazione di un'umanità che evolve, ma resta sempre uguale nell'essenza di essere umani. Perciò, social o no, anche il Natale conserva, nella sua natura, quella qualità di raduno tribale più o meno religioso, fatto di ricordi mantenuti vivi e di calore scambiato. E pure quel dolore per aver perso chi amiamo resta uguale. Chi ha perduto un affetto, social o non social, spera che le feste scappino via veloci, per non essere sommerso dalla nostalgia.
Credo che di inarrestabile, nella storia del mondo, ci sia solo la stupidità. Lo diceva uno che aveva un cervello che mai i “social” potrebbero uguagliare.
(Rory)
Sottoscrivo ed evidenzio in rosso le ultime tre righe. Grazie.
(P.f.)
Forse tutto quel che si vive è solo la scomparsa del concetto di tempo. La declinazione del tempo, ormai, non è più quello dei verbi imparati a scuola dove c‘era il passato, il presente, il futuro. Viviamo una realtà dove la giornata di ieri è il trapassato remoto, e il domani, il futuro, è ridotto a desiderio, non ci sono più le basi conosciute del crescere e del progettare. Manca la continuità, la consecutio, e ci rimane solo il presente. Un sorta di carpe diem che non è più una scelta ma, forse, la sola dimensione rimasta.
(Giovanni Annigoni)
Se mancano degli affetti e non hai un muro “di protezione” attorno, come amici, famiglia conoscenti, per me Natale è atroce come quando devi passare un esame e ne sai poco. Finti saluti, finti sorrisi, finti auguri. Per me questo è uno dei Natali più brutti, perchè tante luci e colori… ma io mi sento sempre sola come un cane, nonostante la mia famiglia. Che senso ha la festa, allora?
(Delusa64)