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Ritorno ai monti o ritorno a noi stessi?

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Mi sono messa davanti alla tastiera per scrivere della conferenza stampa di presentazione di “Ritorno ai monti” a cui ho partecipato a Cerreto Alpi, però mi sono accorta di non aver proprio voglia di stare a elencare chi ha detto cosa e come, così ho pensato di allegare a questo articolo la registrazione che avrei utilizzato per scriverne (e mi scuso se la qualità non è eccellente, ma non era pensata per essere utilizzata pubblicamente) così chi volesse può ascoltare il racconto dai diretti interessati, e vi assicuro che alcune parole dette valgono la pena di essere ascoltate, mentre io vorrei scrivere di altro.

Già cinque minuti dopo il mio arrivo in paese mi è venuta voglia di raccontarlo.

Come ho già detto in altri casi pur essendo "montanara" conosco pochissimo questo territorio e ieri è stata l’occasione di mettere piede per la prima volta a Cerreto Alpi.

Il verde e l’azzurro sono i colori che mi accompagnano per tutta la giornata, più che accompagnato direi invaso, il verde è talmente saturo, cangiante e grasso che quasi mi soffoca, in questo periodo di piogge infinite la nostra montagna interpreta al meglio la parola rigogliosa.

La continuità di boschi e rocce, lungo il viaggio, è intervallata da pochi tetti di piccole frazioni costituite da case abbracciate fra loro.

Così arrivo in paese, parcheggio e già mi trovo a osservare come le persone siano lì, in strada/piazza/quattro posti macchina, a parlare, raccontarsi, tenersi compagnia. Ci sono bimbi che giocano, mamme, ragazze, uomini appena tornati dal lavoro, anziani e ragazzi, senza divisioni, un insieme di persone che ha da dire e ascoltare ognuna all'altra qualcosa.

Ho impiegato un minuto a capire di essere estranea e altrettanto hanno fatto loro, mi hanno "sgamata" subito, ma ho impiegato solo un altro minuto a capire che ero benvenuta. Alla mia richiesta di informazioni (non sapevo deve fosse il luogo dell’incontro) e cosa potessi visitare, visto che ero in anticipo, ho ricevuto per prima cosa un sorriso e poi tutta la gentilezza di un ragazzo a cui mi pento di non aver chiesto il nome, perché per tutta la giornata è diventato una sorta di mio angelo custode.

Così, seguendo le indicazioni, scendo “in paese”. Credo di aver impiegato di più ad accendere la macchina che a percorrere il tragitto per arrivare nel cuore del piccolo borgo. Entrando mi pare di dover chiedere permesso, per rispetto.

Mi accorgo di essere in un nido fatto di alberi, ovunque mi volto vedo solo bosco, più in alto dell’orizzonte. Qui la montagna non si vede, si è montagna.

Scuri sono i sassi, piccole le finestre, per lasciare fuori il grande freddo. Case che si sorreggono le une alle altre, come a doversi far forza per sostenere il peso dei secoli.

Passare in macchina fra esse mi pare una violenza, percorro l’unica stradina fatta chiaramente per le persone e per il lento incedere dei passi.

Ogni angolo è pensato, ti dice: “Qui abita una persona che mi cura con amore. Qui abita gente che forse ha poco, ma è di quel poco che si fa ricchezza trasformandolo in tesoro”.

Nasce in quel momento l’esigenza di raccontare l’emozione e non il fatto, proprio mentre penso a questo l’occhio mi è colto da una targa affissa ad un muro e leggo le parole che mai avrei potuto io trovare migliori per descrivere questo luogo.

“Sette case addossate… due strade, un cortile che chiamano piazza, uno stagno e un canale e montagna quanta ne vuoi. (la targa finisce qui ma ho pensato di inserire per intero le parole di Silvio D’Arzo che lo descrivono, anche se con nome diverso) Che fanno qui a Montelice? Vivono e basta e poi muoiono… qui non succede niente di niente… gli uomini al pascolo… le donne a far legna… in strada una vecchia o una capra o nemmeno quello… l’inverno dura mezzo anno. Due mesi continui di pioggia, due tre mesi di neve-neve. Non succede niente di niente solo che nevica e piove e la gente nelle stalle a guardare la pioggia e la neve come i muli e le capre”.

Così mi rendo conto che in ogni angolo i muri parlano e si raccontano.

Arrivo in uno slargo fatto da ponte e cortili e mi accolgono altri sorrisi e camini fumanti, anche se oggi è il 10 giugno, e c’è lui: il suono del torrente che scorre a completare questo paesaggio evocativo.

