Pubblichiamo di seguito questa intervista-dialogo esclusiva/o con la sen. Leana Pignedoli (Pd) a proposito della riforma costituzionale e del referendum a cui presto saremo chiamati a partecipare per esprimere consenso o dissenso. Naturalmente proporremo anche voci di diversa posizione.
-----
Che importanza dà a questo referendum costituzionale? E' davvero cruciale, come da più parti si sostiene, o è solo un po' "drammatizzato" da qualche "guastafeste"?
Tutti siamo d'accordo nel dire che abbiamo un sistema parlamentare inefficiente, troppo lento nel decidere. Un sistema istituzionale previsto dalla seconda parte della Costituzione sulla quale gli stessi padri costituenti avevano espresso dubbi a partire dal presidente della Commissione Meuccio Ruini. Del resto da oltre trent'anni, dal 1983, si tenta di superare un sistema parlamentare che ha creato instabilità e lentezze. Ci furono molti tentativi di proposte di riforma, da Speroni a Nilde Iotti e De Mita, da D'Alema e Berlusconi a Violante. Tutti tentativi falliti per accordi politici non raggiunti. Ora, per la prima volta dal dopoguerra, siamo riusciti a terminare l'iter in Parlamento. Dopo 6 letture parlamentari, 143 sedute di aula e commissioni, 3600 interventi dei parlamentari, l'esame di oltre 5000 emendamenti (alla Costituente ne presentarono 700!) si è arrivati ad una riforma che cancella il bicameralismo paritario, cioè non più due camere parlamentari che fanno la stessa cosa. In un paese che da anni fatica a crescere, rendere le istituzioni e i percorsi parlamentari più efficienti, sì, è un punto cruciale.
Qual è la sua valutazione complessiva e sintetica - spassionata per quel che può/vuole, dato che è senatrice in carica del maggior partito della maggioranza che l'ha voluta e la sostiene - su questa "riformona" che verrebbe a cambiare più di 1/3 degli articoli della Costituzione vigente?
Io dico che si possono avere opinioni differenti nel merito di alcuni punti della riforma, ma sono molto convinta della sua utilità. Finalmente si affida ad una sola Camera l'iter di una legge, con tempi certi di decisione. Anche in questa legislatura sto vivendo in diretta il danno provocato da questo sistema. Faccio un esempio in tempo reale: la legge più importante che abbiamo appena portato a termine per il mondo agricolo, con il sistema cosiddetto della navetta "Senato-Camera-Senato", ha impiegato tre anni per essere approvata! Potrei fare un elenco lunghissimo di iter simili. Può questo essere un sistema adeguato ad un paese moderno? Mi convince, poi, la parte della riforma che elimina il Cnel, un organismo fuori dal tempo, che in oltre 50 anni ha emesso appena 2 pareri l'anno (!) ma in compenso costa allo Stato 20 milioni di euro annui. Indispensabile la parte che modifica il titolo V, che chiarisce quali sono le competenze dello Stato e delle Regioni e ne riequilibra i rapporti eliminando la confusione di competenze che ha originato infiniti ricorsi alla Corte costituzionale. Riduciamo (e non è l'ultimo aspetto della riforma) il numero dei parlamentari: si passa da 945 a 730 (di cui 100 non retribuiti con ulteriori indennità oltre a quelle già percepite in qualità di sindaco o consigliere regionale) andando incontro alla forte domanda di riduzione della rappresentanza parlamentare e il contenimento dei costi della politica. Portiamo il nostro Paese a numeri più "europei". Quale partito politico in questi anni non l'ha sostenuto in campagna elettorale? Ora c'è l'occasione per farlo concretamente. Infine, è una riforma che aumenta la partecipazione dei cittadini: da un lato con quorum più bassi per i referendum e dall'altro con la certezza di valutazione delle proposte di legge di iniziativa dei cittadini. Oggi non è così. In tutti questi anni sono solo 5 le proposte di legge di iniziativa popolare discusse dal Parlamento.
Si dice - e l'ha già dichiarato anche lei - che con questo referendum si vuole disegnare una democrazia più "decidente", più veloce, più adeguata a come gira il mondo moderno. Ma come considera il problema (oggettivo) di garantire la governabilità rispetto a quello (altrettanto e forse anche più sacrosanto) della rappresentanza, considerato che, in combinata con la nuova legge elettorale (se tale rimarrà), il cosiddetto "Italicum", potrà accadere che un partito del 25-30% dopo il ballottaggio avrà una corposa maggioranza assicurata, con tanti nominati alla Camera fedeli, che rischierà, se di sostegno ad un presidente del consiglio "forte", di ridursi a semplice votificio, svilendo il ruolo del Parlamento, finora vero baricentro della nostra Repubblica (seppure da anni purtroppo calante, come dicono alcuni, dato il ricorso ormai sproporzionato a voti di fiducia e quindi con discussioni anche su temi importanti spesso quasi o del tutto impedite)?
Per la verità è proprio il Parlamento di oggi che può essere definito un "votificio" di leggi, visto che 8 provvedimenti su 10 sono di iniziativa del governo. Questo è giustificato dal fatto che i percorsi dei disegni di legge ordinari hanno tempi biblici, inadeguati alle emergenze del Paese, ed è questo che ha svuotato l'autorevolezza del Parlamento. Se si vuole riportare il Parlamento ad essere baricentro della nostra Repubblica non basta scriverlo in Costituzione, bisogna creare le condizioni perché ci sia un organo legislativo che approfondisca il merito dei temi, in tempi certi e non si dilunghi in riti identici. Così come penso serva un Parlamento autorevole perché più efficiente, altrettanto penso che questo paese abbia bisogno di un governo in grado di governare. Questo è l'obiettivo della legge elettorale e della riforma insieme. Il nostro problema da anni è l'inconcludenza, che ha creato sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. Il discredito della politica viene dalla mancata coerenza nell'attuazione, nella distanza tra ciò che si dice e ciò che si fa, nella mancata individuazione di chi ha responsabilità. Io dico che una legge elettorale che dà la possibilità di indicare subito un partito di maggioranza, che indica per la guida del governo il proprio leader, è un elemento di prezioso di stabilità e di responsabilità. Germania, Francia, Spagna, Regno Unito sono paesi in cui il ruolo del premier è certamente più forte che in Italia. Non credo si stia parlando di paesi prossimi ad una dittatura. La cosa che mi stupisce è perché non ci preoccupiamo del contrario, perché non ci preoccupiamo che nel nostro Paese dal 1948, in 68 anni, si siano susseguiti ben 60 governi! Questo significa rispettare il diritto dei cittadini che hanno votato? È democrazia?
Il fattore "prestismo" ("fare presto") dell'iter decisionale se rischia di non permettere, o comunque comprimere, un adeguato e libero confronto delle idee di tutti, maggioranza e opposizione, dando quindi il tempo necessario a che ciò possa esplicarsi, si può davvero considerare un miglioramento della funzione, della qualità delle istituzioni e del funzionamento della nostra democrazia, a suo parere? C'è chi ricorda che questo bistrattato bicameralismo perfetto non ha impedito di essere rapidissimi ad approvare ad esempio la legge Fornero: solo 19 giorni... Il problema, cioè, non risiede piuttosto negli uomini invece che, come si tende oggi a far credere, nell'istituzione in sè?
I tempi della discussione vengono ridotti perché si fa uso dei decreti legge che hanno 60 giorni per essere approvati. Si comprime in 60 giorni l'intero iter: la discussione nella commissione di merito, l'acquisizione dei pareri delle altre commissioni, il parere della commissione bilancio, approvare gli emendamenti e poi passare in aula con la discussione generale e la votazione di nuovi emendamenti. Il voto finale in aula che, però, non è un punto di arrivo, ma di partenza per l'altro ramo del Parlamento che deve ridiscutere la legge in modo identico a quanto già avvenuto nella prima camera, con tutto l'intero percorso. Se una sola parola viene modificata, ritorna alla camera precedente per una terza lettura che ripete l'intero iter. Se non si contingentano i tempi con la forzatura di decreti legge e fiducie questo processo è fuori da questo tempo e da quelli normali della società. L'esempio fatto, la riforma Fornero, è molto calzante, ma per dimostrare e confermare quello che sto dicendo. L'iter è stato veloce perché appunto era dentro un decreto legge, il "Salva Italia". Esso rappresenta, inoltre, un record storico di velocità perché, come si ricorderà, in quel dicembre 2011 si paventava la possibilità di fallimento del Paese con lo spread che superò i 525 punti. Era l'emergenza delle emergenze.
Il Senato, al di là delle semplificazioni un po' populiste, non viene abolito, viene solo cambiato, seppure in modo profondo (vedi il caso delle province, "abolite" ma sempre lì, solo "geneticamente" modificate) e i rapporti con le altre istituzioni paiono un po' ingarbugliarsi rispetto ad ora (vedi la formulazione da azzeccagarbugli dell'art. 70, ma non solo quello). I risparmi di denaro non paiono così sostanziosi come viene detto e comunque c'è chi sostiene che se il problema fosse quello allora non si capisce perchè non tagliare, ad esempio, anche una bella fetta di deputati e tanto altro (stipendi eccessivi, ecc.)... Cosa pensa di questi rilievi?
Il Senato viene abolito nella forma che ha oggi. Non è una copia di quello attuale in forma ridotta. Sarà un'altra cosa, con altre funzioni. Si passerà da 315 senatori a 100 di cui 21 sindaci e 74 consiglieri regionali (+ 5 eletti dal presidente della Repubblica) scelti dai cittadini, che non percepiranno indennità dallo Stato, ma dai loro enti di provenienza. Saranno i rappresentanti dei loro territori in Senato e potranno incidere sulla formazione delle leggi che riguardano gli enti locali e non solo dare un parere finale a cose fatte. Io ritengo potrà essere utile, molti paesi hanno la camera degli enti locali. Se mi si chiede se sarà facile impostare quel lavoro rispondo assolutamente no, bisogna entrare in una nuova visione del modo di governare, ma lo trovo un tentativo serio di raccordare comuni, regioni e stato centrale, regioni e Unione europea; può essere un salto qualitativo del lavoro delle istituzioni. Da anni, anche nei nostri territori, non facciamo che parlare di fare "rete", ma se lo Stato e le amministrazioni locali sono i primi a non farlo adeguatamente c'è un problema, e con questa riforma si imposta un sistema di coordinamento. La riduzione dei costi ci sarà non solo perché si riducono il numero dei parlamentari ma anche perché cambierà totalmente la struttura amministrativa del Senato. Si ridurranno apparati tecnici. Per esempio: il Senato ha 12 palazzi in gestione oltre a Palazzo Madama: saranno più che dimezzati. Il risparmio sarà evidente sia in termini di personale che nella amministrazione. Perché non si sono diminuiti i parlamentari in tutte e due le Camere in modo uguale? Perché qui si è fatta una scelta netta di funzioni diverse nelle due Camere, non di percentuali matematiche. Si è deciso di dare ad una sola Camera il ruolo di rappresentanza della Nazione, una sola che dà la fiducia al governo e per questo deve avere una rappresentanza proporzionata.
