Ospitiamo un intervento in vista dell’assemblea pubblica in programma martedì 8 novembre prossimo al Teatro Bismantova di Castelnovo ne’ Monti. Dopo un paio di decenni in cui il nosocomio di Castelnovo – ma, ancor più, della nostra intera montagna – è stato al centro di movimenti di opposto segno (lavori e dotazioni di strumenti ma anche riduzione di reparti e posti letto: basta rileggersi i giornali), siamo ad un altro bivio: il reparto nascite. Anche questo ora a rischio, come noto. E’ nato un meritorio comitato, che ha stimolato e coagulato la resistenze della popolazione a questo progressivo stillicidio. Assemblee ed incontri si sono succeduti. Le cose sono già decise, come spesso accade, o vi è davvero ancora uno spiraglino di luce, una possibilità vera di stoppare le lancette dell’inesorabile macchina amministrativa?
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Ho partecipato, in sostituzione del presidente dell’Avo, impossibilitato per motivi di salute, alla riunione sulle problematiche dell’ospedale, con particolare riferimento al “punto nascita”, recentemente organizzato nella sala consiliare. Pur apprezzando simili iniziative, mi rimane sempre il dubbio sulla loro capacità di modificare od orientare le scelte della politica, come pure mi pare reale il rischio, almeno per alcuni dei protagonisti, di condurre un gioco delle parti, non potendo sottrarsi al confronto.
Nella riunione è stato ribadito e dettagliatamente esplicitato come nell'ospedale siano presenti professionalità e servizi in grado di rendere il “punto nascita” clinicamente sicuro; premessa questa ovviamente indispensabile per ogni ulteriore considerazione. Tuttavia ho più di una perplessità nel ritenere che il vero problema sia la mancanza di conoscenza dei dati presentati.
Ritengo infatti che tutto questo non possa già non esser noto ad un direttore generale come il nostro, così attento e pignolo nella documentazione, come pure all'assessore regionale alla sanità; lo stesso credo che questo possa valere per la considerazione, più volte richiamata, a mio avviso con fondamento, sul fatto che l'unificazione del reparto di ostetricia di Castelnovo ne’ Monti con quella del S. Maria avrebbe dovuto fare di questa fusione un'unica realtà clinica, a tutti gli effetti, compreso il “punto nascita”, anche per quel che attiene al numero dei parti.
Ora, se queste osservazioni hanno una logica ed un fondamento di verità, si andrebbe incontro ad una delusione certa se si ritenesse il semplice richiamo di questi dati in grado di modificare le decisioni sul “punto nascita”.
Il problema del “punto nascita”, al di là di un decreto o di una qualche problematica di natura clinico-sanitaria, verosimilmente risolvibile con buona volontà e qualche risorsa economica in più, probabilmente va dunque inserito in una visione più ampia del territorio montano e visto come l'esplicitarsi, anche in ambito sanitario, di un progetto che la politica regionale ha sulle zone di montagna. A questo proposito mi sorge il dubbio che questo progetto politico fosse rimasto, più o meno coscientemente, quello che tendeva a concentrare il tutto-urbano attorno all'asse viario regionale, principale. Cose ben note e risapute, ma forse un po' dimenticate o ritenute sorpassate, ma che tornano alla mente e confermano il sospetto che continuino ad essere il fondamento e la motivazione più profonda di scelte progettuali che impattano negativamente sul territorio montano.
Il calcolo economico? E' sempre molto difficile da fare, tenendo presenti tutti gli elementi; ma anche se fosse negativo, non dovrebbe essere questo l'elemento prioritario per la conservazione ed il futuro di un territorio; ben sapendo che, come spesso l'esperienza ha dimostrato, quello che oggi appare un risparmio, per alcune voci di bilancio, potrebbe, domani, risolversi in costi ben maggiori, non solo sul piano umano ma anche su quello economico.
Sul filo di questo ragionamento, se si ritiene che esso abbia un qualche fondamento, mi parrebbe quanto mai indispensabile e necessaria una presa di posizione del tutto eccezionale da parte degli amministratori locali, in particolare dei sindaci del comprensorio montano, per evidenziare quanto importante sia la scelta in oggetto, trattandosi dunque non più e non solo della conservazione di un servizio sanitario importante ma anche di far fronte ad un progetto in modo negativo, anche sul piano psicologico, sulla possibilità di futuro per un territorio già provato, che nonostante le numerose rassicurazioni di rito in realtà si vede sempre più depauperato, appena se ne offre l'occasione. E davvero non saprei come i sindaci, per la quasi totalità compagni o amici di partito dell'assessore regionale, possano spiegare o giustificare l'eventuale suo rifiuto di inoltrare la deroga al ministero per il “punto nascita” di Castelnovo ne’ Monti; una deroga anche temporanea, magari triennale, per dare modo di verificare gli esiti dell'esperienza di fusione ed integrazione tra il locale reparto con quello del S. Maria di Reggio Emilia.
