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Un esaustivo incontro ha fornito tutti i dettagli sulla situazione del lupo in Appennino

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wac“Facciamo attenzione a non alimentare la confidenza del lupo verso l’uomo”. Questo il messaggio che l’esperto Willy Reggioni ha consegnato agli amministratori in occasione della seduta del Consiglio di venerdì scorso presso la sede dell’Unione montana a Castelnovo Monti, dedicata alle criticità legate alla presenza del lupo sul territorio. Accrescere la conoscenza degli amministratori sui fenomeni più critici legati alla presenza del lupo e dare avvio a un percorso istituzionale di confronto tra Unione dei comuni e Parco nazionale erano gli obiettivi di questa iniziativa, che ha visto la presenza dell’esperto Willy Reggioni, coordinatore del Wolf Apennine Center (WAC), il centro permanente di riferimento per la gestione del lupo su scala interregionale che fa capo al nostro Parco nazionale, rappresentato per l’occasione anche dal presidente Fausto Giovanelli.

La seduta, convocata nella formula del Consiglio aperto e dunque con possibilità di partecipazione attiva anche dei cittadini, ha visto la presenza, tra gli altri, di alcuni operatori della zootecnia della montagna nonché dei Sindaci di Baiso e Canossa oltre a quelli dei Comuni dell’Unione (insieme anche a diversi assessori e consiglieri comunali), e al presidente Enrico Bini. L’incontro, aperto dal presidente Bini, è stato coordinato dalla consigliera dell’Unione Lucia Manicardi.

Dopo avere illustrato origini, consistenza e distribuzione della popolazione lupina in Appennino e nelle aree circostanti, Reggioni ha risposto alle numerose domande che gli sono state poste sia in relazione ad aspetti legati a biologia ed etologia del lupo che sul quadro normativo e le strategie possibili per la gestione e il contenimento delle presenze e delle criticità correlate, compreso il problema dell’ibridazione che il Parco affronta nell’ambito del Progetto Life Mirco-Lupo finanziato dall’Unione Europea. Il tema che maggiormente preoccupa gli amministratori si è confermato essere quello della potenziale pericolosità della specie che nel comprensorio appenninico ha sviluppato comportamenti problematici che stanno destando allarme sociale e politico. Si tratta prevalentemente di predazioni di cani domestici in prossimità delle abitazioni e di frequenti avvistamenti di lupi anche a distanze ravvicinate a centri abitati o abitazioni di campagna.

Il pensiero diffuso che non si tratti di esemplari puri della specie lupo bensì di soggetti frutto di ibridazione con cani, e che da ciò derivino i comportamenti descritti, non troverebbe riscontro secondo l’esperto, nei dati rilevati dalle indagini genetiche il Wac fa realizzare su soggetti catturati o su campioni biologici raccolti nel territorio. “Le analisi genetiche su campioni invasivi (sangue) e non invasivi (escrementi) condotte presso il laboratorio di genetica molecolare dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ha spiegato Reggioni – evidenziano che il problema dell’ibridazione purtroppo esiste anche in Appennino settentrionale, ma che in realtà si tratta di ibridi introgressi, ovvero di animali appartenenti a generazioni molto successive a quella che deriva dall’accoppiamento tra un cane e una lupa. Non si tratta infatti di ibridi di prima generazione, mezzi cani e mezzi lupi, e neppure di seconda generazione bensì di animali reincrociati più e più volte con i lupi puri, per cui presentano solamente tracce del patrimonio genetico del cane e sono molto spesso indistinguibili dai lupi puri. Si tratta pertanto di un problema che attiene esclusivamente alla conservazione del patrimonio genetico del lupo puro, che è frutto dell’evoluzione naturale e che rischia di essere definitivamente compromesso in conseguenza del meccanismo del incrocio tra lupi ed ibridi. Per quanto riguarda il comportamento di questi animali ibridi – ha proseguito –va detto che, crescendo nel branco, acquisiscono in tutto e per tutto abitudini ed atteggiamenti macroscopici tipicamente da lupi, in sostanza non hanno nulla che li differenzi dai lupi puri e come tali si comportano, essendo animali culturali. Ciò che va però attentamente monitorato è il comportamento dei lupi in contesti fortemente antropizzati e quello delle persone che in questi contesti vivono”.