Circa poi la stabilità degli esecutivi: non le pare che - la esprimiamo in battuta, ma prenda il senso - la maggiore stabilità ce l'hanno i regimi autoritari? L'attuale inquilino di Palazzo Chigi ha ripetuto che i poteri del governo non vengono toccati nè in più nè in meno. Vero, però - dicono i soliti "gufi" – l’asserzione non è completa, non si dice tutta: perchè se diminuisci nella sostanza quelli di chi ti sta intorno il risultato è quello: di aumentare de facto il peso dell'esecutivo "che non viene toccato". Se si considera quindi che - sempre che l'"Italicum" attuale diventi la nuova legge elettorale - il governo potrà dunque disporre di un potere maggiore, non crede che possa configurarsi uno sbilanciamento rischioso nella delicatissima interconnessione delle attività di legislatori, ministri e giudici? Non è che il potere esecutivo, emanazione teorica della maggioranza del Parlamento che è preposto al suo controllo, non prenderà di fatto il suo posto, divenendone il controllore, con tutto ciò che ne consegue (il Parlamento - leggi: chi dirige il governo - poi potrà "sistemare" il potere giudiziario, la Corte costituzionale, la presidenza della Repubblica...)? Sono timori che serpeggiano... che i famosi "contrappesi" perdano sostanza... Tutte cose senza fondamento? E poi: se le elezioni con l'Italicum determinano un partito ed un collegato candidato presidente del consiglio vincente, che così il popolo legittima direttamente come tale, che fine fa il potere che ha oggi il presidente della Repubblica di sceglierlo e nominarlo lui, il capo del governo (attuale art. 92), senza passare da una norma specifica (costituzionale)?
Io credo che la stabilità di governo sia un diritto dei cittadini che hanno votato i propri rappresentanti. Sia la legge elettorale che la riforma puntano a dare una maggiore stabilità di governo, il che significa poter fare scelte strutturali vere, quelle che servono a cambiare il paese per i prossimi decenni e non per le prossime elezioni. A questo serve la stabilità. Per quanto riguarda i cosiddetti contrappesi, con questa riforma aumentano le garanzie, non diminuiscono! Per eleggere il presidente della Repubblica serviranno nei primi scrutini i 2/3 dell'assemblea, poi i 3/5 dei votanti. Percentuale che la maggioranza da sola non avrà mai. Questo significa che l'elezione del presidente dovrà essere condivisa con le forze di opposizione. Così sarà per l'elezione del Consiglio superiore della magistratura. Il premier non potrà mai decidere solo con la sua maggioranza le più alte cariche dello Stato e degli organi di giustizia. Le garanzie per la democrazia aumentano.
Alcuni governanti ultimamente si sono "sbilanciati": oltre a provare a procedere alla famosa "spersonalizzazione", per cercare di ridurre i "no" a chi ha anche detto che se non passa si ritira a vita privata indipendentemente da cosa si va a votare, si sente che "sì, forse la riforma non è perfetta, si poteva scrivere meglio... magari se passerà poi si farà qualche opportuna modifica...". Ma è uno scherzo o cosa?
Ma io non parlerei con allusioni di "alcuni governanti"... Andrei diretta: Renzi ha sbagliato a personalizzare e a legare a sè questa riforma, ancor più a paventare l'idea di lasciare la politica. Quest'ultimo è un problema solo suo. La riforma riguarda il futuro del Paese, non di Renzi. Non deve scandalizzare se si parla di riforma perfettibile. Lo disse lo stesso Dossetti parlando dei propri dubbi in merito alla seconda parte della Costituzione pur essendo in corso di approvazione. La modifica della carta Costituzionale, dopo quasi 70 anni, è un processo complesso. In questa riforma si tengono saldi i valori contenuti nella prima parte della Costituzione, quelli fondanti per la nostra Repubblica, ma si cerca di adeguare la seconda parte, quella che definisce l'organizzazione delle istituzioni, adeguandola all'evolversi del sistema istituzionale. La Costituzione, per esempio, è nata quando non c'era ancora l'Unione europea, non c'era il sistema delle Regioni, non può rimanere immobile, è cambiato profondamente il contesto. È' complessa perché ci sono punti di vista diversi. Renzi stesso aveva proposto un'altra riforma; pensava, ad esempio, ad un Senato di sindaci. Il Parlamento l'ha cambiata, ha bocciato la sua proposta. Questo è il punto di mediazione a cui si è arrivati. Bisogna decidere se vogliamo far fallire ancora una volta il tentativo di riformarci o se accettiamo questa sfida. La legge elettorale ha un suo percorso separato, ma è stato giusto discuterlo in parallelo perché le due cose si intrecciano. Ci sono modifiche che si possono ancora fare? Si provi ad approfondire ulteriormente. Capisco i dubbi sull'idea del premio di maggioranza ad un solo partito anziché alla coalizione, ma faccio presente che le coalizioni in questo paese non sono mai riuscite a creare stabilità. Le coalizioni vanno bene per vincere le elezioni, ma non per governare. Ho vissuto in diretta l'ultimo governo Prodi: 14 partiti tenuti insieme da un accordo molto dettagliato in un plico di 240 pagine. Nonostante questo, ogni mattina, un partito della coalizione si alzava e poneva al governo condizioni di ricatto bloccando l'attività parlamentare. Infatti ebbe due anni di vita, non di più. Credo possa essere ulteriormente approfondito questo tema ma non si prenda come alibi per non votare la riforma.
Come donna da sempre di sinistra, che impressione le fa notare la spaccatura prodotta dal quesito su cui ci si andrà ad esprimere in associazioni come l'Anpi o la Cgil, storicamente legate a quell'area (per non dire nello stesso Pd)?
Naturalmente vivo male queste spaccature. Non condivido ma comprendo quando le posizioni contrarie alla riforma sono dettate dalla paura di disperdere quei valori della Costituzione, quel patrimonio così faticosamente conquistato. Mi prende invece una grande rabbia quando intravvedo delle posizioni nate da voglia di protagonismi personali, rancori o battaglie che esulano dal merito della riforma. Oggi ci vuole un grande senso di responsabilità, siamo ad un momento di grande difficoltà e abbiamo la possibilità concreta di fare un cambiamento e non solo di parlarne.
Come riflessioni conclusive cosa vorrebbe dire?
In conclusione dico che non ripongo in questa riforma effetti miracolosi, ma certamente poniamo le condizioni per istituzioni più efficienti, governi più stabili, maggiore semplificazione, più risparmi. È un passaggio decisivo e io mi auguro che ognuno si senta in dovere di entrare nel merito della proposta, di comprendere i contenuti reali della riforma. Insomma dovremmo essere di nuovo "costituenti", di questo ha bisogno il Paese, di andare oltre i rancori, oltre le rivalse.
* * *
Correlati:
Referendum costituzionale: sì o no / Perchè no. Firmato: Maria Edera Spadoni (6 ottobre 2016)
Semplificazione? La finta abolizione del Senato produce questo monstre giuridico infarcito di commi e rimandi, un bel viatico per lo snellimento delle tempistiche e per la chiarezza del testo fondamentale della Repubblica. Ci era già arrivato qualche tempo fa Alessandro Manzoni e il suo Azzeccagarbugli. Cerchiamo di essere seri qualche volta. L’articolo 70 della Costituzione attuale: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Quello futuro? L’articolo 70 della Costituzione è sostituito dal seguente: “Art. 70. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei comuni e delle città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati”.
(Luigi Bizzarri)
95 senatori scelti dai cittadini? Allora continueremo a votare per il Senato? Mi può spiegare la senatrice Pignedoli in che modo i cittadini continueranno a scegliere i senatori?
(Nunzio)
—–
Crediamo di poter rispondere, tecnicamente, come redazione: dai cittadini saranno votati come consiglieri regionali.
(red)
Per cui scelti da altri, come solito…
(Loris)
Mi permetto di pubblicare uno stralcio dell’intervista a Padre Occhetta di Civiltà Cattolica pubblicata su Avvenire. Miglior sintesi non si potrebbe fare: “Se vincesse il no, rimarrebbe tutto invariato: il bicameralismo perfetto che è un unicum in Europa, il Senato di 315 senatori, i lunghi tempi per approvare le leggi, il peso dei decreti legge con cui il governo da anni ‘pilota’ il Parlamento, rimarrebbe il Cnel, e continuerebbe il complesso rapporto tra le competenze dello Stato e le Regioni che ha aumentato il lavoro della Corte Costituzionale”. Al contrario, la vittoria del sì, continua Occhetta, porterebbe “la semplificazione delle procedure, lo snellimento del numero dei deputati, i costi della politica e un aumento degli strumenti di democrazia diretta ai cittadini”. È importante ricordare, infatti, che “la Costituzione è una sorta di bussola che orienta il cammino di un popolo. Ma non è un testo sacro, accompagna l’evoluzione della cultura e respira del suo ossigeno. Ci dobbiamo chiedere: quale Paese vogliamo consegnare alle giovani generazioni?”. L’intervista prosegue e tocca il tema della “svolta autoritaria” di cui Occhetta, laureato in giurisprudenza, non è preoccupato, perché: “In questa riforma si privilegia la governabilità ma si lasciano invariati gli organi di controllo e di garanzia”.
(M.G.)
“Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti, conclude: “Non si farà fatica, seguendo il primato del merito, a provare perplessità non già sulle direttrici di fondo di una riforma per molti aspetti matura da anni, che potranno ispirare ulteriori modifiche incrementali negli anni a venire, ma sui singoli aspetti. Tuttavia, rispetto a tali punti di perplessità, va segnalato che una moderna cultura della ‘manutenzione costituzionale’, senza banalizzare l’importante scelta della revisione, non sacralizza tutte le soluzioni adottate e può comunque consentire, in caso di auspicabile successo del referendum, successive modifiche migliorative che tengano conto delle critiche più motivate”. Mettiamoci allora d’accordo: riformiamo un terzo della Costituzione, anticipando che ciò che va a referendum potrà essere modificato sulla base di “critiche più motivate”? E chi deciderà quali saranno le “critiche più motivate” per poi tenerne conto? Si può riformare una Costituzione, la nostra Costituzione, in un modo così approssimativo al punto da “aprire” ad una “moderna cultura” di manutenzione in quanto, la riforma, “non sacralizza tutte le soluzioni adottate”? Forse sono io a non capire, sono gesuiti che parlano, ma a me non torna.
(Mv)
Relativamente alla personalizzazione-politicizzazione del prossimo referendum, visti i toni “forti” coi quali è iniziata, mi sembra piuttosto difficile il poter adesso tornare indietro e andava altresì messo in conto fin dal principio che poteva esservi una reazione di “pari intensità”, giustappunto sul piano politico. Circa la legge elettorale, i due principali obiettivi cui idealmente puntare dovrebbero essere il favorire da un lato la governabilità, attraverso la stabilità degli esecutivi, e permettere dall’altro canto una rappresentanza quanto più possibile ampia delle forze ed espressioni politiche, come principio di democrazia, facendo nondimeno in modo che questa seconda condizione non abbia a pregiudicare la precedente. Va da sé che una maggiore presenza di formazioni politiche nelle assemblee elettive conduce più facilmente a governi di coalizione, verso i quali una determinata linea di pensiero nutre poca simpatia, ritenendoli più deboli e meno longevi, ma andrebbe ricordato che anche all’interno dei grossi partiti possono nascere le cosiddette correnti, con effetti talora simili a quelli delle coalizioni, le quali ultime hanno peraltro saputo darci nel passato leggi molto importanti, con sistema interamente proporzionale e con preferenze generalizzate, riguardanti cioè tutti i candidati, capilista inclusi (non dovremmo dimenticarcelo, ma come si sa il passato non fa più scuola e neppure notizia). Da quanto consta, il rafforzamento dell’esecutivo, ossia della figura del primo ministro, avviene per solito tramite la sua elezione diretta, vale a dire il passaggio al presidenzialismo, o semi-presidenzialismo, oppure introducendo il principio secondo cui diventa in via automatica primo ministro il leader del partito, o della coalizione, cui le urne assegnano la maggioranza in Parlamento (forse viene convenzionalmente definito come premierato forte, ma potrei sbagliarmi). Sempre se non erro, mi sembra che in entrambi i casi sia posto in capo al primo ministro, insieme ad altre prerogative, il potere dello scioglimento anticipato delle Camere, e credo che anche in un sistema che voglia rimanere, come si dice, parlamentare – non voglia cioè adottare il presidenzialismo o il premierato forte, che sappiamo vigenti in altri paesi europei – una tale condizione, che richiede verosimilmente una modifica costituzionale, darebbe un buon aiuto alla governabilità e, da come la vedo, potrebbe benissimo convivere con le coalizioni e con un meccanismo elettorale proporzionale, financo senza soglia di sbarramento, grazie ai reciproci contrappesi, soddisfare cioè i due obiettivi di cui avanti dicevo (ho ritenuto di esporre queste mie considerazioni pur nella consapevolezza che l’argomento merita ben altro spazio, vistane la portata e complessità).