Qualsiasi suggerimento in cosa possa consistere questa posizione comune, forte, sarebbe davvero fuori luogo; credo infatti che spetti ai soggetti interessati trovarla; ma, ribadisco, sarebbe importante mandare un segnale deciso ed inequivocabile che testimoni la chiara presa coscienza che non è più solo in discussione un servizio ma che si è pienamente coscienti che è in gioco, ancora una volta, l'idea di cosa significhi il continuare a vivere in questo territorio. Ma anche a noi cittadini, oltre alla nostra presenza, in grande numero, all'incontro di martedì sera, 8 novembre prossimo, presso il Teatro di Castelnovo, è chiesto di pensare ad un impegno, ad un segnale altrettanto forte in appoggio a quello degli amministratori, per rafforzare questa coscienza dell'importanza reale e simbolica della posta in gioco. Radicalismo? Demagogia? No, solo un punto di vista. Altrimenti? Beh, altrimenti il rischio che il tutto possa risolversi, come accennato in apertura, in un gioco delle parti è quanto mai concreto; gioco dove ognuno dichiarerà di aver fatto tutto il possibile e che di più non si poteva fare.
Spero tuttavia di essere felicemente smentito.
(Antonio Marginesi)
La partecipazione dei cittadini è necessaria per dare un segnale forte di voler mantenere in montagna i servizi indispensabili per poterci vivere. Qui occorre andare oltre gli schieramenti politici e fare fronte comune. Da parte degli amministratori alcune cose si debbono chiedere, altre invece bisogna pretenderle e questa è l’occasione per farlo. Attenzione, gente, perché ci stanno togliendo qualcosa ogni giorno e se non ci interessiamo seriamente delle cose non possiamo poi accusare nessuno di non averlo fatto abbastanza. La sera dell’8 novembre è importante esserci, se ognuno farà la sua parte e i risultati verranno.
(Antonio Manini)
Il problema è: fronte comune contro chi? Chi è che ci sta togliendo qualcosa ogni giorno? In parole povere: chi è la controparte? Se non è chiaro questo non si sa bene contro chi o cosa agitarsi o su quale tavolo battere i pugni. Il mezzo usato per toglierci qualcosa ogni giorno è il patto di stabilità, che discende a sua volta dal fiscal compact, che ha la sua ragione d’essere nell’art. 81 della Costituzione – pareggio di bilancio (modificato nel 2011 per “salvare l’Italia”). Qual è il fine per cui viene usato questo mezzo? Se siamo d’accordo con il patto è inutile dibattersi, perché il destino è già segnato: la fine dello Stato sociale, demolito pezzo per pezzo, e la privatizzazione dei servizi. Questo è solo l’inizio. Se non siamo d’accordo, andiamo a vedere chi propone e persegue il patto di stabilità e il fiscal compact, perché quella è la nostra controparte.
(Giorgio Bertani)
Fronte comune contro le ingiustizie e le irrazionalità del sistema, da qualunque parte arrivino. Uniti anche contro la rassegnazione di chi pensa che sia già tutto definito. Fronte comune per difendere i nostri sacrosanti diritti indipendentemente da patti di stabilità o altro che porti danno alla gente che vive in posti come questi. Per una volta senza altre bandiere se non quella della difesa dei diritti e del territorio. Per me sono ragioni sufficienti.
(Antonio Manini)
E’ davvero frustrante leggere che dobbiamo “difendere i nostri sacrosanti diritti indipendentemente da patti di stabilità”. La causa è esattamente il patto di stabilità, che deriva dai trattati europei sottoscritti e che la riforma della Costituzione vuole elevare a rango di norma costituzionale. Se vogliamo difendere i nostri sacrosanti diritti guardiamo bene in faccia chi ha sottoscritto quei trattati e chi oggi li sostiene, ai diversi livelli di governo. Perché se vogliamo l’Europa, vogliamo anche l’austerità. Non esiste l’Europa senza l’austerità. Chi è convinto del contrario, e cerca “l’altra Europa”, la trova in Grecia, con Tsipras. Purtroppo non esiste neppure “l’altra austerità”: c’è solo questa, che abbiamo di fronte, oggi, nella forma del taglio dei servizi sanitari.
