Trascriviamo i risultati, validati dalla prefettura, del referendum del 4 dicembre nei comuni della montagna reggiana.
Nella prima colonna i SI' e nell'altra i NO con relative percentuali.
BAISO 994 53,76% 855 46,24
CANOSSA 1056 48,62 1116 51,38
CARPINETI 1422 57,62 1046 42,38
CASINA 1472 52,87 1312 47,13
CASTELNOVO M. 3123 51,82 2904 48,18
TOANO 1159 46,90 1312 53,10
VENTASSO 1270 50,22 1259 49,78
VETTO 568 51,64 532 48,36
VIANO 873 43,72 1124 56,28
VILLAMINOZZO 1102 51,26 1048 48,74
La somma mi sembra dia vincitore il sì.
(Bacs)
Meno male che ha vinto il no, sarebbe stato un disastro non per il sì, ma ad avere ancora Renzi alla guida del Paese.
(Pinguez)
La fedeltà dei compagni non è bastata.
(Anonimo)
I totali non mi sembrano proprio corretti, a me risulta che i sì vincano nella nostra montagna.
(EFRO)
Sommando le colonne risultano 13.039 sì e 12.508 no, quindi non si direbbe che nella nostra montagna abbia vinto il “no” per circa 1500 voti. Salvo pubblicazione di dati errati (ovviamente per errore di digitazione). Saluti.
(GC)
C’è qualcosa che non capisco?
(SC)
Non c’è tanto da stare allegri nè da una parte, tanto meno dall’altra. Dalla parte del sì un’eccessiva esasperazione anche personale ed una carente attenzione ai malumori della gente. Senza dimenticare che è stata fatta una scarsa informazione sui contenuti della riforma. Anche la poca condivisione con le forze di opposizione non è stata gradita. Dalla parte del no troppa frammentazione, l’incapacità di mettersi d’accordo, trovare un mediatore per tutti e dare un segnale vero di alternativa. Ha vinto ciò che era nei sentimenti degli elettori, ha perso la politica tutta. Ora, senza tante ipocrisie e sopratutto speculazioni, tutte le parti politiche si mettano al lavoro e diano prova di rinnovata capacità politica. Le prossime consultazioni elettorali non sono lontane.
(C.S.)
Il dopo Renzi: Graziano Delrio?, “l’Italia che vogliamo”. Graziano, ora tocca a te (speriamo) – dal tavolo Hemingway dove, pragmaticamente, hanno votato sì alla “bocciata” riforma costituzionale, ti mettiamo a disposizione il programma per l’Italia che vogliamo. Mentre si sentono aulici discorsi, all’eterogeneo tavolo politico-letterario Ernest Hemingway si parla invece di principi:
1) socializzare il sapere,
2) un tetto ai meriti, una soglia ai bisogni,
3) aspettare gli ultimi per arrivare assieme.
