“Pensioni da fame per chi ha lavorato in agricoltura, le più basse d’Europa con una media largamente sotto i 500 euro al mese. Un fatto oltremodo grave in Appennino. Questo costringe i produttori a continuare l’attività, bloccando il turn-over nei campi”. E, alle volte, ne vediamo le conseguenze con drammatici incidenti.
A rilevare questa analisi è il direttore del patronato Inac della Cia di Reggio Emilia Roberta Bortesi, di ritorno da un’iniziativa tenutasi presso la Camera dei deputati. La diretta conseguenza è uno dei più bassi indici mondiali di nuovi ingressi nel settore da parte dei giovani, fermi sotto il 6%. A denunciarlo è la Cia-Agricoltori italiani, che ha promosso nei giorni scorsi insieme al suo patronato Inac un convegno alla Camera per analizzare la situazione pensionistica in Italia e in particolare il segmento delle fasce più basse, in primis quelle agricole. Da qui il titolo “Pensioni dignitose per gli agricoltori italiani”.
Dai lavori, a cui hanno preso parte tra gli altri il presidente nazionale della Cia Dino Scanavino, il presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano, è emerso un quadro assai preoccupante per la tenuta del tessuto sociale del Paese, con un sistema pensionistico che mostra enormi criticità.
Da “bollino rosso” le condizioni degli ex lavoratori in agricoltura, che in Italia sono circa 460mila, dei quali l’89,4% non arriva a una pensione di 600 euro al mese. Ma la media di settore è notevolmente più bassa e si attesta sui 400 euro al mese, con punte minime di assegni da 276 euro: “questo per l’effetto del regime pensionistico contributivo ora in vigore” segnala Roberta Bortesi. Situazioni difficili distribuite in tutte le regioni anche se, guardando al rapporto tra densità della popolazione e numero di ex coltivatori diretti e Iap - imprenditori agricoli professionali, emergono i quasi i 28mila del Trentino, i 51mila del Piemonte, i 49mila del Veneto, i 47mila dell’Emilia Romagna e i 30mila della Campania. In questo scenario è facilmente intuibile che molti agricoltori anziani, per sopravvivere, continuino in qualche misura ad “arrangiarsi”, magari sui campi, per aiutare la famiglia e arrivare a fine mese.
“Ora è il momento di dare e non di togliere ancora - ha affermato il presidente della Cia Dino Scanavino-. E’ sotto gli occhi di tutti che il sistema pensionistico italiano debba essere fortemente riformato. Abbiamo le retribuzioni minime più basse d’Europa, chiediamo quantomeno che vengano uniformate a quelle degli altri Paesi Ue. E tra i pensionati che stanno peggio ci sono senza dubbio gli agricoltori che, tra l’altro, continuano a vivere nelle aree interne e rurali dove già scarseggiano welfare e servizi”.
Negli interventi anche il punto di vista del patronato della Cia: “Esistono - ha evidenziato il presidente dell’Inac Antonio Barile - i margini per aumentare le pensioni, al contrario di quanto sostenuto da più parti. Un processo che non è più rinviabile, perché gli italiani che vivono sotto la soglia di povertà sono quasi 5 milioni e tra questi c’è chi ha lavorato una vita intera nei campi”.
"Un’ingiustizia non più tollerabile - osservano alla Cia - a cui si può cominciare a porre rimedio subito. Per questo abbiamo proposto di lavorare per perfezionare la proposta di legge Gnecchi-Damiano, che prevede l’istituzione di una 'pensione base' (448 euro), in aggiunta alla pensione liquidata interamente con il sistema contributivo".