(P.B.)
Mi pare che la posizione per il “sì” al referendum della sen. Pignedoli sia molto ben argomentata e convincente, anche perché deriva da esperienza vissuta nell’attuale Senato della Repubblica. Personalmente ho maturato la stessa posizione basata sulla palese inadeguatezza della seconda parte della Costituzione, quella che interessa i meccanismi di funzionamento del nostro ordinamento democratico (e non i principi fondanti della prima parte), rispetto alle mutatissime condizioni della società del 2016 rispetto a settanta anni fa. Riguardo alla legge elettorale “Italicum”, che peraltro non fa parte della riforma costituzionale che siamo chiamati a votare, a me pare propedeutica a far emergere nel nostro Paese quella che era l’idea di fondo di Aldo Moro: “la democrazia compiuta”. Quella che si dà in un Paese quando due aree culturali si esprimono in due forze politiche consistenti che si confrontano (e magari si alternano) direttamente davanti al corpo elettorale.
(Claudio Bucci)
Non sono un costituzionalista, quindi mi guardo bene dall’entrare – da inesperto – nei meccanismi di dettaglio. Preferisco cercare di inquadrare la questione specifica nel suo contesto. Quale sia il contesto lo dimostrano gli appelli dell’ambasciatore Usa, di Confindustria: se non votiamo bene non ci saranno investimenti stranieri in Italia, arriveranno le cavallette, la recessione e la disoccupazione. Investimenti in Italia? Come quelli di Electrolux, per esempio? Cito: “Electrolux produce in Italia negli impianti di Solaro, Pordenone, Porcia, Forlì e Susegana per un totale di 5.715 dipendenti circa. Nel 2014 si prospettano riduzioni di personale e tagli degli stipendi, nonostante l’aumento di fatturato dal 2001 al 2012 sia stato di 2 miliardi di euro e le assunzioni nel mondo incrementate di 6.000 unità”. La battaglia per la riduzione dei salari, in Italia, è iniziata proprio dagli stabilimenti dell’Electrolux. Gli Ide (Investimenti diretti dall’estero) producono utili che vanno all’estero, ricerca e sviluppo e know-how che vanno all’estero, come accadrà per Ducati, leader mondiale (acquisita da Audi) o Italcementi, altra recente acquisizione (investimento dall’estero). Gli investitori esteri sono quelli che, in caso di crisi, sono i primi ad abbandonare il paese ed eliminare posti di lavoro. Vogliamo modificare la Costituzione per diventare più “attraenti” (notare l’ambiguità del termine) per gli investitori stranieri? E la “governabilità”, la “stabilità” devono dunque servire a questo: a dare fiducia di pronta esecuzione legislativa alle necessità dell’investitore straniero, alle necessità dei “mercati”. Il mercato è il mio pastore: non manco di nulla. Salvo crisi. La libertà di movimento dei capitali (che si spostano dove conviene loro, nel mondo globalizzato a questo scopo) ha come contraltare necessario la libertà di “riallocare” i lavoratori, che significa “flessibilità in uscita”, cioè licenziamento per motivi economici. A questo ha provveduto il “Jobs act”, ma evidentemente non è abbastanza, si deve modificare anche la Costituzione, per favorire il “mercato”. Questo, il contesto. Sul merito, vorrei riportare brevemente due parole di Zagrebelsky (che, a differenza di chi scrive, è un costituzionalista): “Nella confusione, una cosa è chiara: l’accentramento a favore dello Stato a danno delle Regioni e, nello Stato, a favore dell’esecutivo a danno dei cittadini e della loro rappresentanza parlamentare. Orbene, noi della Costituzione abbiamo un’idea diversa: patto solenne che unisce un popolo sovrano che così sceglie come stare insieme in società. “Unisce”? Questa riforma non unisce ma divide.
(Commento firmato)
“Perché non ci preoccupiamo che nel nostro Paese dal 1948, in 68 anni, si siano susseguiti ben 60 governi!”. Vorrei far notare che il nostro Paese in cui a partire dal ’48 si sono susseguiti ben 60 governi in 68 anni ha avuto modo nel frattempo di diventare la settima economia del mondo. L’autorazzismo, in questo caso, si scontra con i dati della realtà. Magari, se ne avessimo avuti meno, saremmo la prima o la seconda. Chissà.
(Commento firmato)
Per essere di nuovo “costituenti”, come auspicano le riflessioni conclusive di questo dialogo-intervista, occorreva verosimilmente affidare la riforma costituzionale ad una assemblea costituente, sulla falsariga di quanto avvenne nel 1946, seguire cioè la strada che, se non erro, mi risulta essere stata proposta da un po’ di tempo a questa parte, ma senza successo, da talune forze politiche. Attraverso quell’organismo legislativo di settant’anni fa, che in meno di un biennio diede vita alla nostra Carta costituzionale, i vari partiti riuscirono allora a trovare uno spirito collaborativo ed unitario – che andasse “oltre i rancori, oltre le rivalse”, per usare le parole che chiudono l’articolo – nonostante le forti tensioni e contrapposizioni politiche che certamente all’epoca non mancavano, come di lì a poco avrebbero evidenziato le elezioni dell’aprile 1948. Quanto alla legge elettorale, è sicuramente vero che “non fa parte della riforma costituzionale che siamo chiamati a votare”, come leggiamo in uno dei commenti, ma non sono certo materie tra loro separate e disgiunte, come dimostra anche la personalizzazione-politicizzazione che si è inteso dare al referendum, al punto di legare al sue esito le sorti del governo in carica.
(P.B.)
Riascoltavo poco fa (su Youtube) l’intervento preoccupato di Tremonti in un recente dibattito; io non sono esperto, ma lui sicuramente ha più strumenti di me: affermava che il nuovo Senato avrà competenze pressoché esclusive nei negoziati con le istituzioni europee. Altro che leggi che riguardano gli enti locali! Un centinaio di sindaci e consiglieri comunali che discutono le norme europee. Ricordo che, dalla rimozione di Berlusconi in poi, siamo governati di fatto dalla BCE, tramite la famosa lettera del 2011, a cui tutti i presidenti del Consiglio hanno dato, ciascuno per la sua parte, scrupolosa attuazione (per conservare la “fiducia dei mercati” naturalmente). Norme e trattati europei che hanno avuto e potrebbero avere impatti potenzialmente devastanti sull’economia del Paese. Impagabile, Maurizio Landini, nel dibattito con Tremonti, che dice stupito: “ma io non lo sapevo…”
(Commento firmato)
Per giudicare della bontà di uno scritto applico una regola suggeritami anni fa da un vecchio professore: leggo una prima volta e se non capisco è colpa mia. Leggo dunque una seconda volta e se non capisco è ancora colpa mia. Se dopo una attenta terza lettura ancora non capisco, allora, la colpa è di chi ha scritto, che aveva le idee confuse o, peggio, non era interessato a farmi capire (ricordiamoci dei contratti bancari!). Per l’articolo 70 della nuova Costituzione non bastano né 3 né 10 letture: è incomprensibile. Dunque per questo, ma non solo per questo, così come non firmerei un contratto di cui non capissi le clausole, non confermerò con il mio voto una riforma di cui mi restano oscure le ricadute sulla vita di noi cittadini. Grazie al signor Bizzarri che semplicemente riportando le parole esatte dell’art. 70 ha messo in luce quanto sia pasticciato e abborracciato il nuovo testo. Voterò “no” ancora più convinta.
(Dalmazia Notari)
Nessun ricatto, nessuna invasione di cavallette, né appelli di ambasciatori. Io credo che non si debba ascoltare nessun messaggio di allarmismo, nessuna drammatizzazione, sia che parta dal fronte del “sì”, sia che parta da dal fonte del “no”. Penso, invece, si debba cercare di ragionare (come stiamo facendo) sforzandoci di essere il più obiettivi possibile, senza tifoserie di alcun genere, senza forzature ideologiche. Non è una sfida. Stiamo parlando di un passaggio storico. Dobbiamo con pazienza entrare nel merito. Allora, che l’art. 70 citato da Luigi Bizzarri sia scritto in una forma complicata non c’è dubbio. Ha assolutamente ragione. Tuttavia io credo che questa sua forma così dettagliata, questo indicare precisamente le funzioni, le modalità e i tempi entro cui il nuovo Senato potrà fare proposte di modifica, in realtà renderà chiaro il percorso. Il Senato, ad esempio, avrà al massimo 40 giorni per discutere e proporre modifiche ai provvedimenti della Camera. Sarà un sistema dialogante, ma senza opportunità di veti. Potrà dunque consentire quei “tempi certi” di approvazione delle leggi di cui parlavo. Oggi la norma in Costituzione è certamente lineare e semplice, ma la complicazione dei percorsi di approvazione che ha generato in tutti questi anni, come tentavo di raccontare, sono sotto gli occhi di tutti. Sulla elezione dei Senatori, sarà la nuova legge elettorale del Senato a stabilire quali modalità applicare, perché i cittadini nel momento del voto regionale possano dare un’indicazione precisa su quale consigliere andrà in Senato. La modifica costituzionale prescrive “in conformità con le scelte dei cittadini” e così deve essere. In ogni caso, se proviamo ad immaginare come sarà il nuovo sistema, ogni cittadino andrà a scegliere ed eleggere un consigliere regionale (o un sindaco) che svolgerà il suo ruolo nel proprio ente e avrà anche la funzione (una settimana al mese?) di rappresentare il suo territorio e il livello nazionale. Molto diverso dal Senato attuale, dunque. Saranno amministratori che nel loro ruolo avranno quella precisa funzione di raccordo con altri sistemi locali e con lo Stato centrale. Io non riesco a trovare drammatico che possa essere l’assemblea regionale ad individuare chi svolgerà questa funzione. Ad esempio, nessuno ha mai sollevato il problema che i deputati e senatori che vanno una volta al mese al Consiglio d’Europa, delegati dal Parlamento a rappresentare il nostro Paese, non siano stati indicati dai cittadini. Non è la stessa cosa, certo, ma siamo nella stessa logica, fa parte della loro funzione. Non credo di aver ben compreso poi cosa intenda il signore che dice “si riforma la Costituzione per necessità di mercato”. Io so che abbiamo bisogno di governabilità e stabilità, come hanno detto in molti. Il nostro è un Paese in “emergenza di stabilità” perché ha bisogno in tanti settori di ricostruire le fondamenta e per far questo occorre avere governi che abbiano il tempo di fare riforme strutturali e non sempre volte al consenso immediato. Non si può sempre essere in emergenza e tamponare le disuguaglianze con provvedimenti una tantum. Noi abbiamo bisogno di ridare una “forma nuova” a questo paese, rimuovere i continui freni al cambiamento, far ripartire una crescita economica ferma da 15 anni. Senza una crescita economica e con un debito pubblico che ha oltrepassato i 2252 miliardi, che valore si può mai redistribuire? Quale maggior uguaglianza si può garantire? Più crescita e più occupazione possono nascere solo da sistemi efficienti. La riforma propone maggiore efficienza. Un organismo parlamentare più veloce, un sistema sanitario più omogeneo a livello nazionale per qualità e costi di prestazione, un impianto unico delle grandi reti di trasporto e navigazione, una distribuzione nazionale dell’energia, un progetto nazionale per il turismo, per accrescerne le nostre potenzialità nel mondo. Questo c’è nella riforma. C’è Il tentativo di riallocare e spostare risorse dagli apparati tecnico-politici ridondanti o superflui agli elementi dinamici della società, agli elementi di prospettiva e non di conservazione. Ecco, tra alcune settimane, democraticamente, come riportava uno degli ultimi commenti “il popolo sovrano” potrà scegliere se aprirsi ad una nuova fase ora o rinviare ancora una volta questa riforma a… data da destinarsi.