L’Italia che “quelli del tavolo Hemingway” vorrebbro per non rubare il futuro ai giovani:
– macroregioni federate ma non a statuto speciale con compiti ben definiti (evitare le materie concorrenti),
– un unico parametro per le indennità,
– eliminazione delle Province o in subordine, Province di almeno due milioni di abitanti,
– Comuni fra loro omogenei di almeno 15/30.000 abitanti,
– per tutti gli enti, operatività limitata al territorio, ergo nessuna attività onerosa per rappresentanze od iniziative esterne,
– riduzione dei parlamentari “eletti (non nominati) col sistema proporzionale, soglia di sbarramento e premio di maggioranza (governabilità) alla coalizione – vincolo di mandato”; allineamento all’Europa per le indennità,
– sfiducia costruttiva al Governo,
– Senato delle Regioni (membri nominati ti dai Consigli regionali)- eliminazione del doppione “Conferenza Stato-Regioni”,
– rimborso spese elettorali limitatamente ai voti ottenuti indipendentemente dal raggiungimento del quorum e solo per la durata della legislatura,
– enti inutili: le leggi del passato (fin dal 1955) non hanno prodotto i risultati sperati – altre leggi e leggine ne rendono problematica l’operatività. Promulgare una legge obiettivo che consenta di sburocratizzare le procedure per la loro soppressione e l’alienazione immediata dei beni,
– riforma della Giustizia, separazione carriere, responsabilità civile dei giudici,
– eliminazione “pensioni d’oro” (sono 109.800 o forse più?) fissandone un tetto massimo a 5.000 euro al mese,
– eliminazione dei privilegi delle “caste”, nel senso più vasto del termine,
– unificazione enti previdenziali e separazione previdenza da assistenza, eliminazione contributi figurativi,
– no tasse sulle tasse (Iva su accisa ed addizionali – restituzione 10 anni di IvaA pagata sulla Tia e non dovuta; vedi sentenza Corte Costituzionale),
– aumentare al 5% l’Iva sui prodotti attualmente al 4%, includendo in questa fascia i beni e servizi primari (energia, acqua, gas, benzina = riduzione Iva),
– sostituzione ponderata ed intelligente dell’Iva al 20%, riducendola al 18%,
– Iva al 30% per prodotti “pregiati” (ora gli oggetti d’arte, di antiquariato ed i francobolli da collezione sono al 10%!, le aragoste, i tartufi, caviale, astici, ostriche sono al 20%, così come le barche da diporto superiori a 18 tonnellate e le auto di lusso!),
– Iva al 30% per beni mobili di importo superiore a 40.000,00 euro,
– Confermare no Imu sulla prima casa estendendola a quelle date in comodato d’uso a parenti o affini fino al 2° grado – impignorabilità abitazione principale – Imu al 10 per mille oltre la terza unità immobiliare posseduta,
– contributo di solidarietà “a termine” del 5% per redditi oltre i 150.000 €,
– la proprietà non è un furto ma, confisca del patrimonio, anche personale, per gli evasori fiscali “sistemici ed i loro complici”. In buona sostanza, applicare le stesse norme antimafia,
– tre fasce per l’Irpef, “cum grano salis”, individuando una fascia anche per chi ora opera e “lucra” in un regime fiscale di esenzione (incluso Chiese, sindacati, partiti),
– fare pagare le tasse a chi sceglie liberamente di vendere il proprio corpo,
– differenziazione oneri fiscali fra le “vere cooperative e quelle che, per il volume d’affari prodotto e per gli stipendi dirigenziali erogati, tali non sono”,
– tetto agli stipendi ed alle indennità per i dirigenti pubblici e per quelli delle aziende pubbliche o partecipate,
– radiare dalla professione i medici compiacenti che attestano false invalidità,
– regole serrate e “barriere” contro la speculazione finanziaria,
– blocco del rimborso debito pubblico infruttifero per cinque anni (85% in mano ai turpi gnomi della finanza che hanno scatenato “la terza guerra mondiale”: quella finanziaria),
– espulsione o rimpatrio col foglio di via per i carcerati stranieri,
– immediata revoca del permesso di soggiorno o della cittadinanza per gli stranieri che commettono reati,
– basta con “l’imperialismo democratico basato sulle armi, il disinvolto non rispetto delle risoluzioni dell’Onu, i cialtroni pseudo esperti di geopolitica ed i dottor Stranamore della Nato” (sarà il tribunale della Storia a dare il giudizio sulle azioni “militari di pace?!” di Bush, Clinton, Sarkozy, Cameron),
– missioni di pace all’estero condotte da agronomi con trattori e fertilizzanti,
– contributi economici pro tempore alle aziende che incrementano il numero degli addetti con assunzioni a tempo indeterminato,
– sostegno alla ricerca, al sapere ed alla scuola pubblica,
– sostegno al vero volontariato,
– tutela delle fasce deboli e sostegno al disagio sociale,
– mai derogare dal titolo I della Costituzione.
Buon lavoro, Graziano – adelante, hasta la victoria, del bene, siempre.
