Scrivono a Redacon Fatiha Bkhakhach e Jihad Madad, rispettivamente moglie e figlia di Mohammed Madad, l’imam dell’ex luogo di preghiera di Felina, e anche di Gatta, espulso dall’Italia lo scorso 26 luglio. La famiglia viveva nel carpinetano, ma pare prevedesse il trasferimento a Noventa Vicentina dove l’uomo era divenuto imam. Nei giorni scorsi lo stesso in una lunga intervista al Carlino ha professato la sua innocenza (oltre a confermare la dibattuta richiesta d’appoggio da parte di Giuliano Maioli, candidato Pd alle ultime primarie castelnovesi).
“E’ stato molto grande lo choc ricevuto dopo la notizia dell’espulsione di mio marito – scrive a Redacon la moglie - sfogliando gli articoli di giornale mi rivolgo ai giornalisti che diffondono notizie incoerenti con la realtà. Mi chiedo se avete delle fonti precise dalle quali potete affermare ciò che dite con sicurezza. Mi rivolgo ora a coloro che hanno passato diversi anni con i miei figli: c'era o no rispetto ed educazione da parte di questi ultimi nei confronti dei professori e personale scolastico? Sono orgogliosa di loro, ad ogni colloquio con i professori sentivo solo complimenti, sia per i risultati ottenuti, sia per l'educazione. Può la violenza mantenere questi ragazzi in questi livelli? Per quello che riguarda il velo, trovo alcuni che dicono che l'imam ha letteralmente obbligato moglie e figlie a portarlo, ma anche la Madonna lo portava precedentemente alla nascita di Gesù Cristo: quindi non è stato lui ad obbligarla; il velo è presente in tutte le religioni”.
“Mi appello a chi non crede alle religioni dicendo che il velo è libertà personale. Parlo ora con i fratelli musulmani vorrei ricordare il versetto del Corano: ‘Non nascondete vera testimonianza’. Fratelli cosa ne pensate di mio marito?”.
Quindi un appello a Giuliana Sciaboni, nostra collaboratrice che a più riprese intervistò l’uomo: “tu che hai intervistato mio marito varie volte potresti dire che ti abbia trattato con violenza? Hai notato atteggiamenti estremisti, oppure quello che hai scritto è stato un ‘copia incolla’ senza riflessioni sugli atteggiamenti durante le stesse interviste? Per concludere: è possibile che dopo 26 anni che mio marito si trovava fra di voi abbiate avuto sospetti solo ora?”
Quindi la lettera di Jhad che ci conferma di essere in Marocco, ma di volere tornare in Italia per rinnovare i permessi di soggiorno: “Mio padre è stato rimandato al paese d’origine con accuse infondate. Parlo adesso del mio nome: come è possibile giudicare qualcosa senza conoscerla a fondo? Il mio nome vuol dire ‘esercitazione della forza’, non indica propriamente ‘guerra santa’. Notate bene l’articolo, non sapendo come accusarlo viene allungato (cfr) solo dalla vita di mio padre fin dall’arrivo in Italia. Se ci fosse stata violenza nei nostri confronti, nei confronti della sua famiglia io non mi vestirei come voi, con jeans e maglietta, anzi sarei obbligata a mettere vestiti lunghi. Il velo l’ho messo con la mia volontà! Arrivate alla fine dell’articolo per poi dire che non ci sono incitazioni da parte sua all’odio e alla violenza ma che solamente non è una persona aperta? Quella è il suo carattere e personalità, per voi una persona aperta deve vestirsi come voi e mangiare carne di maiale e bere vino? Ognuno segue la religione che vuole e rimane con la sua volontà ancorato alle tradizioni”.
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- Alla moglie e alla figlia di Mohammed risponde Giuliana (12 agosto 2016)
C’è il passaggio dove dice “come voi” che mi fa rabbrividire. Comunque non credo che il Ministero dell’interno si sia scomodato ad espellerlo senza motivo, e poi chiedo: se volete tornare in Italia per rinnovare il permesso di soggiorno, come vi manterrete? Vi manterrà il Comune di Carpineti? Non credo sarebbe corretto, visto quello che è successo.
(C.g)
Il successo maggiore del diavolo è quello di far credere che non esiste.