(Leana Pignedoli)
Dopo aver letto questo suo commento, gentile senatrice, dove si va oltre alla “pace non solo in Italia ma anche in Europa” e si continua in un “dialogo” di televendita, mi auguro che “il popolo sovrano” rinvii a… data da destinarsi. Forse è destino del popolo italiano non riuscire a produrre una classe dirigente che ne interpreti i valori.
(mv)
“In ogni caso, se proviamo ad immaginare come sarà il nuovo sistema, ogni cittadino andrà a scegliere ed eleggere un consigliere regionale (o un sindaco) che svolgerà il suo ruolo nel proprio ente e avrà anche la funzione (una settimana al mese?) di rappresentare il suo territorio e il livello nazionale.” Scusi, sen. Pignedoli, ma questo è scritto da qualche parte o è una sua ipotesi? Probabilmente sono sue ipotesi, visto che successivamente scrive: “Io non riesco a trovare drammatico che possa essere l’assemblea regionale ad individuare chi svolgerà questa funzione.” Sarebbero comunque due scenari ben diversi.
(Francesco Cosmi)
I tedeschi, che hanno una seconda camera dei Land simile alle nostre Regioni, hanno regolato nella loro Costituzione in modo dettagliato le modalità con cui viene ridefinito il processo legislativo per il Bundesrat, molto più dettagliato di quanto non si fa nell’art 70! Vedere per credere, quindi dov’è tutto questo scandalo!
(M.G.)
La senatrice dice che “occorre avere governi che abbiano il tempo di fare riforme strutturali e non sempre volte al consenso immediato”. Quali siano le “riforme strutturali” le illustra efficacemente il compianto ex ministro Tomaso Padoa Schioppa, in un famoso articolo del 26 agosto 2003: “Nell’europa continentale un programma completo di riforme strutturali deve oggi spaziare nei campi delle pensioni, della sanità, del mercato del lavoro, della scuola e in altri ancora. Ma dev’essere guidato da un unico principio: attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna, con la sanzione o il premio ai suoi difetti o qualità“. Oggi ho saputo che l’ospedale S.M. Nuova non accetta pazienti in uno dei suoi reparti, il sabato e la domenica: chiude; si prega di tornare lunedì. In arrivo nuovi tagli alla sanità per un miliardo e mezzo. In effetti, sono riforme che non avranno un consenso immediato, anche perché vanno ad incidere sul corpo vivo dei lavoratori (e non delle élites); proprio per questo, attraverso le modifiche alla Costituzione e alla legge elettorale, si cercherà di cercherà di avere un governo “più efficiente”. Governi che abbassano il tenore di vita dei cittadini riducendo il welfare e i servizi, difficilmente avranno a lungo il consenso, e dunque dovranno essere “più efficienti”.
(Commento firmato)
Se non vi è stata crescita economica, e neppure maggiore occupazione, mentre è invece aumentato il debito pubblico, si può pensare che tutto ciò dipenda da mancate od errate scelte politiche, dell’una o altra compagine governativa, ovvero maggioranza, oppure sia una conseguenza della congiuntura internazionale, o di altri e diversi fattori, ma riesce francamente difficile chiamare nella fattispecie in causa un eventuale ritardo nei tempi di adozione della riforma costituzionale (la quale può essere importante, ma per differenti ragioni, secondo la mia opinione). A chi ritiene che soltanto con la riforma oggetto del prossimo referendario i governi potranno disporre degli strumenti per agire con efficacia e rapidità, in modo da rispondere meglio alle esigenze di questa nostra epoca, si potrebbe rispondere che ogni qualvolta gli esecutivi hanno inteso accelerare i tempi, giustappunto nel varo dei provvedimenti, si sono avvalsi dei decreti legge, il che è avvenuto peraltro abbastanza spesso, stando almeno a quanto è dato ascoltare o leggere. Posso naturalmente sbagliarmi, ma non mi sembra, in buona sostanza, che la soluzione dei problemi che il nostro Paese sta vivendo, o i tentativi per arrivare ad un qualche risultato in merito, passino necessariamente attraverso una riforma costituzionale, e del resto anche il passato ci offre esempi in cui, di fronte alla crisi o difficoltà di un determinato settore, ci si è affidati alla sua riforma per uscirne fuori, salvo poi doversi ricredere, fino semmai a rimpiangere l’assetto precedente, per dire che le riforme, o le “forme nuove”, non andrebbero caricate di troppe aspettative, pena il rischio di incorrere poi in delusioni, talora anche cocenti.
(P.B.)
«Perfino le peggiori leggi ci sono tanto necessarie che senza di esse gli uomini si divorerebbero tra loro», scriveva M. de Montaigne nei suoi Essais, II, 12. Non si può certo dire di questa riforma costituzionale, visto che la sostanza è la deregolamentazione e liberalizzazione privatistica: flessibilità, se più vi piace.
(Un lettore attento)
Mi auguro che al dialogo-intervista alla senatrice Pignedoli ne facciate seguire un altro con analoghe domande ad un esponente del Comitato del “no” della nostra provincia. Questo per una corretta informazione della quale c’è assoluto bisogno e non della sola propaganda per il “sì”, come avviene purtroppo da mesi da tutte le reti Rai e quasi tutti i quotidiani. Ai numerosi ed interessanti commenti vorrei aggiungere solamente alcune cose:
1) il Senato non viene per nulla eliminato, ma ridotto da 315 a 100 senatori 95 dei quali nominati fra i consiglieri regionali e sindaci dotati di immunità parlamentare. Tutti sappiamo che cosa è successo nelle Regioni a proposito di rimborsi spese… Ebbene questi nuovi senatori quando andranno a Roma – la senatrice dice una settimana al mese – avranno diritto al rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio. Per cui, come ha dichiarato anche la Corte dei conti il risparmio sarà molto modesto, mentre al cittadino, come già per i consigli provinciali, verrà tolta la possibilità del voto;
2) l’art. 70 della così detta riforma, testo incomprensibile, è la dimostrazione come è stato ampiamente illustrato in precedenza che non vi sarà alcuna accelerazione nell’approvazione delle leggi, ma maggiori complicazioni. Per quanto riguarda i tempi di approvazione, sappiamo che l’iter delle leggi diventa lungo quando non vi è la volontà politica di farle approvare. Come succede in questo periodo per la prescrizione o il reato di tortura. Mentre il “lodo Alfano”, poi dichiarato incostituzionale dalla Consulta, venne approvato in una settimana!
3) a mio parere il parlamento eletto con la precedente legge elettorale, il così detto “porcellum”, non aveva alcun mandato per cambiare la Costituzione in maniera così radicale, né tanto meno rientrava nel programma elettorale del Partito democratico. Considerando poi che la Corte ha successivamente bocciato il “porcellum” sarebbe stata accettabile la sola cancellazione del Cnel e la revisione di alcune parti del titolo V che il centrosinistra aveva cambiato nel 2001, sbagliando, con una maggioranza di un pugno di voti.
(Riccardo C.)
—–
Lo abbiamo scritto: è già in itinere una chiacchierata con un esponente del “no”.
(red)
Le osservazioni avanzate da Riccardo C. al punto 3 del suo commento mi sembrano pertinenti, e del resto non si può a mio avviso invocare un atteggiamento “costituente” – invito verosimilmente rivolto ora, in vista del referendum, anche alle forze di opposizione, o a chi si riconosce politicamente nelle medesime – dopo che la riforma è stata approvata a maggioranza, perché in tal caso l’avere uno spirito costituente significherebbe semplicemente adeguarsi alle decisioni prese da altri, mentre allora non fu così perché, se non sbaglio, la Carta approvata il 22 dicembre 1947 ottenne ampio consenso, ossia 458 voti a favore rispetto ai 556 membri dell’Assemblea Costituente, il cui comune lavoro aveva cercato di elaborare un testo che fosse il più possibile condiviso
(P.B.)
Non mi sento in colpa se dico fermamente no a questa riforma, nonostante dopo anni di tentativi falliti si sia trovato l’accordo politico per modificare l’assetto istituzionale. Se devo cambiare in peggio, preferisco non cambiare. Non saranno due buone cose (abolizione Cnel e la certezza di valutazione delle proposte di legge di iniziativa popolare) in mezzo a una riforma per larghi tratti molto discutibile a farmi convincere. Non smette di funzionare ora il Parlamento, ma ci saranno altre occasioni per proposte migliori. Ci saranno sicuramente leggi, come l’esempio riportato dalla sen. Pignedoli, che hanno avuto un iter lunghissimo, ma per altre si è fatto molto presto (legge Fornero, lodo Alfano e salva banche su tutte, approvate in 2-3 settimane). Nella scorsa legislatura più dell’80% delle leggi si è conclusa con due letture. Sempre nell’ultima legislatura l’Italia è stata seconda solo alla Germania come numero di leggi approvate dai maggiori paesi europei. Infine, abbiamo un numero di leggi 15-20 volte superiore agli altri grandi paesi europei. Davvero non si riescono a fare le leggi in Italia? Non mi sentirò in colpa nemmeno di dire no alla riduzione dei costi della politica, molto esigui (si parla di un 10-15%) rispetto alle brutture di questa riforma che dovrei accettare. I senatori saranno scelti tra i consiglieri regionali e tra i sindaci, non si sa ancora bene come. Di nome saranno rappresentanti locali, ma non saranno obbligati a rispondere alle regioni di provenienza, più facilmente risponderanno a logiche di partito o di immunità parlamentare (se vogliamo essere maliziosi). Si dovrà inoltre tenere conto della distribuzione dei partiti rappresentati: quindi, prendendo ad esempio i dati attuali dei consigli regionali, il PD avrebbe circa il 33% dei senatori. Combinato con l’Italicum, che garantisce 340 deputati alla lista vincente, si fa presto a calcolare che nella seduta comune di Camera e Senato che eleggerà il Presidente della Repubblica il PD potrebbe avere la maggioranza assoluta. Quindi di fatto il partito più forte della nazione, vincendo le elezioni, potrebbe legiferare con larga maggioranza alla Camera, scegliendosi pure il Presidente della Repubblica e 3 giudici su 5 della Consulta. Si andrebbe a vanificare quindi la separazione dei poteri, uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto. Ricordiamoci che questo varrà anche in caso di vittoria di altri partiti: io non mi sentirei così tranquillo fossi in un rappresentante del PD.
(Francesco Cosmi)
La via di “progressismo relativista” intrapresa da questo governo, suggerita da interessate “centrali” internazionali, potrà, tra le altre cose, essere fermata nel nostro Paese con un bel “no” al referendum e a Renzi.
(Rory)
Francamente la scelta che abbiamo di fronte è semplice. O decidiamo di lasciare tutto come è ora o iniziamo a risolvere alcuni nodi che tutti vedono come cruciali per il buon funzionamento del Paese. E’ importante andare oltre il bicameralismo paritario che, unico fra i principali paesi, complica enormemente molti aspetti della vita politica. Avere un iter semplice, chiaro e veloce per l’attività legislativa implica meno voti di fiducia e meno decreti valorizzando quindi il ruolo e le prerogative del parlamento. La certezza della valutazione delle leggi di iniziativa popolare e l’abbattimento del quorum per i referendum sono importanti riforme che vanno incontro alla voglia di partecipazione diretta alla vita della politica. Infine, il riordino di molti aspetti del titolo V che stabiliscono le competenze di stato e regioni erano ormai necessari. Se non si fanno ora queste riforme dovremo attendere altri 20 anni.