(Mario Guidetti, portavoce tavolo Hemingway)
Il referendum costituzionale ha espresso una volontà popolare così chiara, inequivocabile e ampia per cui deve essere accettata col massimo rispetto. Essendo stato io peraltro un convinto sostenitore del sì vorrei comunque esporre qualche riflessione in merito (sapendo a priori di espormi ai sarcasmi più vari). La “lettura” che vedo più ricorrente nei media cartacei e televisivi (non frequentando altri media molto più in voga) è che l’ampia vittoria del no sia imputabile alla personalizzazione impressa da Renzi in campagna elettorale, e sicuramente questa componente c’è stata. Personalmente penso che abbia giocato molto anche una rabbia montante nelle società, occidentali in particolare, che è un po’ il riassunto di varie motivazioni legate ai cambiamenti epocali nei quali siamo “immersi”. Cambiamenti che stanno mettendo in discussione le attese, le abitudini, il benessere in cui le nostre società si sono consolidate dal 2° dopoguerra in poi. E’ un sentire, mi pare, molto percepito dalle nuove generazioni e dalle generazioni “di mezzo” che porta ad una crescente sfiducia in tutto e in tutti. Da questa “radice”, quasi inconsciamente, trova sfogo buona parte del malessere attuale di società in fase di crisi, incolpandone chi è al vertice del potere politico. Occorrerebbe, forse, riflettere che le cose non sono precipitate in questi ultimi due anni, ma sono il frutto di comportamenti e decisioni da ricondurre almeno agli ultimi 30/40 anni. La volontà di “rovesciare tavoli”, di “abbattere palazzi”, di protestare è, secondo la mia “lettura” una componente importante del forte no che si è espresso. Una tentazione, certo comprensibile, ma credo in definitiva politicamente sterile. Sappiamo che le “imprese di demolizione” operano in tempi veloci, ma poi occorre mettere in campo “imprese di costruzione”, e ricostruire è opera molto più lunga e laboriosa. Per quanto riguarda infine la legge elettorale mi preoccupa non poco questa quasi unanime domanda di proporzionale. Ricordo che col proporzionale abbiamo avuto quasi 70 anni di instabilità politica e ricordo pure che un insegnamento costante dell’on. Aldo Moro fu che la democrazia può dirsi “compiuta” quando il confronto è tra due forze politiche che si possano alternare al potere secondo la decisione degli elettori.
(Claudio Bucci)
Più semplicemente, il risultato del referendum è stato un no ad “una impresa di demolizioni” che voleva tirar giù 47 piani della Costituzione. Così difficile da capire? Basta un sì.
(mv)
Ricordo che col proporzionale l’Italia in 70 anni è diventata la quinta potenza industriale del mondo. In 16 anni di Euro e sistema maggioritario siamo all’ultimo posto nel mondo per crescita del pil. Serve altro?
(Commento firmato)
Avevo già scritto che per rispettare la sovranità popolare bisognerebbe tornare al voto ma tant’è, tutti hanno paura quindi meglio Graziano Delrio che altri fino alla speranza di avere una vera legge elettorale secondo la Costituzione appena salvata, anche se in montagna, luogo ove con il sangue lottarono, voi la volevate cambiare. Non vi capirò mai ed il guaio è che amo questa terra.
(A.c.)
Doveroso rispetto per chi ha sostenuto “che la democrazia può dirsi compiuta quando il confronto è tra due forze politiche che si possano alternare al potere secondo la decisione degli elettori”, ma il bipolarismo non fa parte della storia, e fors’anche della mentalità, di ogni Paese, e credo che ne vada preso atto. Quanto a durata degli Esecutivi ed instabilità politica, il primo governo Craxi ebbe una vita di 2 anni, 11 mesi e 28 giorni, se non ho sbagliato i calcoli, nel senso che fu abbastanza longevo, ed eravamo nel triennio 1983-1986, ossia in epoca nella quale, che io ricordi, vigeva il sistema proporzionale, con preferenze. Poi arrivò, di lì a poco, cioè qualche anno dopo, la “volontà di rovesciare tavoli, di abbattere palazzi”, o forse, per essere più precisi, qualche “tavolo” e qualche “palazzo”, coi risultati che sappiamo, specie i meno giovani tra noi.