(Giorgio Bertani)
Questo articolo inizia con parole che mi sembrano molto illuminanti riguardo ad una recente riunione tenutasi in sala consiliare sulle problematiche dell’ospedale: “Pur apprezzando simili iniziative, mi rimane sempre il dubbio sulla loro capacità di modificare od orientare le scelte della politica, come pure mi pare reale il rischio, almeno per alcuni dei protagonisti, di condurre un gioco delle parti, non potendo sottrarsi al confronto”. Ritengo anch’io che i vertici della Sanità, locale e regionale, conoscano ormai bene gli aspetti tecnici e sociali della questione, anche per merito del lavoro fin qui svolto dalle varie organizzazioni, e a questo punto le decisioni spettano ormai alla politica, e c’è effettivamente il rischio che altre iniziative consentano adesso, anche inconsapevolmente, il verificarsi di “un gioco delle parti”. Se dunque il tutto è ora nelle mani dei decisori politici, il modo più efficace per incidere sulla politica è, a mio avviso, quello esercitabile attraverso il voto, il che mi sembra peraltro abbastanza normale e naturale, salvo che, ovviamente, alle prove elettorali la nostra scelta non sia ideologica, non dipenda cioè dal giudizio che possiamo dare sull’operato dell’una o altra forza politica (ma ci schieriamo, a prescindere, dall’una o altra parte). Poi, qui, seguendo cioè la logica che dicevo, vi sarà chi andrà a cercare le responsabilità a livello centrale per metterle su chi ha voluto il patto di stabilità o il fiscal compact – i cui autori sarebbero la “nostra controparte” come dice un commento – o chi invece le colloca piuttosto sulla Regione, visti i suoi poteri in materia sanitaria e ciascuno regolerà di conseguenza il proprio voto, ma almeno avremo chiaro a chi guardare per le soluzioni che saranno adottate.
(P.B.)
Il senso del mio commento non era “lasciamo perdere, tanto il problema è politico” – come si diceva una volta. Anche quello, certamente, e quel problema si risolve con il voto. E’ naturale che sia la Regione che, in questo momento, può spostare qualche equilibrio un po’ più su o più giù. Ormai, il bilancio delle Regioni è impegnato all’80% per le spese sanitarie; perché stanno raschiando il fondo del barile, eliminano altre spese per non tagliare drammaticamente le spese sanitarie. E’ sulla Sanità che si misura l’uguaglianza dei cittadini: chi può curarsi e chi non può. La malattia colpisce ricchi e poveri, ma la reazione non è la medesima. La Regione Emilia Romagna è sempre stata attenta a questo aspetto e non mi stupisce che, in carenza di mezzi, sposti più risorse sulla Sanità, togliendole ad altri capitoli. Detto questo, se viene tagliata la spesa pubblica, vengono tagliati anche i trasferimenti alle Regioni. E’ solo questione di tempo. Andiamo pure a battere i pugni in Regione, tiriamo avanti un altro anno. Nel frattempo, la demolizione dello Stato sociale procede a tappe forzate e, prima o poi, colpirà ognuno di noi. Guardate la sanità pubblica in Grecia (il più grande successo dell’Euro, diceva il senatore Monti), per avere un’idea del futuro che ci attende. E’ per questo motivo che, mentre battiamo i pugni, è importante sapere a chi dovremo attribuire la responsabilità di ciò che sta accadendo.
(Giorgio Bertani)
Non sempre la rassegnazione è una forma di rinuncia. A volte accade che ci si rende conto, e con tanta amarezza, di aver preteso di giocare in “serie A” con la squadra dell’oratorio.
(mv)
Alla lievitazione della spesa sanitaria – che ha portato le Regioni a destinarvi, cioè impegnare nel settore, una elevata quota dei rispettivi bilanci, come rileva Bertani – concorrono sicuramente molteplici cause, tra le quali, secondo alcuni, rientra pure un eccesso di “domanda” da parte di noi utenti, e giusto in proposito, sempreché io non ricordi male, vi fu qualche tempo fa un servizio giornalistico da cui risultava che la fascia di popolazione pagante allora il ticket usufruiva delle prestazioni sanitarie in misura proporzionalmente inferiore rispetto a chi ne era esentato. Se il dato fosse effettivamente in quei termini, nel senso che la memoria non mi ha tradito, rappresenterebbe senz’altro un indicatore abbastanza significativo, a maggior ragione se l’andamento fosse rimasto il medesimo, ma andrebbe in ogni caso interpretato, così come andrebbero individuati i motivi di tale fenomeno per non arrivare a conclusioni sbagliate, ed è solo chi governa l’organizzazione sanitaria, ossia la politica, che può avere il polso della situazione e decidere di conseguenza, e può altresì comprendere, dagli elementi di cui dispone, se l’utenza sanitaria tende ad orientarsi mano a mano verso i grandi poli ospedalieri, o se invece resta ancora legata alle strutture territoriali, e capire inoltre se eventuali aumenti ed estensioni del ticket possono indurre una fascia di utenza ad orientarsi, o a farlo maggiormente, verso le cosiddette polizze sanitarie. Tutto questo, in buona sostanza, per dire che alla politica “governante” compete e spetta di fare le scelte, anche quando possono apparire difficili e complesse, perché tale è la delicata e “alta” funzione che è chiamata a svolgere, assumendosene ovviamente la responsabilità politica di fronte all’elettorato, dal momento che è proprio questo il meccanismo dei sistemi democratici, e le sue scelte dovranno guardare da un lato alle condizioni date, in quel determinato momento, e tener nel contempo conto dell’insieme dei fattori, economici, tecnici, sociali, ecc., visti anche nel loro evolversi.