Da quanto è emerso nel corso dell’incontro, il tema della confidenzialità e dell’avvicinamento alle abitazioni troverebbe infatti origine piuttosto in alcune pratiche umane che hanno per conseguenza quella di attirare gli animali in contesti antropizzati, dove questi ultimi avrebbero accesso facile a risorse alimentari che il lupo non disdegna affatto ma, al contrario, impara opportunisticamente ad utilizzare. Reggioni ha insistito su questo punto: “È questo fenomeno, chiamato ‘abituazione’, quello su cui dobbiamo concentrare le forze per scongiurare incidenti. È vitale mantenere la distanza tra noi e il lupo, quella diffidenza che la famiglia trasmette alla prole insieme a tutte le altre ‘istruzioni’ per la sopravvivenza e che almeno negli ultimi duecento anni ha portato a zero gli episodi di aggressione verso di noi. Dobbiamo evitare di avvicinarli, invece si osservano situazioni in cui persone, consapevolmente o inconsapevolmente, alimentano i lupi, a volte direttamente, a volte lasciando cibo incustodito. Anche la pratica dei cani alla catena di notte senza sorveglianza o alcuna forma di protezione, pratica peraltro vietata dalla normativa regionale, è assolutamente da evitare. Per quanto riguarda lo stato della normativa, ricordiamo che il lupo è specie “strettamente protetta” secondo la Convenzione di Berna (Convention on the Conservation of European Wildlife and Natural Habitats) del 1979 e “particolarmente protetta” secondo la direttiva europea Habitat (92/43) del 1992, mentre in Italia è la legge n.157 del 1992 sulla caccia ad includerla definitivamente nell’elenco delle specie "particolarmente protette" e non ammissibili a prelievo venatorio. Non sono dunque possibili oggi –ha spiegato Reggioni – né da parte del Parco né da Parte delle Regioni, interventi di controllo diretto del lupo, a meno che il Ministero dell’Ambiente non decida d’intraprendere azioni in regime di deroga, che è ammessa dalla stessa direttiva Habitat. A livello nazionale se ne sta ragionando, con l’ipotesi d’introdurre nel nuovo piano di gestione e conservazione del lupo l’autorizzazione all’abbattimento del 5% della popolazione censita, una soluzione che, qualora venisse confermata, dal punto di vista dell’efficacia lascia molti esperti alquanto perplessi. Per quanto riguarda il nostro territorio stiamo monitorando attentamente il fenomeno per poterlo rappresentare nella sua reale dimensione nei contesti istituzionali preposti a scegliere eventuali soluzioni gestionali, che ripeto ad oggi non sono in capo al Parco nazionale”.

“A fronte delle informazioni che abbiamo acquisito – ha concluso la consigliera Manicardi – stante il quadro normativo vigente e nell’attesa che se ne conoscano le evoluzioni, quello che possiamo e dobbiamo fare come amministrazioni è lavorare sui due aspetti critici che sono emersi: quello dell’‘abituazione’ del lupo all’uomo, promuovendo azioni di contrasto alle pratiche antropiche che avvicinano gli animali agli abitati e alle persone, e quello della gestione corretta dei cani, necessaria per ridurre il fenomeno del vagantismo e per metterli al riparo dalle aggressioni. Occorre attivare un confronto costante con il WAC, eventualmente individuando come interlocutore il costituendo gruppo di lavoro dell’Unione sull’ambiente”. Il Presidente Giovanelli, nel rimarcare che le strategie per la gestione del lupo fanno capo ad enti sovraordinati all’ambito locale, ha sottolineato “la necessità di affiancare alle iniziative di comunicazione azioni di approccio diretto agli attori locali a vario titolo interessati, affinché la diffusione delle buone pratiche necessarie al momento per ridurre i fattori di rischio sia il frutto di un processo il più possibile condiviso, concordato e partecipato dalla comunità”.