(P.B.)
Strano modo di dimostrare massimo rispetto per la volontà popolare, quando poi la si legge come un “rovesciare tavoli”, “abbattere palazzi”, “una tentazione politicamente sterile”. Nessun sarcasmo, solo un rileggere uno dei commenti.
(mv)
Il tuo amico Delrio le imprese di costruzione le ha demolite e portate quasi tutte sull’orlo del fallimento. In montagna la vera crisi delle aziende arriva ora, se non si incomincia ad usare veramente la testa e non la politica le persone oneste intellettualmente non potranno mai riconoschersi in essa. Come possiamo dare credito a D’Alema! Forse uno dei politici più dannosi in Italia, ma sempre e comunque al vertice del Pci, Ds, Pd, sempre e incrollabilmente. Avvilente, veramente. Questo non vuole assolutamente essere un plauso a Renzi, il quale ha fatto grandi errori, grandi proclami seguiti molte volte da cose pasticciate: la riforma delle Provincie è emblematica, grande proclama, grande confusione, nessuna soluzione. Soprattutto non ha capito che cosa era veramente importante, non la modifica costituzionale di sicuro. Ha perso i voti dei giovani non avendo veramente e realmente compreso il problema principale degli italiani. Lavoro, lavoro, opportunità, giustizia, scelte a lungo termine spiegate e condivise.
(U.m)
Seppure a malincuore devo ammettere la sconfitta del sì; parte che ho scelto motivatamente di sostenere. L’unica, magra, “consolazione”, quanto efficacemente inutile, alfine, mi arriva dal mio paese: Carpineti, con il 57,62%, è il comune della provincia di Reggio Emilia che ha avuta la più elevata percentuale di consensi per il sì. Ma tant’è. Campagna elettorale eccessivamente “renziana”?, troppo “piddina”?, governativamente sovraesposta in un clima di diffuso malcontento? Mah, se ne stanno leggendo di tutte le opinioni. Ci sarà tempo per capire e discutere le ragioni del voto che ci riconsegna una situazione politica più chiara, in cui le scelte dei leader nazionali compiute durante la campagna elettorale assumono ora un peso di tutto rilievo. Accantonata la propaganda (speriamo), adesso è auspicabile l’avvio di un confronto dialetticamente accettabile e serio che, con disponibilità e pacatezza tra i vari schieramenti, permetta una necessaria ripresa dell’azione di governo nell’esclusivo e supremo interesse del Paese, che è di tutti. La saggezza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è in ogni caso un’ottima garanzia per trovare rapidamente una soluzione all’Esecutivo dimissionario. Rimango convinto della necessità di una profonda riforma del sistema-Italia, nelle ipotesi della legge costituzionale approvata dal Parlamento bocciata dagli italiani che, evidentemente, ritengono possibili altre modalità capaci di introdurre novità di cambiamento positivo come da più parti ci si attende. Quali le alternative concrete proposte dal composito fronte del no? Staremo a vedere. Di certo non è tempo di rinviare tutto ad Kalendas. Tra commissioni parlamentari, bicamerali e gruppi di lavoro se ne parla infatti da molto, troppo tempo: cittadini e imprese non possono aspettare oltre per vedere almeno un barlume di innovazione istituzionale in grado di strutturare un’Italia che deve essere più agile, eticamente equa, vicina ai problemi della gente, validamente adatta a sostenere le opportunità dei territori. Comunque la si pensi il nostro è un paese che oggettivamente fatica troppo a reggere il passo della competitività europea e internazionale; il rischio che ne consegue è di invogliare l’intrapresa nazionale e i giovani motivati di legittime ambizioni ad imboccare altrove la via del proprio futuro, inibendo fortemente le potenzialità del suolo italico di produrre crescita e reddito: continuare a disperdere un simile patrimonio è un lusso che non ci possiamo permettere. Chi ha proposte migliorative le metta in campo. Da subito però.