(P.B.)
La questione è proprio questa: la responsabilità politica di fronte all’elettorato. Il senatore Monti ha più volte accennato al fatto che “le istituzioni europee hanno accettato l’onere dell’impopolarità, essendo al riparo dal processo elettorale“. “Perché, tutto sommato, alle istituzioni europee interessava che i Paesi facessero politiche di risanamento. E hanno accettato l’onere dell’impopolarità essendo più lontane, più al riparo, dal processo elettorale. Solo che questo un po’ per volta ha reso grigia e poi nera l’immagine dell’Europa presso i cittadini”. Del resto, lui per primo è stato messo al riparo, in qualità di senatore a vita, per “distruggere la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale”, allo scopo di ridurre lo squilibrio nella bilancia dei pagamenti verso la Germania – e non il debito pubblico, che non c’entrava nulla, ed è aumentato, in percentuale sul PIL, dal 2011. Politiche di risanamento, dunque. Eccole qui. Le vuole l’Europa. I grandi ospedali che fanno concorrenza ai piccoli ospedali. E’ il mercato, che ci vuoi fare? E’ la libera concorrenza: il pilastro di Maastricht! Efficiente allocazione delle risorse. Ma perché chi decide deve mettersi ‘al riparo dal processo elettorale? Forse, perché queste scelte vanno contro gli interessi della maggioranza dei cittadini elettori. Attenzione, perché con le riforme si potrà governare (cioè mettere in pratica le scelte economiche fatte a Bruxelles) con un pugno di voti. C’è chi l’ha definita “democrazia idraulica”: si vota, ma come è già stato deciso da chi andrà a governare (usando tutto il potere dei media). La politica governante, in questo contesto, può solo decidere chi tagliare per primo e chi colpire per ultimo. Orientare l’utenza verso le polizze sanitarie? Il metodo l’ha chiarito Chomsky: 1) togli risorse la servizio pubblico; 2) il servizio pubblico funziona male; 3) la gente si arrabbia; 4) privatizzi. Privatizzare vuol dire spostare soldi dal sistema pubblico – che non ci guadagna – al sistema finanziario – che ci deve guadagnare. Questo è l’obbiettivo delle “politiche di risanamento”. E il colmo è che ho ascoltato poco fa un noto esponente della Sinistra che si vantava di avere iniziato lui “le privatizzazioni”.
(Giorgio Bertani)
Probabilmente, onde sottrarci quanto più possibile al volere e condizionamento dei “poteri” di turno, che siano nazionali od europei, e avere dunque maggiore autonomia di scelta e di spesa – il che farebbe forse crescere la domanda interna – ci vorrebbe un robusto calo della pressione fiscale, in modo da avere più “soldi tasca”. Ma qui si scontrano due concezioni piuttosto differenti, se non distanti tra loro, ossia quella “liberale” e quella “statalista”, usando il linguaggio convenzionale, la seconda delle quali punta invece ad avere quante più risorse pubbliche da poter destinare come vogliono per l’appunto gli anzidetti “poteri”. Io non so comunque se noi siamo pronti o intenzionati, come corpo sociale ed elettorale, a fare un’opzione di questo genere, tra cultura liberale e cultura statalista e in proposito mi torna alla mente un’idea degli anni Ottanta che ipotizzava, se non ricordo male, un “buono scuola” e un “buono sanità” da assegnare ad ogni famiglia, la quale lo avrebbe utilizzato avvalendosi delle strutture, pubbliche o private, che riteneva più rispondenti al proprio caso (secondo un principio di libertà di scelta). Quella proposta allora non decollò, fors’anche perché i cambiamenti troppo repentini ci spaventano, il che è senz’altro comprensibile – e del resto entrambe le materie sono piuttosto complesse e delicate, e occorre pertanto muoversi con molta cautela – ma potrebbe forse essere ripresa usando gradualità, ovvero la logica propria del “riformismo”, per esprimerci con un altro termine convenzionale.
(P.B.)