A Vetto – e forse anche altrove nella montagna reggiana - quando un vedovo si risposava, i paesani erano soliti appostarsi di notte nei pressi della sua casa e “celebrare” le sue prime notti di nozze battendo pentole e facendo rumore. Era la “ciocana” – come si dice dalle nostre parti, la “scampanata” in italiano o il “charivari” in francese – cioè il modo con cui le comunità denunciavano la rottura di un ordine, la violazione dei costumi da parte di alcuni suoi membri.
A conclusione di Storie di mondo e di montagna, rassegna di libri che hanno come oggetto la storia, le tradizioni e i rituali dell’Appennino reggiano promossa dall’amministrazione comunale di Vetto, martedì 9 agosto, alle ore 21, ai giardini pubblici interverrà Marco Fincardi. Storico bolognese, Fincardi ha pubblicato qualche anno fa Derisioni notturne. Racconti di serenate alla rovescia, interessantissimo studio che ha come oggetto questo rito di rumoreggiare e battere pentole per protesta, rito che credevamo nostro e che – impariamo dai suoi studi – era invece diffuso in gran parte d’Europa almeno dal Trecento.
A seguire brindisi di fine rassegna.
Io personalmente ne ricordo in modo particolare una di ciucun, perchè al mio paese si chiamava così, la ciucuna. La facemmo ad una coppia che credendo di evitarla si sposò di sera, alla chetichella, senza invitati, sperando che tutto passasse sotto silenzio, ma siccome, come si dice, il diavolo fa le pentole ma dimentica di fare i coperchi, si era sparsa la voce. Noi eravamo un branco di ragazzotti con una voglia matta di divertirci, anche perchè a quei tempi i divertimenti erano quelli: andare a fare dispetti a l’uno o all’altro, a seconda di chi capitava a tir; quella sera avendo avuto sentore dell’evento preparammo campanacci, coperchi, bidoni,e qualsiasi altra cosa che facesse rumore, percuotendola con dei bastoni attendemmo che uscissero di chiesa e poi,lungo la strada, nascosti per non farci riconoscere, li accompagnammo fino a casa, anche se abitavano distante dal paese più di un chilometro. Per una strada sterrata li seguivamo, nascosti dalle siepi che costeggiavano la via, era anche una notte senza luna, perciò non era difficile nascondersi, anche perchè se ci avessero riconosciuti lo sarebbero andati a dire ai nostri genitori, andando incontro ad una severa ramanzina, se non a qualche scappellotto.
(Beppe)
Certo che lo so. L’avevano fatta (faccio i nomi?), tremila anni fa, giorno più, giorno meno, al matrimonio tra un vedovo di Campolungo e una zitellona di Burano. Per l’occasione era anche sta fatta una satira, in dialetto naturalmente.
(Mv)
Personalmente ho partecipato. Da noi quando un vedovo si risposava durava otto serate, a meno che gli sposi facessero trovare una piccola damigiana di vino per una sonora bevuta. In tal caso si riponevano gli strumenti seduta stante.
(Jmmy)