(Roberto Lugli)
Il sostenitore del “sì” di Carpineti così si esprime ad un certo punto delle sue righe: “Quali le alternative concrete proposte dal composito fronte del no? Staremo a vedere”. A parte che una proposta di “cambiamento” esisteva già nel 2006, formulata dal centrodestra – come ho già avuto modo di ricordare a commento di un suo articolo del primo dicembre, dal titolo “perché domenica voterò sì” – e quindi niente di nuovo sotto il sole, anche quella riforma costituzionale di dieci anni fa non superò la prova referendaria, ma nessuno allora si “stracciò le vesti”. E’ più che legittimo che un sostenitore del “sì” si dispiaccia dell’esito uscito dalle urne il 4 dicembre e si dia tutte le eventuali spiegazioni al riguardo, ma bisognerebbe pure domandarsi se chi ha votato per il “no” possa non essersi trovato d’accordo con questo tipo di revisione costituzionale, o non abbia ritenuto opportuno che si sia insistito così tanto su questioni costituzionali mentre nel Paese incombono problemi ed “emergenze” di notevole portata, che dovrebbero avere la priorità nel ricercare le relative soluzioni. E se un partito, o una coalizione, avente un ruolo di governo, sa come affrontare le “criticità” che stanno preoccupando diverse nostre categorie e classi sociali – al punto da invogliare imprese e giovani a cercare altrove la “via del proprio futuro” – non vi è a mio parere alcun bisogno, e alcun motivo, che la sua azione “politica”, cioè l’adozione di leggi e norme atte a darvi soluzione, sia preceduta da una riforma costituzionale, e ciò vale per il passato ma anche per il presente dal momento che la maggioranza parlamentare non sembra essere tuttora cambiata. Quanto all’auspicio di un “confronto dialetticamente accettabile e serio che, con disponibilità e pacatezza…”, può essere benissimo condiviso, ma non andrebbe dimenticato che l’infiammarsi del dibattito referendario va anche ascritto alle voci che prevedevano “tempi molto incerti e duri”, per dire peggio, se fosse passato il “no”. In ogni caso a me non preoccupa più di tanto se i toni della dialettica politica non sono particolarmente pacati, perché il raffrontare le rispettive idee può avere anche momenti di tensioni e dispute, ma l’importanza sarebbe che da questo contraddittorio, ancorché con qualche punta polemica, uscisse la risposta all’insieme dei nostri problemi.
(P.B.)
Andate a vedere quello che hanno votato i giovani tra i 18 e i 34 anni (81% per il no). Quindi signori del sì, qual è il vero problema dell’Italia? Perchè alla fine questo è stato un voto politico sull’operato di Renzi, che lo vogliate o no. Il 40% di disoccupazione giovanile, il resto è tutto fumo negli occhi; l’unica categoria che ha fatto vincere il sì è quella dai 55 anni in su. Meditate, gente, meditate.