(Isabella Meroni)
Certo, accontentiamoci al ribasso. Le sue motivazioni a sostegno del sì mi sembrano già in sè e per sè alquanto deboli. Se poi si considerano alcune questioni, giustamente sollevate da taluni — mi riferisco, ovviamente, in particolare alla questione dell’equilibrio dei tre poteri — la sua argomentazione mi pare decisamente senza fondamento alcuno. Non voglio certo negare i tempi biblici nell’approvazione delle leggi, né la presenza, in Italia di una burocrazia bizantina. Ma sarebbe opportuno chiedersi a chi veramente giova una drastica riduzione in termini temporali, dell’iter legislativo o, se più vi piace, modernizzazione (questa parola, moderno, così bella e positiva, anche se tecnicamente l’evo moderno è terminato due secoli fa, nel 1815): possiamo davvero credere che ciò sia finalizzato al benessere dei comuni cittadini o, piuttosto, questa modernizzazione (cioè rendere semplice e veloce e, ovviamente, migliore, bello, positivo) non si associa, forse, molto meglio ai rapidi tempi dell’economia e della finanza odierni? Come rilevato da un acuto commentatore, non casualmente Confidustria è per il sì, così come a ben guardare le riforme costituzionali sono state chieste proprio da banche: e la questione non riguarda solo l’Italia, ma, in generale tutta l’Europa. Persino l’ambasciatore statunitense in Italia, poco tempo fa e con gran polemiche, ha caldeggiato il sì: verrebbe da chiedersi per quali ragioni una nazione (gli Stati Uniti non sono uno Stato) straniera si interessa così tanto all’assetto costituzionale dell’Italia. Poco tempo fa, per di più, un quotidiano finanziario, il New York Times, ha condotto un’indagine su quattro possibili scenari a partire da quattro diversi esiti al referendum: dei quattro solo uno è positivo e, casualmente vede il trionfo del sì. Chiediamoci ora perché dovremmo votare sì: per dare via libera a un massiccio processo, peraltro già in atto, di deregolamentazione e liberalizzazione privatistica, come messo sempre in luce da quell’acuto commentatore? Deregolamentare, cioè poche leggi, fatte da un esecutivo che, di fatto, ha il controllo del legislativo, in perfetto accordo con quanto teorizzato da Pierre-Paul Le Mercier de la Rivière nel 1767, il quale, però aveva la franchezza di parlare di “dispotismo legale”. Sempre a tal proposito (riferito alla deregolamentazione) in un commento precedente ho riportato una frase tratta dagli Essais di Montaigne, cui bisognerebbe prestare attento ascolto (ricordo che Montaigne ha vissuto uno dei periodi peggiori della storia europea, le guerre civili di religione che infiammano dalla Riforma del 1517 alle Paci di Vestfalia del 1648): “persino le peggiori leggi ci sono tante necessarie che senza di esse gli uomini si divorerebbero tra loro”. Riflettiamo su queste parole pregne di sostanza: tante leggi, tanti limiti, quindi sicurezza, anche se non è uno spasso; poche leggi, pochi limiti all’esercizio del potere economico, quindi guerra o, meglio concorrenza tra grandi potentati economici, dove a rimetterci è la gente comune. Un testo che delinea uno scenario analogo è Behemoth. Struttura e pratica del nazionalsocialismo di F. L. Neumann: il titolo non è casuale, in quanto si rifà a un’opera tarda di Hobbes, Behemoth, appunto: Behemoth è un altro mostro biblico ed è l’opposto del Leviatano (lo Stato) e si riferisce quindi allo stato di natura, che è sì uno spasso, se confrontato col Leviatano, ma dove “la vita dell’uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve” (Leviatano, parte I). Ora, questa è più o meno la via sulla quale ci stiamo incamminando (la povertà aumenta e la ricchezza si concentra sempre più nelle mani di pochi, i quali, questi ultimi, in virtù del potere che deriva loro dalla ricchezza, possono sempre più, quanto meno sono le leggi, far ricadere direttamente i propri interessi sui primi). Ma credo di aver detto già abbastanza, quindi non indugiamo oltre. Lei, signora, ha fatto anche cenno all’abbattimento del quorum, che non sembra proprio qualcosa di positivo: pur non auspicando la “volontà generale” di Rousseau, non mi sembra nemmeno auspicabile che, potenzialmente una minoranza possa decidere per la totalità. Concludendo, riassumiamo l’essenziale: votare sì perché è da 70 anni che queste riforme bisogna farle e, per la prima volta si può farlo (sia benedetto il Cielo! Ma io, piuttosto, se vincesse il sì, farei un’appello al Cielo), soprattutto a fronte di fondati timori da parte di diverse persone. Beh, a ognuno il suo giudizio.
(Quello delle citazioni)
Non è chiaro nella sua risposta il nesso logico fra l’opposizione alle proposte di riforma e le interessanti elucubrazioni di filosofia politica che ha avuto la bontà di condividere. La verità è sempre breve. Stiamo al merito delle riforme. Se vogliamo risolvere i problemi di natura organizzativa del processo legislativo dobbiamo votare “sì”. Se vogliamo dare maggiore peso alla partecipazione dobbiamo votare “sì”. Se vogliamo il riordino del titolo V dobbiamo votare “sì”.
(Isabella Meroni)
Le risponderò con ordine. Innanzitutto: lei lamenta la non chiarezza, nel mio commento, del nesso logico tra opposizione alle riforme e le mie elucubrazioni di filosofia politica. Su questo punto sarò molto breve: in tutta franchezza, a me, ma è solo il mio modesto avviso, la chiarezza di tale nesso non pare proprio un insolvibile problema di ermeneutica ontologica, ma piuttosto, in vero, una auto-evidenza lampante. Ora passiamo oltre. Lei, nella sua risposta, si limita a enumerare tre slogan a favore del sì, che, a fronte dell’auto-evidenza di cui sopra, si rivelano nella loro sostanza, ossia: sono completamente infondati, di una superficialità disarmante, come del resto, lamentato anche da altro commentatore. Nella sua risposta intravvedo poi un certo disprezzo per le mie — modeste: ricordiamo — opinioni, tutto concentrato in quelle pompose parole: elucubrazioni di filosofia politica. Il che significa, in altre parole, che sì, sono tante belle parole, c’è enfasi, retorica, in un tutto ben condito da uno stile barocco, ma, in fondo sono solo elucubrazioni: solo tante parole astratte senza alcun collegamento con la realtà fattuale. Tutto questo, ovviamente è dato per scontato, assunto in partenza: non c’è alcuna disamina decostruttiva di queste elucubrazioni. Dobbiamo così supporre che anche questa sia una auto-evidenza lampante. Ma sarò ancora più preciso e, visto il suo sospetto verso le elucubrazioni di filosofia politica, le farò in proposito un esempio. Lo Stato hobbesiano non è mai esistito, è rimasto unicamente a proposta teorico-astratta; eppure i presupposti su cui Th. Hobbes costruisce il suo Leviatano rispecchiano una realtà fattuale di quel tempo innegabile. Ma, come da lei suggerito, stiamo in merito alla riforma. La vera sostanza di queste riforme e del processo cui, nel caso di vittoria del sì, daranno corso, non si può certo scrivere chiaro e tondo nella nuova Costituzione. Ma nel caso ciò fosse fatto, suonerebbe più o meno così: “Voi avete bisogno di me, perché io sono ricco e voi povero; stipuliamo dunque un accordo fra noi: permetterò che abbiate l’onore di servirmi a patto che mi diate il poco che vi resta in cambio del disturbo che mi prenderò dandovi degli ordini”, J.-J. Rousseau, “Economia politica”. In altre parole, votare sì alle riforme costituzionali è come “evitare i danni che possono recar loro le faine e le volpi col pensare di trovare la salvezza nell’essere divorati dai leoni”, J. Locke, “Secondo trattato sul governo”. Purtroppo, come rilevato da quell’acuto commentatore poco fa, pare che molte persone, prima di comprendere queste parole, dovranno prima sperimentare sulla propria pelle il loro turno, che inevitabilmente ci sarà. Ascoltate attentamente, a tal proposito e nuovamente, quelle due frasi: “persino le peggiori leggi ci sono tanto necessarie che senza di esse gli uomini si divorerebbero tra loro”, M. de Montaigne, “Essais”; “[nello stato di natura] c’è continuo timore e pericolo di morte violenta, e la vita dell’uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve”. In un certo senso, il ragionamento che si fa oggi è opposto a quello che, con parole drammatiche, ci rivolge Th. Hobbes nel suo Leviatano: banalizzando il “Leviatano”, Hobbes fondamentalmente ci dice “meglio poco, ma sicuro, piuttosto che tutto, ma insicuro”, mentre oggi si pensa “molto meglio tutto, ma insicuro, piuttosto che poco, ma sicuro”. Nel mondo che ci si profila il guadagno è solo apparente, poiché tutti, nella bellum omnium contra omnes, ci perdono: nessuno ci guadagna. Nemmeno le multinazionali e le banche, che, fra loro, sono nello stato di natura, in concorrenza. È tutto questo ci riporta proprio alla due citazioni di cui sopra. Questo sistema poi, è intrinsecamente teso al collasso totale: se si tagliano i salari dei lavoratori, che sono anche consumatori, con che cosa potranno acquistare le enormi quantità di merci prodotte?
(Quello delle citazioni)
Non ha risposto ancora nel merito delle questioni e si è barricato dietro citazioni poco pertinenti. Io le chiedo semplicemente: perché crede che il bicameralismo paritario sia una buona cosa? Perché pensa che sia positivo avere referendum che raramente arrivano al quorum e leggi di iniziativa popolare che non sono mai discusse? Perché crede che il titolo V vada bene come è? Tutto qui…
(Isabella Meroni)
Penso che tutti noi vogliamo le cose che Lei elenca, gentile signora, e tutti sappiamo che la Costituzione è la nostra casa e che, dopo settanta anni, necessita di una ristrutturazione. Il progetto di ristrutturazione che è stato presentato è approssimativo, poco convincente, e c’è chi pensa che possa incidere sulle fondazioni. Sono dubbi che, in fase di progetto, sono stati avanzati ma i progettisti, non solo quei dubbi li hanno trascurati ma hanno imposto la fiducia. A me i dubbi sono rimasti e voto “no”. Sono stato sufficientemente banale nel mio condividere?
(mv)
Gentile lettrice, premesso che io avrei preferito l’abolizione totale del Senato, come in Svezia, devo però rilevare che il tanto deprecato bicameralismo perfetto c’è anche in altri paesi civili e democratici, come in Usa, e non mi risulta che nessuno lo voglia modificare, e la loro Costituzione ha 250 anni e nessuno parla di riscriverla! Se noi siamo in crisi non è certo colpa della Costituzione o del bicameralismo, i problemi sono ben altri!
(Vulzio Prati)
I problemi sono sempre ben altri. In ogni caso il sistema proposto dalla riforma va proprio verso quello del bicameralismo statunitense con Camera, espressione dei cittadini, e Senato, espressione delle regioni. Posso supporre che sia favorevole alla riforma, quindi.
(Isabella Meroni)
Negli USA i senatori sono eletti dalla gente, venivano decisi dagli organi dello stato di appartenenza prima del 1913. Questa riforma, paragonata agli USA, mi sembra piuttosto superata.