(Angelo Riccobaldi)
Carissima Jhad, il tuo è un nome bellissimo, non avrei avuto nessun problema a chiamare così una delle mie figlie. Per me Jhad ha il significato di una “battaglia interiore per migliorare se stessi”, ma se tu ti risenti ora per chi ha paura del tuo nome, di chi è la colpa? Potresti rispondermi l’ignoranza, e hai ragione. Ma ti chiedo, in tutta onestà, chi ha fatto in modo che il tuo nome scatenasse sospetto e paura, chi ha versato sangue, e ancora ne versa, di innocenti musulmani e miscredenti in nome di un Islam malato, sporcandone così l’immagine, facendolo apparire una religione violenta e sanguinaria? Nell’ignoranza chi ha la colpa maggiore, chi ha paura o chi ha provocato questa paura usando l’ignoranza e usando il tuo nome per spargere terrore e morte? La mia risposta sincera è che la colpa è del Daesh e di tutti quei musulmani che ancora trovano scuse, giustificazioni, o peggio ancora rimangono indifferenti, come se la cosa non li riguardasse. Invece riguarda tutti, tutti siamo colpevoli, se non riusciamo a liberare l’Islam da quei pazzi sanguinari che promuovono e promulgano con armi e terrore, in giro per il mondo, un Islam che contrasta, per me, con Allah il clemente e misericordioso. Per me, che credo profondamente nella democrazia, l’espulsione di tuo padre è una sconfitta, io penso che le idee non possano essere perseguibili, ma non sono ipocrita e quindi, come per me il fascismo non è un’opinione ma un reato, la stessa cosa la visione salafita del Corano, in quanto contrasta con la democrazia, limita le libertà personali, contrasta con il rispetto della donna in quanto è una lettura del Corano estremamente maschilista (il tema di una lettura maschilista è comune a molte religioni) quindi pur nel rispetto della persona e anche perchè non conosco tutti gli atti del decreto di espulsione, penso che in un momento così delicato, in un’emergenza che se mal gestita può portare ad un vero conflitto (tra l’altro è quello che vorrebbe Al Baghdadi e il Daesh) l’espulsione di chi è salafita, anche di tuo padre, sia in extrema ratio, corretta. Una sconfitta per tutti, ma il limite è superato come ha scritto anche Tahar Ben Jelloun: “Perciò dopo i massacri del 13 novembre a Parigi, la strage di Nizza e altri crimini individuali, siamo tutti chiamati a reagire: la comunità musulmana dei praticanti e di chi non lo è, voi ed io, i nostri figli, i nostri vicini. Non basta insorgere verbalmente, indignarsi ancora una volta e ripetere che “questo non è l’Islam”. Non è più sufficiente, e sempre più spesso non siamo creduti quando diciamo che l’Islam è una religione di pace e di tolleranza. Non possiamo più salvare l’Islam – o piuttosto – se vogliamo ristabilirlo nella sua verità e nella sua storia, dimostrare che l’Islam non è sgozzare un sacerdote, allora dobbiamo scendere in massa nelle piazze e unirci attorno a uno stesso messaggio: liberiamo l’Islam dalle grinfie di Daesh. Abbiamo paura perché proviamo rabbia. Ma la nostra rabbia è l’inizio di una resistenza, anzi di un cambiamento radicale di ciò che l’Islam è in Europa.” Questo è quello che penso anche io, non possiamo più permetterci ambiguità, non possiamo più rimanere indifferenti, sempre Ben Jelloun scrive: “Non solo: dobbiamo denunciare chi tra noi è tentato da questa criminale avventura. Non è delazione, ma al contrario un atto di coraggio, per garantire la sicurezza a tutti. Sapete bene che in ogni massacro si contano tra le vittime musulmani innocenti. Dobbiamo essere vigilanti a 360 gradi. Se continuiamo a guardare passivamente ciò che si sta tramando davanti a noi presto o tardi saremo complici di questi assassini.“, aggiungo io che l’indifferenza e l’ambiguità sono i mali peggiori, perchè alla fine lasciamo a pochi estremisti da una parte e dall’altra portarci ad uno scontro, ad una guerra e sappiamo come le guerre comincino molto in fretta ma per chiuderle serve versare molto sangue e lacrime. Tu affermi che uno deve rimanere attaccato alle proprie tradizioni, concordo, ma in primis deve rispettare la legge. La legge prevede che si giri a volto scoperto (tra l’altro proprio alla Mecca le donne vanno a viso scoperto), quindi inutile e dannoso chiedere che il burqua o il niquab siano tollerati, tolleranza zero, discorso diverso se si parla del velo, che tu asserisci di indossare volontariamente, quello è concesso perchè un simbolo di appartenenza religiosa come può essere la croce al collo, ma il nodo della questione è la libertà della donna di indossarlo e poi non viola nessuna legge. Non puoi chiedere piscine per sole donne, puoi semmai chiedere di fare il bagno con il costume consono al tuo credo religioso (li vendono su internet e assomigliano a tute da sub), questo è nel tuo diritto, non puoi pretendere un medico donna al pronto soccorso per le donne, sarebbe come se qualche maschilista chiedesse un uomo medico perchè non si fida delle donne, certe richieste da medioevo vanno stoppate, parità tra i sessi vuol dire anche