Non posso che mettermi a sedere su un antico trave, che forse per secoli ha retto il peso di piagne e neve, e che ora offre ristoro a chi vuole cogliere il non silenzio fatto di gente, animali e acqua. Mi ritrovo così a essere spettatore di uno spettacolo fatto di persone che stanno mettendo amore, patema e passione in quello che fanno. Tutti indaffarati a preparare, aspettare, coordinarsi, mentre i più anziani si godono il diversivo.  Il luogo in cui ci ospitano è una stalla, che saggiamente è stata ristrutturata senza però snaturarne il suo essere stalla. Sotto i piedi la roccia nuda del monte, con le sue asperità, che non rende comodo l’incedere ma stimola l’equilibrio, forse a ricordarci che dovremmo ritrovarlo l’equilibrio.

Si inizia con le parole, belle parole, pesanti, importanti, riflessive, pensate e pensanti. Dette con convinzione, e vissuto. Parole che sarebbero da farsene custodi e per questo non le trascrivo, invitandovi però a cliccare sui link successivi e ascoltarle bene. Il racconto, perché di questo si tratta di un racconto del chi si è, chi siamo, chi fummo e cosa stiamo diventando, prosegue mentre attorno si sente il torrente anch'esso proseguire a valle, le campane ricordano anche il fluire del tempo. L’uccellino che ha nidificato nel tetto continua la spola fuori e dentro dalla stalla, fermandosi solo una volta a osservare e capire chi siano queste figure che sono venute ad invadere il suo spazio, poi troppo preso dai sui affari decide di dedicare il suo tempo ad altro e vola via. Anche il cane che ogni tanto si affaccia da un finestrone pensa che in fondo non valga la pena di arrestare il suo essere e così abbaia a qualcosa che non è dato vedere dalla sedia su cui sono. Gli anziani fanno capolino dai finestroni mentre il racconto prosegue. I sassi che ci accolgono narrano storie a volerle ascoltare, ma l’orecchio è preso a seguire la presentazione di un evento in cui si coglie fierezza e orgoglio. Ogni parola dice “Io sono qui, sono questo e questo voglio essere, ma voglio capire da dove sono venuto e soprattutto dove sto andando”.

Finiscono le parole e si torna all’aperto accolti da una tavola imbandita e tutto è buono, anzi direi che ha gusto. Poi vedi un ragazzo che guarda fiero il cibo mangiato ed elogiato e ti rendi conto di come sia giovane la saggezza di chi ha preparato il tutto, e che altro amore (forse dovrei trovare un sinonimo a questa parola di cui ho abusato, ma anche questo non mi va di fare perché la parola amore si coniuga in tante forme e per questo proseguo nell’abusarne) ci viene offerto in questo luogo dove asprezza, fatica e duro lavoro sono evocati in ogni dove. In questo posto dove l’evento non sono alcuni giornalisti venuti alla conferenza, ma un loro anziano compaesano che decide di fuggire dall’ospedale e tornarsene in corriera al paese, mentre un parente abbatte un muro non vedendone il camino fumare e pensando al peggio, ignaro del ricovero. Quella fuga sarà valsa anche solo un giorno in più conquistato fra le mura della sua casa, che altri cento regalati in un letto asettico.

Continuo così a farmi spettatore dell’affaccendarsi di questi Cerretani che ci hanno sfidato a salire fin quassù e sicuramente hanno vinto la sfida, aggiudicandosi la stima che bisogna avere per chi, come loro, lavora e al proprio futuro e non smette di crederci.

Qualunque sarà l’argomento, quali saranno le attrattive o cosa ci offriranno durante i giorni della loro festa sono certa che varranno il viaggio fino a questo borgo, sarà valsa la pena essersi schiodati dal qualsivoglia per giungere dove le persone si fanno esempio.

(Doris Corsini)

***

Risalendo la statale 63, dopo Collagna, la valle del Secchia si fa stretta e impervia per chiudersi sull'orrido degli Schiocchi: lì compare alla vista Cerreto Alpi raccolto attorno la chiesa e il campanile.

Un piccolo borgo, una valle contornata di monti, un paesaggio d'incanto.

Una bellezza struggente per uno sguardo capace di cogliere il tumultuoso mutamento in atto. 
La scomparsa del bestiame al pascolo, l'abbandono della pastorizia, ha consegnato la montagna a un rigoglioso inselvatichire. Scompare ogni traccia di coltura, di cultura, di storia. Eppure c'è vita, più di quanto possa immaginare un transito frettoloso e distratto.

Cerreto Alpi sabato 25 giugno “Festa del ritorno ai Monti”. Un giorno di festa è un invito a fermarsi, guardarsi intorno. Camminare tra aie e viuzze. Sfogliare un libro, ascoltare un racconto, ascoltare una canzone. Entrare in una vecchia stalla e trovare una mostra fotografica o una raccolta di filmati. Un piccolo mercato.

Una festa dedicata alla pastorizia, quella di ieri, determinata da una fame d'erba mai saziata, e transumante di necessità, e quella di oggi che si sta rigenerando tra mille difficoltà e incognite.

La montagna vive. Vivrà finché dura il dolore, la gioia, la pietà, di chi la abita e non l'abbandona.
La montagna ha bisogno di pastori e di greggi. È una necessità economica, etica ed estetica.