 

4 COMMENTS

  1. I problemi sollevati da me personalmente, in veste di consigliere dell’Unione per dar voce alle preoccupazioni della gente e le manifestazioni di disagio per le condizioni in cui si arriverà a dover lavorare sollevate da un imprenditore locale, dedito alla pastorizia e produzioni lattiero-casearie, erano forse dettagli insignificanti per non citarli per niente nell’articolo?

    (Antonio Manini)

    • Firma - AntonioManini
  2. Qualcuno mi spieghi l’utilità della presenza del lupo, visto che produce solo danni agli allevatori e, prima o poi, attaccherà anche qualche bimbo che gioca in un cortile. Credo che ai lupi interessino poco le conclusioni della consigliera Manicardi.

    (Bonus)

    • Firma - bonus
  3. I presunti ibridi lupo-cane sono stati spesso chiamati in causa per spiegare comportamenti anomali e inusuali del predatore, vedi l’avvicinarsi ai centri abitati o a case più o meno isolate, mentre adesso i dati scientifici, ossia le indagini genetiche, sembrerebbero dirci che il fenomeno dell’ibridazione è molto marginale e di fatto ininfluente rispetto ai “comportamenti descritti”, e d’altronde, come era già stato osservato da qualcuno sulle pagine di Redacon, se la presenza di ibridi fosse stata significativa le sembianze di un qualche esemplare, a cominciare dal mantello, avrebbero dovuto richiamare in qualche modo quelle del cane, quando invece non risultano esservi, per quel che ne so, immagini o segnalazioni di questo tipo. Venendo alla cosiddetta “abituazione”, penso anch’io che vada opportunamente evitata negli ambienti antropizzati, ma non mi vengono in mente persone le quali “consapevolmente o inconsapevolmente, alimentano i lupi, a volte direttamente, a volte lasciando cibo incustodito”, e a mia memoria non si sono avuti avvistamenti dell’animale presso i cassonetti dei rifiuti domestici, i cui effluvi ed emanazioni potrebbero in teoria attirarlo, se il problema fosse effettivamente quello alimentare, ma viene un qualche dubbio in proposito perché il lupo ha oggi a disposizione una “riserva” di cibo abbastanza consistente, rappresentata dalla fauna selvatica di grandi dimensioni (cinghiali, caprioli, ecc.), ossia specie che in passato non abitavano più i nostri luoghi, cioè un secolo fa e fors’anche oltre, quando il lupo era invece ancora presente (prima della sua scomparsa, nel primo dopoguerra da quanto risulterebbe, seguita poi dalla ricomparsa). Restano dunque da capire le ragioni dell’odierna confidenzialità del lupo verso l’uomo e le sue abitazioni, che potrebbe semmai dipendere – ma qui mi esprimo obbligatoriamente al condizionale – dal fatto che non ne ha più timore, dal momento che non si vede più cacciato come un tempo, così che nel predatore è venuta meno di riflesso “quella diffidenza che la famiglia trasmette alla prole insieme a tutte le altre istruzioni per la sopravvivenza” e viene di rimando da domandarsi se non varrebbe la pena di provare a reimmettere tale diffidenza in maniera “incruenta”, il che mi ha portato a chiedermi più volte se l’impiego di una scacciacani, cioè di un un’arma giocattolo regolamentare, nelle zone più frequentate dai lupi e quando i medesimi avessero a fare la loro comparsa, possa essere di una qualche utilità ed efficacia in merito, appunto sul piano dissuasivo, o non abbia invece una qualche controindicazione o anche limitazione d’uso pur trattandosi di strumento innocuo (e non mi dispiacerebbe avere un parere al riguardo da chi è esperto in materia).

    (P.B.)

    • Firma - P.B.