questo. Vorrei però farti presente Jhad, che molti considerano le ragazze che compiono una scelta diversa dalla tua, ovvero quella di non indossare il velo, spesso dalla comunità sono viste con un certo sospetto per non dire cose anche molto più sgradevoli, negare che esiste un problema interno alla comunità di chi si sente in diritto di giudicare un’altra persona appiccicandogli o appiccicandole addosso etichette di “cattivo musulmano/a” esiste ed è un problema grosso come una casa, difficile non accorgersene, o forse è più comodo far finta di non vedere o peggio essere nuovamente indifferenti e usare sempre due pesi e due misure? Tua madre ci ricordava come sia orgogliosa di voi, di quanto siete educati e rispettosi, nessuno ha mai detto che siete ragazzi maleducati o irrispettosi, il contendere è altro, chiedete se la violenza può mantenere “questi ragazzi a questi livelli”, ti rispondo che la paura può farlo, non è il tuo caso e allora buon per te, ma la Storia è piena di persone educate che in realtà, a parte la loro educazione, hanno fatto danni e molti, ma visto che sei una brava studentessa non serve farti degli esempi. Voglio sorvolare sulla tua battuta finale “per voi una persona aperta deve vestirsi come voi, deve mangiare carne di maiale e bere vino”, di quella tua frase fa male il “voi”… “voi” chi? Siamo tutti cittadini dello stesso Paese, viviamo affianco, dov’è quel voi? O forse ti riferisci ai non musulmani? In questo caso sei tu a rimarcare una differenza che in realtà non c’è o non ci dovrebbe essere. Siamo tutti cittadini di questo nostro Paese: l’Italia. Concludo rispondendo alla richiesta di tua madre ai fratelli musulmani con un ultima citazione che sottoscrivo in pieno: “L’Islam ci ha riuniti in una stessa casa, una nazione. Che lo vogliamo o no apparteniamo tutti a quello spirito superiore che celebra la pace e la fratellanza. Nel nome “Islam” è contenuta la radice della parola “pace”. Ma ecco che da qualche tempo la nozione di pace è tradita, lacerata e calpestata da individui che pretendono di appartenere a questa nostra casa, ma hanno deciso di ricostruirla su basi di esclusione e fanatismo. Per questo si danno all’assassinio di innocenti. Apparteniamo alla stessa nazione, ma non per questo siamo “fratelli”. Oggi però, per provare che vale la pena di appartenere alla stessa casa, alla stessa nazione, dobbiamo reagire. Altrimenti non ci resterà altro che fare le valigie e tornare al Paese natale.” Salam Aleikum.
(Monja)
Carissime, se l’imam avesse commesso reati o violenze sarebbe in carcere! Egli infatti è stato solo espulso per le idee integraliste che professava ai vostri fratelli musulmani e questo è un pericolo! Gli investigatori e i giudici hanno prove certe per perseguirlo. Ecco perché è bene che resti in Marocco! La sicurezza della popolazione italiana e la libertà valgono più dei vostri permessi di soggiorno!
(Simona)
Come è ben noto l’Italia non è un paese in cui le espulsioni sono la norma, tutt’altro, pertanto se questo è avvenuto è stato dopo che gli organi competenti hanno indagato e dimostrato la pericolosità dell’Iman Madad e questo, che piaccia o meno, è un dato di fatto. Per tutto il resto, gli eventi internazionali hanno creato una comprensibile diffidenza che non aiuta un avvicinarsi tra popoli e culture così diverse e proprio da parte dei musulmani stessi resta presente una notevole preclusione ad integrarsi, tanto da generare in tanti di noi la sensazione che ci sia più volontà di predominio che di integrazione. Integrarsi non significa imporsi e poter fare tutto quello che si è sempre fatto ritenendolo giusto e sacrosanto, ma è soprattutto adeguarsi alle leggi ed alla cultura locale. Bisognerebbe cominciare a confrontarci, a parlarci e a comprenderci, anziché ricadere sempre nella logica della contrapposizione e del razzismo, quel razzismo che molto spesso non si sa a chi attribuire. L’esempio del pregare insieme è stato un bel segnale a cui dare un seguito. Personalmente ritengo che non sia il velo o il nome che si porta a creare problemi, è il vivere qui per tanti anni, restando racchiusi in un guscio culturale mai del tutto dischiuso, finendo per diventare un corpo estraneo per buona parte della nostra società. Credo che i tempi per vedere dei risultati di vera integrazione siano ancora molto, troppo lontani e, stando così le cose, purtroppo difficilmente raggiungibili.
(Antonio Manini)
Già, fratelli musulmani, diteci cosa ne pensate dell’imam? Perchè a parte la signora Monja non si sono sentite altre voci sulla questione.
(Lollo)
Vero. Mi aspettavo una presa di posizione dall’associazione culturale islamica di Felina, invece solo silenzio… Questo non è bello.
(C.g)
Le chiacchiere stanno a zero: in Italia ci sono ormai milioni di islamici praticanti, se tra questi un numero limitatissimo viene espulso un motivo ci sarà, o fanno dei sorteggi? Capisco la rabbia della figlia, ma finché è lei stessa a parlare di “voi” e “noi”, allora non ci siamo.
(C.R)