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San Giovanni si avvicina veloce. Già piene di mille impegni e necessità e imprevisti le nostre giornate faticano per mancanza di tempo ma la stagione ci aiuta e la sera, ogni sera, s'attarda un po'. E vivere in montagna, solo guardarci intorno, ci compensa e ci consola.

Ci fa comunque dire: non vorrei essere che qui.

Nei giorni a venire cercherò di raccontare il perché e il come della Festa. Offrire spunti di riflessione, un'idea degli accadimenti e del contesto in cui si svolgeranno.

Tocca cominciare da quello che speravo, volevo, fosse l'ultimo tassello ma le richieste, quasi eccessive, di informazioni in merito mi obbligano a cominciare dalla fine.

Allevare parole, pascolare pensieri sarà, quando il sole comincia a calare e l'aria rinfresca, il momento della musica. Non c'è festa senza musica.

Canzoni per una giornata particolare in un contesto speciale: nel mio borgo, dove è vissuta da sempre la mia gente gente che fa buio avanti sera gente da basto, da bastone, da galera.

Pastori, innanzitutto, di ieri di oggi di domani, per loro è la festa.
Ci sarà l'impianto, un piccolo palco, suoneranno con me Ezio Bonicelli e Luca Rossi, ci sarà Mauro al mixer e Sergio a trafficare come sempre, ma non saremo in un club, un festival, un teatro. 

Tra il torrente e le case che mi hanno visto crescere e mi guardano invecchiare.

(Alzo gli occhi ai monti: da dove verrà l'aiuto per me?)

Qui non sono l'ex cantante di CCCP/CSI/PGR/etc... etc... Sono come tu mi vuoi? Non sono come tu mi vuoi!

E in questo come sempre ma qui è molto più evidente.

Non canterò ‘Curami’ perché qui sono curato, né ‘Per me lo so’ che ahimè so ben poco.

Non canterò ‘Emilia Paranoica’, Emilia chi? Dove? Questo è l'Appennino nord occidentale!

I sassi, l'acqua, il vento, i boschi, gli animali. I vivi, i morti, i non ancora nati.

I pastori e la pastorizia eterna, per loro si alza il canto.

Il tutto non sarà relegato in area separata a cui si accede acquistando un biglietto. È in mezzo al paese, ci si arriva comunque ma si può ascoltare anche in solitudine, ben accomodati in un cantuccio, tra le case o nel bosco.

Nessuno è invitato ad un concerto, per i concerti non mancano luoghi e occasioni: Bologna e La Spezia ad esempio per restare vicini nello spazio e nel tempo.

Tutti sono invitati ad un giorno di festa: la Festa del Ritorno ai Monti, ospiti di un piccolo borgo di montagna. In casa d'altri. È bene ricordarlo: valgono le regole, da che mondo è mondo, dell'ospitalità. Rispetto. Buona educazione. Gentilezza.

(Giovanni Lindo Ferretti)

Tracce audio:

01  Giovanni Lindo Ferretti

02  Erika Farina (Briganti del Cerreto)

03  Giovanni Lindo Ferretti

04 Enrico Ferretti (Circolo Sportivo ricreativo Cerreto Alpi)

05 Fausto Giovannelli (Presidente Parco Nazionale)

06 Giovannni Lindo Ferretti

07 Antonio Manari (Sindaco Ventasso)

 

3 COMMENTS

  1. Dos, poetessa in pectore che, oltre a rendere un’immagine visiva ed evocativa a chi legge dei luoghi che ha visitato, rivela di sè più di quanto certo avrebbe voluto e creduto. Persona sempre disponibile, pur se con mille impegni tra famiglia e lavoro, non dice mai “no”, anzi, il suo è un “sì” pronto, entusiasta, ed al quale segue immancabilmente un “potremmo fare anche questo”. Quando il potremmo sappiamo bene che è sempre lei: Doris, “Dos”. Grazie per questo scritto, che con sensibilità e grazia mi ha riportato alla mente una breve gita fatta con Gabriele, per me alla scoperta, per lui una rinnovata visita a Cerreto Alpi. Ho rivisto le viuzze, le case, le imposte, ho risentito il gorgogliare gentile del fiume. Grazie, scrivi ancora.

    (Cristina)

    • Firma - Cristina
  2. Ho incontrato per caso la realtà di Cerreto Alpi molti anni fa. Se non ricordo male era il primo anno di attività anche dei “Briganti”, da cui comprai, con stupore dei presenti, la maglia in segno di supporto. È un geniale modo di gestire il territorio, valorizzando proprio quello che il paese è ed offre. E la gente apprezza. Complimenti! Consiglio l’ascolto di “Inquieto” dei CSI. Un gioiello che parla di D’Arzo e Cerreto (se ho interpretato bene il testo di Lindo Ferretti).

    (Sincero)

    • Firma - Sincero