(Vulzio Prati)
L’Unione europea è la facciata che copre il progetto liberista internazionale sull’Europa. L’Euro è un sistema di cambi fissi tra economie diverse e crea asimmetrie disfunzionali (ma funzionali al paese più forte in questo momento). L’Euro è funzionale ad una “economia di mercato fortemente competitiva” (la definizione è quella dei trattati europei). Per competere bisogna tagliare i salari (visto che il cambio è fisso, vedi, appunto, l’Euro). Per tagliare i salari bisogna rendere i lavoratori precari, togliendo diritti e creando disoccupazione (a questo serviva il Job’s Act). Tagliare i salari vuol dire eliminare il reddito indiretto, cioè lo stato sociale. Tagliare i salari va contro l’interesse della maggioranza dei cittadini – lavoratori dipendenti, artigiani, piccole imprese (c’è bisogno di spiegarlo?). Quale progetto politico può sopravvivere a lungo, andando contro gli interessi della maggioranza degli elettori? Per un po’ può provare con la propaganda, ma non dura per sempre: quando i cittadini vedono il benessere sociale che peggiora di giorno in giorno, prima o poi se ne rendono conto – di solito, ognuno se ne rende conto quando tocca a lui – prossima fermata, i bancari. Dunque, per governare, ci vuole un governo forte (i mercati dicono: stabile), meno democrazia, meno opposizione, un rapporto diretto con i “mercati” e con le istituzioni europee: una governo che sia la “cinghia di trasmissione” delle decisioni dei mercati finanziari e della banca centrale (governata dalle élites economiche per interposta persona). A questo servono le modifiche alla Costituzione (come sappiamo, avversata dalle grandi banche) e alla legge elettorale (il progetto Italicum). Senza un lavoro dignitoso e senza diritti sociali non c’è cittadinanza. Ci sono solo “consumatori”.
(Commento firmato)
Signora Meroni, il suo intervento è sulla linea degli altri (pochi) favorevoli al “sì”. Solo affermazioni apodittiche e definitive. Nessun ragionamento. Non articola un minimo di spiegazione sulle sue ragioni. Ora le chiedo dall’ alto delle sue certezze un commento al nuovo articolo 70 nel quale vorrà gentilmente spiegarmi in modo comprensibile le conseguenze della sua entrata in vigore. Infine le chiedo: secondo il suo parere è più favorevole alla ripresa economica abolire il Cnel o aumentare salari e stipendi, cioè la capacità di spesa del ceto medio? Attendo fiducioso.
(Luigi Bizzarri)
Guardi il tema ha una natura prettamente tecnica. Visto che si propone il superamento del bicameralismo devono essere regolate in modo dettagliato le modalità con cui viene ridefinito il processo legislativo. Tutto qui… Se poi vuole dire che non è scritto in modo elegante le devo dare ragione, ma noi dobbiamo valutare la sostanza della riforma, non lo stile con cui è stata redatta.
(Isabella Meroni)
Valutare la sostanza della riforma, non lo stile con cui è stata redatta, ricorda tanto “il razionale” che, da un punto di vista urbanistico, in settanta anni ha distrutto il Paese. Il “tutto qui”, poi, cui si attribuisce valore di immediatezza, semplicità e sintesi, portato a paragone della scheda referendaria presentata l’altra sera – quasi un copia-incolla – di un altro Suo commento, dà lo “spirito” di una intera riforma. Sì, la verità è sempre breve e le bugie hanno le gambe corte, sarebbe molto triste se, in questo caso, potessero sovrapporsi.
(mv)
Senatrice Pignedoli, con il massimo rispetto, mi creda, vorrei fare qualche osservazione in proposito. Partiamo dal metodo: l’Assemblea Costituente ha raggiunto un accordo sul testo mediando ad es. tra De Gasperi, Togliatti, Croce, Einaudi ecc., persone diversissime ma giganti della politica; possibile che oggi per la riscrittura non siano stati capaci di trovare un accordo procedendo per voto di fiducia? Oggi in Italia abbiamo circa 75.000 leggi a vario titolo, in Gran Bretagna 1.500, in Germania 5.000 e in Francia 7.500; dobbiamo sveltire l’iter legislativo? Forse dobbiamo ridurre le leggi, non certo farne di nuove! Si dice che in 50 anni non si è mai riusciti a modificarla! A me risulta sia stata già modificata 15 volte e la modifica, ad esempio, della parte sulle Regioni interviene su una precedente modifica del 2002, segno che è meglio non modificare se non si è sicuri di fare bene! Riguardo all’elezione dei senatori ci sono due metodi al mondo: numero fisso per regione/stato, come in Usa con 2 senatori per stato indipendentemente dalla popolazione, o in modo proporzionale alla popolazione. In Italia avremo un sistema per cui la Valle d’Aosta con 120.000 persone avrà 2 senatori, il Trentino con 1.250.000 abitanti avrà 4 senatori e l’Emilia con 4.500.000 abitanti avrà 6 senatori, uno ogni 700.000 abitanti: dov’è la logica o la proporzione? Non mi dica che sono regioni a statuto speciale perché forse l’unica cosa che doveva abolire questa riforma sono proprio le regioni a statuto speciale che non hanno più alcun motivo di esistere! E poi che senso ha legare il sistema elettorale alla Costituzione? Sono sempre stati temi slegati tra loro, perché cambiare? Potrei dire molto ancora ma mi fermo qui. Grazie dell’attenzione.
(Vulzio Prati)
Questo Paese a forza di dire no si troverà a dire sì alle proposte più becere del panorama politico italiano. Il no sempre e comunque, in attesa di un futuro migliore, per continuare a lamentarsi senza avere mai il coraggio di cambiare. Meglio rimanere nello stagno mentre il mondo muta, si evolve. Rimanere ancorati a ideologie sepolte semplicemente perché è rassicurante non dover fare il salto oltre l’ostacolo. Non sarà la migliore riforma possibile, ma non è nemmeno un compromesso al ribasso. Dice bene la senatrice: non facciamo altro che parlare di rete e invece preferiamo rimanere chiusi, ognuno nel proprio angolino, a guardare altrove dicendo “come sono bravi loro”, salvo poi non saper far altro che stare chiusi in qualche bar a lamentarci, a dare colpa agli altri. Non c’è deriva autoritaria in questa riforma, semmai l’opposto. Non si toglie l’immunità parlamentare (prevista dai costituenti) ma almeno si riduce di due terzi al Senato. Si tolgono 315 stipendi di parlamentari. Per non parlare di enti come il Cnel. Si obbligano le camere ad esaminare le leggi di iniziativa popolare. Il vero ascolto dei cittadini passa per questo. Se vince il sì, si prova a cambiare passo. Se vince il no, rimane tutto com’è. E tutti il giorno dopo a lamentarci per i decreti legge e le fiducie, previste dalla Costituzione attuale, ma forzature, ormai prassi, cui si dovrebbe dare un taglio. E solo così si può fare. Non c’è futuro nel conservatorismo fine a se stesso. Ci sono solo ragnatele sempre più strette che tengono appesi a un filo, per quanto non si sa. Fino al primo vento, colpa sempre e comunque di qualcun altro.
(Ettore L.)
Nei commenti dei fautori del “sì” noto le seguenti regolarità:
1. totale mancanza di disamine decostruttive di altri commenti, dove, con fondate ragioni, si esprimono notevoli preoccupazioni.
2. Non si spiega mai in modo chiaro, ampio e ben argomentato con valide ragioni la questione inerente l’equilibrio dei tre poteri, a fronte di seri dubbi sulla possibilità che, nei fatti, si verifichi una concentrazione del potere legislativo nelle mani dell’esecutivo.
3. Si caldeggia il “sì” per il semplice motivo che “queste riforme vanno fatte”, senza che ciò presupponga valide argomentazioni se non slogan infondati: in altre parole, ribalto l’accusa di “vuoto conservatorismo” sul “sì”: caldeggiare il “no” come da alcuni condotto, proprio non mi pare un vuoto attaccamento al passato, ma il frutto di sensate e articolate ragioni; al contrario, proprio il caldeggiare il “sì” di alcuni, pare, appunto una vuota e sorda ottusità. Le ragioni del “no” non sono chiacchiere da bar, ma, come qui sottolineato con viva insistenza, tutte ben fondate e argomentate: al contrario, proprio le ragioni del “sì” sono mere chiacchiere da bar. Si tratta solo di tre slogan (Se vogliamo risolvere i problemi di natura organizzativa del processo legislativo dobbiamo votare “sì”. Se vogliamo dare maggiore peso alla partecipazione dobbiamo votare “sì”. Se vogliamo il riordino del titolo V dobbiamo votare “sì”), che, a fronte delle argomentazioni del fronte avversario, si rivelano nella loro sostanza: assoluta assenza. Come messo in luce da altro commentatore, solo vuota propaganda, totalmente sorda ai dubbi altrui, per mancanza di volere vedere la realtà fattuale o per incapacità ontologicamente costitutiva.
(Quello delle citazioni)
La questione dei contrappesi o bilanciamento dei poteri, che pare essere toccata nell’intervento di Francesco Cosmi, mi sembra molto importante per uno Stato di diritto, e tale da non dovervi per certi versi rinunciare in nome di una presunta maggiore governabilità, la quale può essere ottenuta anche per altre strade, vedi rafforzando il ruolo del primo ministro come dicevo in un precedente mio commento. Anche il cosiddetto “bicameralismo paritario” era stato probabilmente concepito dai nostri padri costituenti con funzioni di garanzia, per dire del rilievo che ha questo aspetto, giustappunto quello delle garanzie, nella vita di una democrazia, e del resto in un Paese di oltreoceano che viene spesso portato come esempio di grande democrazia succede talora che le sue due camere abbiano maggioranze diverse, e che le stesse non siano formate dal partito che ha espresso il presidente, ma ciò non ha mai impedito a detta nazione di prendere decisioni di “peso”, anche sul piano internazionale. Circa l’abbassare i costi della politica, penso che tale obiettivo sia perseguibile senza ridurre gli organismi elettivi, ma riducendo piuttosto i costi del loro funzionamento, il che dovrebbe essere possibile stando a ciò che ogni tanto si legge riguardo alla spesa che comportano istituzioni similari nei diversi paesi europei, e quanto al dire “Se non si fanno ora queste riforme dovremo attendere altri 20 anni” mi sembrerebbe un’affermazione un po’ azzardata, e nel contempo vedo un po’ come una forzatura la logica del “riformare ad ogni costo”, pena il non farlo più (per riassumere con un concetto un po’ semplicistico ma che può rendere abbastanza l’idea).
(P.B.)
Riprendo la questione dell’equilibrio e indipendenza dei tre poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario). Su questo equilibrio si basa tutta l’esperienza democratica dell’Occidente. Gli effetti combinati della riforma costituzionale e della legge elettorale (l’Italicum) andrebbero modificare non solo l’equilibrio tra esecutivo e legislativo, ma modificherebbero anche l’equilibrio col potere giudiziario, influenzando l’elezione del Presidente della Repubblica e la composizione della Consulta, come Francesco Cosmi faceva notare più sopra. Ribadisco che l’obbiettivo di queste modifiche – che non sono di certo casuali – è di ottenere un governo più autoritario, in grado di governare anche con consensi ridotti. I consensi saranno sempre più ridotti, perché i cittadini non andranno più a votare, una volta compreso che il voto sta perdendo di efficacia – visto che gli ultimi tre presidenti del consiglio sono stati “nominati” senza maggioranze ottenute da consultazioni elettorali. Tra l’altro, nominati sulla base di una scaletta di obiettivi determinati dalla BCE e imposti attraverso il ricatto (non vi compro più i BOT e vi mando in default – facendo salire lo spread – come ha riferito di recente l’on. Orlando parlando dell’approvazione del pareggio di bilancio in Costituzione). In effetti, tutto questo è molto “moderno”, nel senso che è adeguato alla degenerazione della politica nazionale in funzione dei trattati (liberisti) europei. Il governo assomiglierà sempre più ad un consiglio di amministrazione, il premier ad un amministratore delegato. Peccato che l’azionista di riferimento non sarà più il popolo (a cui apparteneva la sovranità) ma “il mercato” (cioè le oligarchie economiche internazionali).