(Lollo)
Dovrei tacere ma non resisto. Secondo me il voto è in gran parte un voto ” contro”. Ma contro cosa ? Molte cose diverse, certamente, ma soprattutto contro l’ insieme non percepito di gran parte di esse: contro il fatto che il nostro mondo “occidentale sta perdendo o ha già perso supremazia e rendite di posizione in cui stavamo tutti molto, molto comodi. Un’onda lunga. Una delusione epocale. Ora è Renzi, ora è Hollande, ieri l’altro era Cameron o Papadopulos, ieri è stata Hillary. Cambiano le facce, i nomi, i governi, le elezioni i referendum, ma c’è sempre il capro espiatorio di turno. In verità è la globalizzazione che avanza e spodesta gli Stati e i popoli che erano e potevano sentirsi padroni del mondo, sono gli immigrati che arrivano, sono i debiti pubblici e privati che emergono, sono le aspettative di eterna crescita e miglioramento che naufragano contro la realtà, sono le illusioni di un’altra epoca che cadono, sono le attese che vengono deluse perché le politiche nazionali possono solo accompagnare bene o male ma non invertire il corso della storia. E allora si prova a cambiare comunque, alla ricerca della moltiplicazione dei pani e dei pesci. È in questo scenario – e non in un teatro di prova – che vivono, agiscono, vincono e perdono le politiche e i partiti. Bisogna cercare di capire gli orizzonti comuni a tutti, costruire nuova solidarietà e comprensione, intese, accordi, responsabilità largamente condivise. La demolizione per la demolizione non costruisce competitività nè lavoro nè sicurezza. L’Europa e l’Italia sono luoghi dove si può vivere ancora meglio che altrove. Ma non di rendita. Si possono avere più diritti se si accettano più doveri. Si possono avere più consumi se ci si sobbarca più fatica. Si possono accampare ragioni se si considerano anche le ragioni di altri. È tempo di guardare il futuro con occhi e parole diverse dal passato. Ricucire partito e Paese è il tema di questo momento. Non è il momento delle rivincite e dei duelli politici e sociali in Europa. La sfida è prendersi responsabilità e esercitarle non da soli ma con la parte migliore e più disposta a dialogare e costruire. Vale ovviamente anche per la formazione di un governo ora. Ma anche per una prospettiva non breve.
(Fausto Giovanelli)
Insomma, sembra che l’evoluzione del mondo sia come quella del clima: inevitabile. Invece la globalizzazione, che ha spiazzato i lavoratori di tutto il mondo – mettendoli in diretta competizione tra loro e scatenando la guerra tra poveri – è frutto di accordi ben precisi tra personaggi ben identificabili, a partire dal W.T.O.; la crescita del potere della finanza internazionale contro la sovranità e le regole degli stati nazionali ha origine nelle politiche della Thatcher e di Reagan alla fine degli anni ’70, e nell’abrogazione della legge bancaria americana (il Glass-Stegal Act). La caduta del muro di Berlino ha dato mano libera al liberismo internazionale, arrivato in Europa attraverso i trattati di libero scambio (Maastricht per primo, Schengen per secondo). Il problema attuale dei migranti non ha origine nello spostamento dell’asse terrestre ma nell’attacco alla Siria da parte della coalizione saudita-americana. I tre milioni di migranti che Erdogan attende di usare come “arma di migrazione di massa“ contro l’Europa (e massimamente contro l’Italia, visto che le vie di terra sono state opportunamente “murate“ dai rispettivi Stati che predicavano fino a poco tempo fa l’apertura dei confini del mondo – ricordate il milione di migranti che la Merkel aspettava a braccia aperte?) vengono dalla Siria, non da Marte. Il risultato di tutto questo è stato un attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori (che, ricordo, sono la maggioranza di noi – la maggioranza dei votanti), tanto che stiamo tornando a grandi passi verso l’Ottocento del caro Dickens, ad una distribuzione “feudale“ dei redditi. Il progetto di riforma costituzionale aveva lo scopo di rendere più veloce ed efficace questo processo in Italia: fare le “riforme“. Pensioni, sanità, mercato del lavoro, servizi pubblici locali, scuola: ridurre il perimetro dello Stato sociale, privatizzare; è l’austerità espansiva – contraddizione in termini, ovviamente; si aumentano le esportazioni riducendo i salari e distruggendo il mercato interno. A chi andranno i profitti? E per fare tutto questo in fretta ci vuole la “governance“ – che vuol dire applicare regole scritte da altri (lo vuole l’Europa!) evitando le scelte politiche e il confronto con gli elettori/lavoratori che, essendo la maggioranza, non gradirebbero. Tutto questo, naturalmente “al riparo dal processo elettorale“ come affermano Monti e Juncker! Un voto “contro”? Ma certo! Contro tutto questo!
