Li ricordate i rimedi delle nonne? Oggi ci fanno gridare allo scandalo: mancanza di igiene, strumenti non sterilizzati, e quant'altro. Eppure tanti di quegli impiastri erano efficaci e anche (oggi possiamo dirlo) salva-vita.
Mentre cercavo materiale per un pomeriggio dedicato al dialetto mi sono imbattuto in queste due strofette:
Mi' pà e mi' màma
i' gh'îvne la rùgna:
i' andêvne a Bulùgna
per fâsla gratâr.
E dòp i' gh' l'unšîvi
cun òli d'urtîga,
ch'l'é un òli ch'al psîga,
ch'al fa sternudîr.
All'inizio, non lo nego, m'è sfuggito un sorrisetto ironico. Anzi, lì per lì ho pensato ad una trovata del dottor Balanzone. Ma poi, ripensandoci, non mi è sembrato giusto trascurare quel messaggio, anche se non ho argomenti probanti per difenderne a spada tratta il contenuto. E mi sono reso conto che, nella sua semplicità, il testo ci suggerisce considerazioni importanti.
La prima è che gli antichi sapevano trovare nelle erbe i rimedi a quasi tutti i mali:
A n' gh'é êrba ch' la guârda in sú
ch' la n' gh'àbia la su' virtú.
Non è necessario rivangare i tanti tipi di tisane, impacchi, fasciature con erbe, foglie, o scorze di alberi. Oggi sembra che interessi a molti la riscoperta di questi prodotti, anche se vengono un tantino trattati. Un tempo era l'esperienza, la pratica a guidare. Ricordo, ad esempio, che per cicatrizzare le abrasioni (al beršöli) vi si poneva sopra una foglia di rovo. Penicillina ante litteram? Per disinfettare le ferite? Ohibò! Si usava la pipì (meglio se era di un bimbo). Per medicarle? Si facevano leccare dal cane.
La saggezza popolare ci offre tante altre espressioni legate alle cure mediante prodotti naturali, come l'esporsi alla guazza di San Giovanni, perché
La guàsra d' Sân Švàn
la guarìs tú-c i malàn;
oppure l'utilizzo di una forma primordiale di elioterapia:
Ad Lúj
sta cuntênt e cûra 'l döj!
La seconda riflessione è che l'òli d'urtîga di sicuro avrà avuto prerogative capaci di creare forti reazioni cutanee e debellare l'infezione.
Ma c'è di più in quelle due semplici strofette. Quel disarmante ch'al fa sternudîr ci riporta indietro nel tempo, alle grandi pestilenze che hanno afflitto Firenze nel trecento e Milano tre secoli dopo. Ci riferiscono gli scrittori dell'epoca che quando un contagiato superava il male e si avviava alla convalescenza, mostrava, tra i sintomi, un'esigenza insistente di starnutire. Significava che l'infetto aveva superato la crisi e riconquistata la salute. I parenti e gli amici, a quel punto, si congratulavano con lui per lo scampato pericolo.
È da lì che è nato l'augurio che ancora oggi facciamo a chi starnutisce: Salute!