(Commento firmato)
Mi scusi signora Meroni, ma lei crede veramente che dentro le Costituzioni possono essere inseriti articoli prettamente tecnici, totalmente oscuri e prodromi a conflitti di durata biblica? La Costituzione è cosa diversa dal Codice civile. Solo degli incompetenti potevano arrivare a tanto, come a demandare ai presidenti della Camera e del Senato la risoluzione dei conflitti irrisolvibili. Al bar davanti ad una birra. A questo siamo arrivati.
(Luigi Bizzarri)
Innanzitutto le citazioni non sono assolutamente non-pertinenti. A fronte di endorsement da parte di Confidustria, ambasciatore statunitense, quotidiani finanziari e, in generale mondo economico e finanziario è accertato che in tempi recenti numerose banche e multinazionali hanno caldeggiato riforme a tutte le costituzioni europee perché vecchie e, quindi non moderne (anche se, dal punto di vista storico sono pienamente in linea con gli sviluppi della modernità a partire proprio da Hobbes), risulta abbastanza evidente che queste riforme costituzionali sono tese a sveltire l’iter legislativo per sincronizzarlo coi rapidi tempi della finanza e ad aprire una fase di deregolamentazione liberista al fine di rimuovere quante più leggi possibili, che, proprio in quanto leggi, cioè mediazioni razionali tra soggetti economici (o privati: economico equivale a privato), costituiscono un limite a quello che Hobbes chiama ius o diritto naturale, ossia l’insieme di risorse (che possono essere anche soldi, capitali) che determina le possibilità di ciascuno di ottenere quel che vuole (nel caso, altri soldi): in breve lo ius è il potere che ciascuno esercita ai propri fini; e del resto potere e possibilità sono etimologicamente correlati. Le leggi, come si diceva, limitano o dovrebbero limitare l’esercizio di tale ius e incanalarlo in libertà solo nello spazio che resta dopo l’obbedienza o nel silenzio delle leggi, al fine di evitare quantomeno prevaricazioni a danno dell’eguaglianza degli uomini, se non già un conflitto mortale. Parlo di conflitto naturale non perché sono un pessimista apocalittico, ma perché la crescente concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi finisce per impedire ai più anche la mera sussistenza, ossia: fame nel mondo e più marxianamente il Job’s Act e i tagli ai salari finiscono per aumentare il pluslavoro, cioè la quantità di lavoro non retribuita da cui deriva il profitto dei padroni. Dal momento che abbiamo appurato che queste riforme sono tese a consolidare il più possibile questa situazione e a realizzare in ultima istanza, un sistema destinato al collasso, queste riforme sono la perfetta realizzazione del contratto che Rousseau, con sarcasmo, descrive fra ricco e povero. Da ciò deriva che, per i comuni cittadini, i quali, a fronte di grandi potentati economici (leggevo ieri che Apple, la società più capitalizzata al mondo, ha uno ius di più di 600 miliardi; Monte dei Paschi di Siena “solo” mezzo miliardo, perché in profondo affanno), hanno uno ius di fatto irrilevante, sono quelli destinati a rimetterci di più: e i risparmi, prima o poi finiscono. Di modo che votare sì alle riforme costituzionali è come “evitare i danni che possono recar” “le volpi e le faine [i mali attuali: tante leggi, che, ricordiamo, ci proteggono, e una burocrazia bizantina] col pensare di trovare la salvezza nell’esser divorati dai leoni [il mondo che ci prospetta]”. Tutte le mie citazioni, dunque, hanno un senso: oggi non ci si fa tanti scrupoli per aumentare il proprio ius, aver più pecunia; l’homo œconomicus, come oggi si suole chiamarlo, è teso unicamente al proprio meschino interesse: meno leggi abbiamo, più sprofondiamo in un mondo simile allo stato di natura hobbesiano dove ognuno esercita il proprio ius senza scrupoli ai fini del proprio arricchimento, dove sofferenza e povertà, nonché morte, abbondano: un mondo dove “la vita dell’uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve”. Di fronte a tutto ciò, “persino le peggiori leggi ci sono tanti necessarie”. Ascoltate le parole di questi uomini illustri: il loro mondo, per quanto “vecchio”, è anche e ancora il nostro mondo. L’evo moderno è terminato nel 1815 o 1848, e noi viviamo nell’evo contemporaneo: ma quest’ultimo è chiamato, talvolta anche post moderno e il che significa che i nostri tempi dipendono dalla modernità: da essa non possiamo prescindere. Lei, poi insiste nel chiedermi chiarimenti in stretto merito alla nuova riforma costituzionale. Io non sono un costituzionalista né un giurista e quindi in stretto merito ai testi legislativi non ho, non voglio, titolo di parola. Ma questo ovviamente non inficia minimamente quanto detto sopra (e, se qualcuno non ci crede, si impegni in una seria disamina decostruttiva) e, parimenti questo non mi impedisce nel rigettare totalmente, senza appello, alcuno quanti a fronte della non chiarezza dell’art. 70, replicano con un “poteva essere scritto meglio”: la Costituzione non è un tema scolastico e già Hobbes si era espresso a favore dell’idea secondo cui la legge, in quanto rivolta a tutti, deve essere nota (e io aggiungerei chiara) a tutti. Per di più si sta parlando di potere legislativo, ossia quello più importante: “poteva essere scritto meglio”, riferito a ciò, è sinonimo solo di totale mancanza di consapevolezza dell’argomento in oggetto. Tutto ciò, se non fosse chiaro, mi pone fra i fautori del “no”. Concludo facendo notare che trovo azzardati i confronti con il bicameralismo statunitense. Esso nasce nel 1787 per bilanciare una situazione del tutto peculiare. La Camera rappresenta la nazione tutta, mentre il Senato i singoli Stati; per di più, le competenze di tali organi legislativi sono limitate alle sole questioni di carattere nazionale, cioè comune a tutti gli Stati; nei singoli Stati, infatti la Costituzione del 1787, prevede la presenza di locali assemblee legislative indipendenti, il che qualifica gli Stati Uniti non come uno Stato, in quanto la sovranità è diffusa tra più organi, federali e locali, e non accentrata in via esclusiva come in un qualsiasi Stato moderno. I confronti diretti con realtà altre sono sempre grossolani: nel caso non si facciano notare le dovute differenza, consiglio di rimanere nell’ambito di pensiero europeo e italiano. In chiusura, termino evidenziando la mia speranza che, dopo il terzo tentativo, le mie ragioni risultino finalmente chiare e limpide a tutti.
(Quello delle citazioni)
Forse è opportuno fare un po’ di chiarezza, mi pare che vengano supposte molte cose, senza tenere conto del fatto che ogni tipo di simulazione è stata fatta ed è scritta nella nuova versione della Costituzione. Per quanto riguarda lo squilibrio dei poteri, la riforma costituzionale prevede esattamente l’opposto di quanto molti dichiarano in questi commenti. Non esiste squilibrio di poteri, anzi! La riforma mette in salvaguardia tutto il sistema di pesi e contrappesi, con quorum altissimi per eleggere tutti i sistemi di garanzia, dalle corti al Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica potrà essere eletto con i voti di due terzi di deputati e senatori, riuniti in seduta comune. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza di tre quinti dell’assemblea, mentre dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza di tre quinti dei votanti. Dunque è praticamente impossibile che un solo partito possa avere i numeri sufficienti a eleggere il Capo dello Stato, a meno che le opposizioni dal settimo scrutinio non decidano di uscire dall’aula (ma perché dovrebbero farlo?). In sostanza, anche qualora un partito dovesse avere una maggioranza di 340 deputati, per eleggere da solo il Presidente della Repubblica dovrebbe avere altri 98 voti al Senato su 100. Una situazione impossibile. Anche l’elezione dei giudici della Corte costituzionale è stata modificata tenendo conto della rappresentanza delle minoranze e delle istanze dei territori: tre giudici saranno eletti dalla Camera e due dal Senato. Semmai, oggi, con il porcellum, v’era uno squilibrio: con una legge elettorale maggioritaria, senza modifiche costituzionali. Come evitare questo riaccada? Semplice: con l’approvazione della riforma costituzionale le leggi elettorali dovranno essere obbligatoriamente vagliate preventivamente all’approvazione dalla stessa Corte costituzionale. Se una legge non rispetta questo rigido equilibrio dei poteri non potrà nemmeno essere approvata. Inoltre, va ricordato che nella nuova riforma permangono l’assenza di vincolo di mandato e il voto segreto, caratteristiche fondamentali dei sistemi democratici. Perché per quanto un parlamentare venga eletto in un partito, ha il diritto e il dovere di allontanarsi dallo stesso qualora ritenga sbagli, i parlamentari hanno una testa e valori. Testa e valori che spingeranno ciascuno di noi a dare la nostra preferenza a ciascuno di loro. Ricordando che su una maggioranza di 340 deputati, almeno 240 saranno eletti proprio con il sistema delle preferenze, e anche con il capolista bloccato sapremo perfettamente chi stiamo eleggendo. Anche per questo, dopo aver studiato nel dettaglio la riforma, voterò “sì” al referendum.
(Pier Paolo Gibertoni)
Nel suo commento il signor Ettore L. stigmatizza “il no sempre e comunque, in attesa di un futuro migliore, per continuare a lamentarsi senza avere mai il coraggio di cambiare. Meglio rimanere nello stagno mentre il mondo muta, si evolve” e dobbiamo pertanto dedurre che un’eventuale prevalenza dei “no” al referendum costituzionale equivarrebbe, per il nostro Paese, ad un deleterio immobilismo. Non avevo però udito toni altrettanto allarmati e pessimistici, e tanta voglia di cambiamento, quando, dieci anni fa, ossia nel 2006, la riforma costituzionale concepita all’epoca dal centrodestra non ebbe a superare la prova referendaria e dunque venne respinta, eppure conteneva innovazioni abbastanza significative, per chi appunto vede di buon occhio i cambiamenti. O forse vi sono cambiamenti buoni o cattivi, rispettivamente da accettare o da respingere senza dispiacersene, a seconda delle forze politiche che li propongono, le une più capaci ed avvedute e le altre invece molto meno – ovvero più “becere” se volessimo usare il termine dell’Autore, che trovo però un po’ troppo forte e scortese – ma allora ci troveremmo indubitabilmente a ragionare per appartenenza ideologica, e non dovremmo quantomeno nascondercelo. A dire il vero, e se non ricordo male, sempre riferendomi a chi spinge sulla utilità dei cambiamenti, il referendum del 2001 confermò, giustappunto con la prevalenza dei “sì”, le modifiche al titolo V della Costituzione, riguardanti le autonomie locali e il decentramento amministrativo, e credo approvate quella volta con maggioranza di centrosinistra, salvo che poi non sono stati in pochi oloro che si sono ricreduti sull’opportunità di una tale scelta (per dire che non tutto il nuovo va “applaudito” solo perchè rappresenta già di per sè una progressione).
(P.B.)
Senatrice Pignedoli, centri di ricerca da Eurispes a Bankitalia stimano una evasione fiscale dal 27 al 30% del PIL, secondo l’agenzia Transparency siamo per corruzione al 61esimo posto nel mondo e in Europa è messa peggio di noi solo la Bulgaria, tutti gli altri paesi stanno meglio di noi. Costo stimato annuo della corruzione: 60 miliardi! Alla luce di tutto questo e con la logica del “buon padre di famiglia” che la legge prevede per chi amministra beni altrui, Lei pensa veramente che la priorità sia questa riforma a cui sono state dedicate tante energie, impegno e tempo? Quando pensa si potrà dedicare altrettanto tempo ed energia ai temi di cui ho detto prima? Non pensa fossero prioritari? In questi due anni non mi sembra si sia fatto molto anzi… niente!