(Giorgio Bertani)
Gentile signor Giovanelli, solo due domande di chiarimento: a chi pensa quando scrive: ”rendite di posizione in cui stavamo tutti molto, molto comodi.”? Chi erano i quei tutti che io non conosco? Forse Lei conosce un mondo che io non ho mai incontrato. Seconda domanda: quando dice ”un voto ‘contro’ a molte cose diverse, ma soprattutto contro l’insieme non percepito di gran parte di esse”, vuol dirmi che Lei giudica il 60% dell’ultimo elettorato un popolo incapace di percepire? Gradirei molto se Lei mi potesse chiarire, anche se sono cresciuto alla scuola dove ti hanno insegnato di non porre mai una domanda se prima non conosci già la risposta.
(mv)
Non credo affatto che questo esito referendario meriti di essere definito come “demolizione per la demolizione”, dal momento che quest’ultima ha per solito, e per sua natura, un sottofondo di irrazionalità, o suggestione, ossia il desiderio e proposito di smantellare l’esistente senza porsi il problema del dopo (non ho usato la parola “rottamare”, che pure ci stava, ma che potrebbe ingenerare equivoci). In questa circostanza referendaria c’è stato probabilmente chi si prefiggeva, col proprio voto, di far dimettere il premier in carica, il quale aveva del resto personalizzato fin da subito la consultazione, o chi voleva ad esempio dare un segnale di insoddisfazione alla politica, ma altri simpatizzanti del no non legavano affatto le sorti del Governo al risultato elettorale del 4 dicembre. Potevano semmai non condividere il tipo di riforma che ci veniva proposta o preferire l’attuale impostazione della Carta costituzionale, e sempre tra quanti non hanno politicizzato questa chiamata alle urne, vi era anche chi vedeva nell’ipotizzato cambiamento della Carta una sorta di “salto nel buio” e l’insieme di queste ragioni, sul fronte del no, mi pare essere tutt’altra ed opposta cosa rispetto ad una irruente ed incontenibile voglia di demolire, ma piuttosto una scelta ponderata. A ben vedere vi sono stati nel nostro Paese due momenti storici, nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale, nei quali c’è stata effettivamente una “demolizione”, il primo dei quali una cinquantina di anni fa, allorché furono messi in discussione e fatti cadere molti dei valori tradizionali – mettendo spesso i diritti al posto dei doveri, che oggi dobbiamo invece riscoprire – mentre un quarto di secolo dopo la stessa sorte toccò al sistema dei partiti cosiddetti identitari, o meglio ad alcuni di questi, senza che in entrambi i casi siano subentrati modelli sostitutivi, stando almeno a quanto sembra. Si è pertanto creato un vuoto che pare durare ancora e che ci rende molto più fragili ed esposti ai contraccolpi negativi della globalizzazione, mentre le eventuali ricadute positive della stessa vanno a vantaggio di quei Paesi che hanno saputo conservare e difendere il proprio “modulo” di società, e dove la politica è ancora abbastanza forte – anche nel rappresentare il principio della sovranità nazionale ed il primato della propria identità culturale – tale cioè da agire in certo qual modo da efficace contrappeso (anche se non può ovviamente invertire il corso della storia). Per concludere io ritengo che il recente voto non abbia demolito alcunché o forse, volendo essere più precisi, può aver semplicemente scalfito il progetto, o il “sogno”, di chi pensava che intorno al successo del sì potesse nascere il Partito della Nazione, o come lo si vuol chiamare, e non si rassegna comunque a questo “imprevisto” tanto da sostenere la tesi che occorre ripartire dal 40% – 41% uscito dalle urne del 4 dicembre, per dar giustappunto vita ad una nuova entità politica (verosimilmente nell’ottica di prendersi quanto prima una rivincita, con buona pace di chi vorrebbe ricucire lo strappo per il bene del Paese).
(P.B.)