L’ultima campanella che annunciava l’inizio dell’anno scolastico al primo di ottobre ha suonato nel 1976 e i bambini di prima elementare venivano chiamati “remigini” in quanto il primo ottobre veniva celebrato San Remigio.
Ricordo il mio primo giorno di scuola a Parma, presso le elementari Renzo Pezzani, accompagnata a piedi da mia madre. Grembiule bianco, colletto di piquet celeste e fiocco rosa.
Ben misero il destino di tal fiocco, inevitabilmente alla fine delle lezioni le allieve più vivaci lo avevano ridotto a due sconsolate tagliatelle a penzoloni sul grembiule; ma a me era stato insegnato ad avere cura delle mie cose, ad essere ordinata, a non portare i calzettoni a “garandella”, ma ben tesi sotto il ginocchio e a tenere il fiocco in ordine.
Il grembiule uniformava il censo delle scolare ed impediva, aggiungo, saggiamente, qualunque ostentazione di ricchezza o benessere (qualora vi fossero e non erano certo diffuse), non posso dire esposizione di “firme” perché grazie al Cielo allora non esistevano. Per lo meno non per i bambini.
Sono convinta che ci proteggesse anche dal desiderio di sembrare più grandi o appariscenti, il grembiule, indossato fino alla terza media, ci faceva rimanere della nostra età e crescere con la lentezza che dovrebbe essere un diritto per ogni bambino.
Sono passati cinquant’anni da che ho varcato la soglia della scuola, ne avevo 5, essendo nata in dicembre avevo il “privilegio” di accedere a quell’età e ricordo con tenerezza il panico sommesso che avvertivo nel dovermi accomiatare da mia madre. Per me, che per ragioni di salute non ho potuto frequentare l’asilo, era la prima volta che dovevo staccarmi dai miei genitori ed essendo la maggiore di due fratelli ero, come sarebbe stato sempre in seguito, l’“apripista”.
L’appello fatto da qualcuno mi assegnò alla classe (1^ C), un bacio della mamma e via, dopo l’ultima raccomandazione di stare attenta ed essere educata, sola, verso un destino che mi si prospettava oscuro ed ignoto. La mia maestra si chiamava Buttà, più una nonna… i capelli bianchi e il modo affettuoso, per quando autorevole, di accogliere noi “remigini”.
Una sola figura, un solo riferimento che mai, per alcun motivo, avrei messo in discussione, tanto più che la scuola, come gli insegnanti, ricevevano l’incondizionato appoggio dei genitori, generando un filo continuo tra il mio dovere e la famiglia, senza dare adito scuse o recriminazioni. Che poi i genitori fossero in grado di valutare la competenza di un insegnante non lo metto in dubbio, ma non avrebbero mai minato la sua autorità facendo commenti in mia presenza.
La cartella era leggera: l'abbecedario, le lettere di cartone da inserire in un supporto per imparare a comporre le parole, un quaderno a quadretti “per la 1^” su cui fare aste, tondi e i miei primi sgorbi, l’astuccio. Ricordo che il mio era particolarmente lussuoso, certo comperato presso la cartolibreria degli zii, in pelle rossa, morbida come un guanto. Mi fu consegnato con la raccomandazione di averne cura, perché sarebbe dovuto durare per tutte le elementari. I pastelli colorati, la matita, la gomma, il temperino di metallo (guai a perderlo, è sempre stato costoso!), una biro rossa ed una blu.
Per anni ho avuto modo di ammirare nel negozio degli zii il mutare delle mode per gli accessori scolastici ma il ricordo più particolare che conservo riguarda degli astucci che per me erano meravigliosi: i sagomati Regis.
Riproducevano immagini di Zorro, Tex o altri eroi del fumetto, ma a me piaceva Remigino: un bimbetto in grembiule nero al suo primo giorno di scuola.
Scriverne ora sembra la patetica rievocazione di bei tempi andati e mi colpisce osservare come si tratti di cinquant’anni fa. Mezzo secolo, sembra una vita, certo un'altra epoca.
Ho due nipotini che vanno a scuola, riescono bene, si applicano con serietà e sono rispettosi degli insegnanti. Ma vedo che sono anni luce da me, accedono ai mezzi elettronici con una naturalezza che mi lascia basita.
Mi rendo conto che la “mia scuola” appartiene ad un passato che forse non è neppure possibile descrivere e che i bambini di oggi, forse, non potrebbero immaginare, tantomeno comprendere.
Comunque sia, a tutti i “remigini” che affrontano per la prima volta i banchi di scuola l’augurio di saper ricevere il dono del discernimento, della conoscenza e dell’indipendenza della mente.
La ringrazio per questa sua bella testimonianza in cui mi identifico essendo stato anche io un “Remigino” nel 1959. Ha perfettamente ragione, era un’altra epoca, benché in fin dei conti non sia passato che mezzo secolo. Sicuramente c’era molto più rispetto per l’autorità dell’insegnante, mi ricordo gli avvertimenti di mio padre che ammonivano “Guai a tornare a casa con la nota della maestra perché te le suono di sopra, intesi?” Non si è mai verificato come mai ho assistito a veri episodi di bullismo come avvengono adesso, perché la sgridata, quando anche qualche scapellotto del/della maestro/a, erano sufficienti a far arrossire di vergogna i più discoli. Adesso è più facile sentire dire di genitori che vanno a protestare con gli insegnanti rei, con la loro ramanzina, di aver diminuito il livello di autostima dei loro pupilli. Si tornava a casa da soli, chi a piedi, chi come me in bicicletta; adesso non è più possibile, i bambini devono essere affidati ad un adulto designato all’uscita da scuola. Poi a casa, pranzo, compiti e via a giocare fuori all’aperto con tutti gli amici, ad imparare a socializzare fino a sera. Altro che Playstation. Proprio un’altra epoca. Grazie di nuovo. Cordialità.
(Giuliano Macchi)
SALVE IO SONO DELL’ANNO 1969 E’ STATO BELLISSIMO RILEGGERE QUESTI RICORDI. SONO DI ANCONA AL TEMPO RICORDO BENISSIMO QUANDO LE SCUOLE INIZIAVANO AD OTTOBRE E NOI PER UN PERIODO VISTE LE TANTE NASCITE ANDAVAMO A SCUOLA A TURNI QUINDI ANCHE DI POMERIGGIO INVECE CHE AL MATTINO.BELLE COSE RISPETTO AD ORA SICURAMENTE HO UNA RAGAZZA DI 13 ANNI E ME NE RENDO CONTO.
(micaela carignani)