(Vulzio Prati)
Visti i commenti, di buon livello e fatti da chi ha letto la riforma perlomeno nei suoi punti principali, mi sento di fare due precisazioni. I padri costituenti forgiatori dalle macerie della seconda guerra mondiale di uno stato moderno e competitivo hanno basato l’architettura istituzionale sul compromesso tra le due anime politiche dello Stato. Sul sito della Camera dei Deputati sono presenti tutti i verbali delle sedute della seconda sottocommisione istituita per individuare il regime parlamentare per la nuova Repubblica. Portando ad esempio le due principali votazioni:
– il bicameralismo (come principio, in qualsiasi forma) passò con 17 voti favorevoli e 13 contrari.
– Il bicameralismo paritario venne approvato con 18 voti favorevoli e 11 contrari.
A testimoniare come vi erano due idee diverse di Stato e di come esso dovesse funzionare e che non vi fu un grosso entusiasmo già in partenza verso il sistema scelto. Guardando alla storia il sistema bicamerale paritario ha funzionato a dovere solo nei primi due decenni della Repubblica Italiana, in un momento in cui vi era il più grande boom economico nella storia del nostro Paese, che non tornerà più, e in cui la Dc aleggiava tra il 48% e il 39% dei voti. Da quel momento in poi è stato riconosciuto dalla maggior parte degli addetti ai lavori che il sistema non poteva essere più efficiente. La seconda riguarda il rapporto con le istituzioni, un sistema parlamentare e politico in cui le istituzioni sono dipendenti l’una dall’altra, dove nessun potere risulta rinforzato rispetto agli altri è definito come un sistema debole, nè più nè meno, che può anche funzionare, sia chiaro. Il fatto è che un debole sistema istituzionale, come il nostro, deve trovare una base di appoggio, quella base fino agli anni ’90 è stata rappresentata dai partiti politici. Se le istituzioni dello Stato non hanno il peso e la forza a prescindere da chi le occupa, sarà chi le occupa a rappresentare la forza delle istituzioni, il che porta al personalismo e all’asservimento dello Stato alle necessità della forza politica del momento. Questa riforma, che dir si voglia, va a rinforzare il sistema parlamentare attribuendo la responsabilità legislativa e di controllo sul governo alla Camera, i quali eletti saranno direttamente responsabili verso i cittadini del proprio operato, senza poter attribuire al Senato o alla fretta del Governo l’impossibilità di approvare una legge, nel classico gioco della patata bollente. Quello che intendo è che il sistema italiano non funziona più a dovere da troppi anni, il vero regime di dipendenza del Parlamento dal Governo lo stiamo vivendo dal ’94 ad oggi a prescindere dai risultati delle elezioni, è adesso che il sistema è sbilanciato nei confronti del Governo, il quale è l’unico che è in grado di rispondere in tempi utili anche solo alla stesura delle legge di stabilità. Lasciando da parte la legge elettorale, la quale ha il suo percorso, con la riforma il Parlamento uscirà rinforzato nei confronti di un Governo il quale deve ottenere la fiducia in quella Camera e con quegli eletti. In Francia, Gran Bretagna, Germania il governo viene approvato con la fiducia di una sola camera, ed in tutti e tre i casi il potere esecutivo gode di una maggiore forza rispetto al nostro sistema attuale ed a quello post-riforma. Non mi pare che questo abbia causato regimi dittatoriali o colpi di Stato, anzi, guardando alla tanto sperata e ricercata regola dell’alternanza al Governo questa appartiene più a quegli stati che alla nostra tradizione.
(Michele Filippi)
Nel leggere uno degli ultimi commenti, ossia quello di oggi 23 settembre, ore 11,12, non riesco a comprendere, probabilmente per mia insufficienza interpretativa, quale sia lo “sbilanciamento” istituzionale che si vorrebbe correggere, il che non è cosa di poco conto quando ci si esprime su una riforma costituzionale, che deve tener inevitabilmente conto degli equilibri tra i “ poteri”. In un punto, verso la fine del testo, troviamo infatti scritto che “il vero regime di dipendenza del Parlamento dal Governo lo stiamo vivendo dal ’94 ad oggi” e poco più avanti “è adesso che il sistema è sbilanciato nei confronti del Governo, il quale è l’unico che è in grado di rispondere in tempi utili anche solo alla stesura delle legge di stabilità”, e da queste parole sembrerebbe dunque intendersi che la governabilità è ampiamente assicurata, e così pure la rapidità delle decisioni, mentre andrebbe piuttosto accresciuto il “potere” del Parlamento. Più avanti viene invece portato l’esempio di altri tre Stati europei per i quali si dice “in tutti e tre i casi il potere esecutivo gode di una maggiore forza rispetto al nostro sistema attuale ed a quello post-riforma”, e sembrerebbe che l’autore del commento veda con un certo favore tale condizione “estera”, quella cioè di rafforzare l’Esecutivo, perché favorisce la regola dell’alternanza al Governo, aspetto tutt’altro che irrilevante per una democrazia, tanto che varrebbe la pena di imitare la predetta condizione (non a caso la riforma che venne bocciata dal referendum del 2006 prevedeva, se non erro, il cosiddetto premierato forte). In conclusione, le due suddette posizioni del commento, mi paiono francamente abbastanza contrapposte, e tra loro abbastanza inconciliabili, rispetto per l’appunto a come si vedono i rapporti intercorrenti fra i “poteri”, nella fattispecie Governo e Parlamento, salvo che io non abbia frainteso il senso delle parole, un’eventualità da non doversi mai escludere.
(P.B.)
Mi dispiace essermi espresso evidentemente in modo poco chiaro nelle mie considerazioni sulla riforma. Al primo punto che Lei evidenzia, la mia opinione verte proprio fatto che il Governo debba intervenire con decreti legge e decreti legislativi, è quella l’anomalia che abbiamo sviluppato nel nostro regime parlamentare. Allo stato attuale stiamo galleggiando basandoci su forzature e colpi di maggioranza per evitare, sicuramente in alcuni casi il confronto, ma per la maggior parte che una legge ordinaria impieghi anche più di un anno per essere approvata. Lo snellimento del modello legislativo che, si badi bene, prevede comunque nel suo iter un primo confronto e redazione in sede di commissione tra tutte le forze elette, a mio avviso permetterebbe al parlamento di riappropriarsi in toto della propria mansione, in quanto in grado di eseguirla in tempi utili e nel pieno potere di un’assemblea eletta. Sul secondo punto ha travisato le mie parole, volevo semplicemente indicare come il ruolo e i poteri del Governo non saranno oggetto di riforma. Il riferimento ai sistemi esteri era per evidenziare come il bicameralismo non paritario non porti, come indicano molti, ad un parlamento più “controllabile” da parte del Governo. Negli stati che ho indicato il premier, cancelliere o presidente che dir si voglia ha sicuramente, e scritti nero su bianco, più poteri del primo ministro italiano, è un dato oggettivo, può piacere o meno, se devo esprimermi personalmente preferisco un sistema in cui il Governo rimane strettamente legato dal rapporto fiduciario con il Parlamento. In aggiunta tali stati, oltre ad una presidenza rinforzata, hanno anche un bicameralismo imperfetto e non mi pare che vi siano problemi di rappresentanza o democrazia, solo questo.
(Michele Filippi)
“Se le istituzioni dello Stato non hanno il peso e la forza a prescindere da chi le occupa, sarà chi le occupa a rappresentare la forza delle istituzioni, il che porta al personalismo e all’asservimento dello Stato alle necessità della forza politica del momento”. La suddetta frase, nella sua prima parte, presenta un pleonasmo che, considerato insieme alla conseguenza, cioè alla seconda parte della frase, la rende, nel complesso, erronea. La rappresentanza moderna — che nasce con Hobbes — prevede che il rappresentante, ossia colui che diviene depositario di un potere o per alienazione o per delega fiduciaria, proprio in virtù di ciò rappresenti la volontà unitaria di ordine dei rappresentati. L’istituzione in sé e per sé, è quindi una macchina che però viene occupata da persone vive, di modo che il rappresentante è sempre e comunque, in ultima istanza, proprio la persona viva. In altre parole chiunque occupi l’istituzione in modo legittimo rappresenta sempre e comunque la forza delle istituzioni. Ed ecco il pleonasmo. Accertato ciò, su cui non v’è dubbio, la frase riportata ci dice che sempre e comunque la rappresentanza porta al personalismo, il che ovviamente è falso. Ed ecco l’errore. Ma non ciò non toglie che nella rappresentanza in sé e per sé non ci sia il rischio di personalismo: esso si verifica, però, non secondo quanto dice la suddetta frase, bensì quando il rappresentante, che rappresenta la volontà di ordine del corpo politico (l’insieme dei cittadini), invece che agire in conformità alla delega fiduciaria, cioè a favore del corpo politico, agisce in favore di volontà particolari. Chiamasi anche corruzione. Di modo che il commento del signor Filippi, più che aggiungere chiarezza, aggiunge confusione. In un altro commento — e mi riferisco a quello del signor Gibertoni — pare che si confutino i dubbi su possibili squilibri di potere: pare, appunto. Riconsideriamo il primo commento, quello del signor Bizzarri, riprendendo il confronto ivi istituito fra l’attuale articolo 70 e il corrispettivo nelle riforme. Nell’attuale il potere legislativo — senza limitazione alcuna — è esercitato collettivamente dalle due Camere; nel corrispettivo il potere legislativo è, sì esercitato sempre collettivamente dalle due Camere, ma a questa affermazione segue tutta una serie di rigorose specificazioni di attribuzioni: in altre parole, il potere delle due Camere è soggetto a limitazioni di attribuzioni. Riflettiamo su ciò: nell’attuale articolo, potere legislativo non è così “ben” disciplinato e quindi le due Camere possono legiferare su qualsiasi argomento o questione; se però tale potere è così specificato in così tante minuzie, come avviene nel corrispettivo, si pone un problema: chi ci assicura che, in futuro, non capiti un’eccezione a queste minuzie su cui occorre legiferare? E, più importante, in tal caso chi decide? A tal proposito giova ricordare che secondo C. Schmitt chi decide l’eccezione è il sovrano. Dunque, chi è il sovrano? Non le due Camere, questo è certo.
(Quello delle citazioni)
Scusate se mi intrometto ma avrei una domanda: perchè si sente così forte il bisogno di fare delle leggi? A me viene naturale pensare che una nuova legge debba essere una cosa eccezionale, voluta per motivi importanti dopo attente valutazioni e discussioni, scritta in modo chiaro preciso e comprensibile. Invece si legifera su qualsiasi cosa. A Roma si svegliano al mattino e pensano: “Che legge posso fare oggi per rompere alla gente?”. Quante volte lo sento dire…
(Davide)
Scopro ora (fonte: Camera dei Deputati) il numero di leggi approvate in diverse nazioni tra il 1997 e il 2011: Germania, 2153; Italia, 1894; Francia, 1385; Spagna, 700; Regno Unito, 630. Però! Ma non era proprio l’Italia, il Paese in cui era impossibile approvare una legge in tempo utile? Chi diceva che il nostro sistema non era “adeguato ad un Paese moderno”?
(Commento firmato)
Un effetto ben nascosto ed invisibile anche nel quesito del referendum sarà il vincolo costituzionale all’implementazione delle politiche europee, bypassando l’art.11. La Costituzione modificata renderà le politiche europee prioritarie rispetto alle scelte legislative di interesse nazionale. In questo modo, un eventuale Italexit sarà impossibile. Lo sapevate?
(Commento firmato)
Senatrice Pignedoli, al di là delle differenze di vedute sul tema Costituzione mi permetta di complimentarmi con Lei per il quasi 97% di presenze alle votazioni elettroniche in Senato, fonte openpolis, una delle percentuali più alte e di esempio per i tanti assenteisti, di tutti i partiti, che siedono su quegli scranni.
(Vulzio Prati)
Voto “sì” per il bene dell’Italia.
(Michele Riccio)