Sono appena le due di notte e una delle gemelline da qualche minuto si sta lamentando: allora bisogna alzarsi per cercare di calmarla. Basta un po’ di latte e biberón, per adesso: non ci mancano certo i biberón anche se ne abbiamo già regalato la maggior parte!
Sol y Luna (chiamiamole così, per adesso) sono arrivate qui a casa da poco più di una decina di giorni. Sono arrivate direttamente dall’ospedale per i bimbi denutriti dopo un ricovero di vari mesi. La mamma, giovanissima, che non conosciamo - della campagna-, le ha abbandonate pensando probabilmente di non farcela o supponendo che le sue figlie fossero portatrici di una malattia. Ho cercato di rintracciarla, ma non risponde... Non sappiamo bene la situazione che c’è dietro e non sappiamo bene quanti mesi hanno Sol y Luna. Infatti, sono ancora senza i dentini e sono piccoline, ciò che ci fa supporre un’età tra i 6 e gli 8 mesi. Decideremo noi e ognuno farà le sue preferenze per i loro nomi. Sono arrivate con le sondine per l’alimentazione nel naso ma, come è abitudine qui in casa, dopo appena un giorno loro stesse se le sono strappate via. E piano piano si stanno abituando ai biberón e alle pappine. Si fa un po’ di fatica a riconoscerle anche se Sol pesa qualche decina di grammi in più.
Sono molto carine e tutto sommato sono veramente molto buone, anche se a volte il loro coro notturno tiene sveglia tutta la compagnia della Casa de los niños. Presentano un ritardo nello sviluppo che, secondo i medici, si risolverà completamente con la stimolazione e la fisioterapia. Noi aggiungiamo: soprattutto con il biberòn dell’affetto. Intanto sguazzano felici nelle loro piccole culle come se volessero ricuperare in fretta i tempi dello sviluppo. E’ un regalo del cielo contemplarle nella loro bellezza e innocenza.
Sono tanti i bimbi che abbiamo accolto qui a casa negli ultimi mesi. Quanti storie complicate portano con sè. Un senso di impotenza spesso rannuvola i nostri pensieri soprattutto quando dobbiamo prendere decisioni per il futuro di ognuno di questi bimbi. E confessiamo che non sono gli unici pensieri che girano ogni giorno (a volte anche di notte) per la nostra testa.
Questo pomeriggio mi trovavo in un Comando di Polizia, fuori città, per cercare di risolvere un pasticcio in cui si era messo uno dei nostri ragazzi. Stavo aspettando, pensieroso, il mio turno seduto fuori, sotto il porticato del Comando, quando all’improvviso mi obbliga ad alzare gli occhi e mi riporta alla realtà il cinguiettio sonoro e il volo scomposto di una decina di rondini. Dobbiamo tener presente che qui siamo all’inizio dell’inverno e le rondini, secondo i calcoli della natura, dovrebbero essere da un’altra parte a ibernare. Invece sono apparse lì a svolazzare giocose e schimazzanti sotto il serio porticato del Comando di Polizia. Erano belle e felici, indifferenti al freddo e alla stagione, nei colori forti delle loro ali, nel loro volo agitato. Mi hanno ricordato i movimenti scomposti delle nostre due gemelline dentro le loro culle. Mi hanno riportato al sorriso e alla serenità. Ma il mio ricordo è andato anche alla primavera su al mio paese, in montagna, ormai lontano, tanti anni fa, quando le rondini schiamazzavano a festa nell’aia di casa e richiamavano l’attenzione di noi bimbi spensierati. Sono passati tanti anni... Rileggo questi appunti con commozione e un profondo senso di riconoscenza:
“... Sono nato in montagna, a Toano, un paese piccolo e anonimo a 854 metri sul livello del mare, disteso sulla cresta della collina che si affaccia al Monte Modino, si inchina alla distesa maestosa del Monte Cusna e come una scivolata verde di prati e boschi arriva a baciare le rive del Fiume Dolo, più sotto. Ne sono orgoglioso. Un orgoglio umile e ingenuo, ma che ha impregnato per sempre il cuore. Anche questo particolare suona a ironia: infatti,il Cusna, la montagna più alta della provincia di Reggio, misura 2.120 metri sul livello del mare, cifra che fa sorridere se penso che ora vivo in una città ad oltre 2.500 metri di altezza, incorniciata da montagne che superano i 5.000 metri. E’ ancora tal quale la casa dove sono nato, con le finestre piccole, e il muro ormai sgretolato, sulla via che va alla chiesetta di Sant’Anna. Si nasceva in casa allora, anche perché, mi dicono, che quella notte di febbraio si era accumulato più di un metro di neve fuori dalla porta.
Di quei miei primi anni di vita, su a Toano, devo sottolineare soprattutto l’amore silenzioso dei nonni e degli zii: si viveva in una famiglia “grande”. Non si sprecava mai una parola di troppo in casa. Vivevamo di silenzio e di latte caldo appena munto, condito con le pagnotte di pane fatto in casa dalla nonna. Credo che la gente cresciuta in montagna saprebbe raccontare meglio di me questa storia conosciuta e fiorita tra l’aia e le mura di casa.
La vita quotidiana si svolgeva proprio lì, attorno all’aia dove noi bimbi giocavamo e crescevamo felici quasi protetti dal volo schiamazzante delle rondini. Vivevamo di latte e pane, ma non ci mancava proprio niente. L’affetto che si coltivava in quell’aia dai portici costruiti a secco era stagionato da secoli di amore e duro sforzo, come il prosciutto e il salame che pendevano sotto le assi della cantina. Non sbagliavano mai il prosciutto e il salame, come non sbagliava mai l’affetto. Sono i segreti nascosti della montagna che difficilmente si possono svelare. Anche l’uva si faceva appassire nelle stanze superiori della casa dei nonni, su grandi tavole o appesa al soffitto.
Si dormiva con il “prete” per scaldare il letto, d’inverno, ma non ricordo di aver mai sofferto il freddo”.
Ripenso alle nostre due gemelline, che ora dormono tranquille insieme agli altri bimbi, e ripenso alle storie di tutti i nostri bimbi. Il contemplare oggi il volo improvviso delle rondini ha il potere di riportarmi alla realtà profonda che ci unisce all’energia sana a pulita della natura che ci circonda, alla storia sana a pulita che ci ha fatto crescere, allo stupore e all’emozione di sentirci legati insieme a qualcosa di più grande ma anche di più semplice che riconduce alla purezza e alla bellezza che hanno fatto fiorire la storia di ognuno di noi, che ci fa compagni di un viaggio e di un volo spesso agitato ma sempre riconoscente.
Grazie.
(Ivano Pioppi)