Ve lo ricordate il clima dell’immediato dopoguerra? Da noi, abbarbicati alla sinistra del Tassobio, le notizie arrivavano quando potevano, e spesso deformate o sminuite. Quelle pastorali e anche quelle di interesse economico per la comunità ce le forniva il parroco alla domenica, quelle politiche le imparava chi, al lunedì, andava al mercato a Castelnovo.
A noi, scolaretti ancora alla ricerca di una identità, non si poteva chiedere di capire certe sfumature dei discorsi dei grandi. Però, sommando uno più uno, riuscivamo a percepire che verso coloro che credevano ancora nella religione c’era in giro un’aria pesante, cordialmente ricambiata. E le allusioni non erano neanche tanto velate, da ambo le parti. Del resto nessuno aveva frequentato corsi di diplomazia.
Le prime avvisaglie si ebbero già durante la guerra, ma allora importava evitare le rappresaglie fasciste e tedesche e non si dava eccessivo peso ai concetti che dall’Est debordavano nel nostro paese. Durante e anche dopo la fine della guerra ci fu una recrudescenza esplicita verso il clero e verso i civili. Il così detto triangolo della morte non era un’utopia. Come non lo erano i sacerdoti uccisi per mano dell’una o dell’altra parte, dai fascisti e da certa gente che era passata coi partigiani non per ideologia ma per il proprio tornaconto. Undici sacerdoti uccisi nella sola diocesi di Reggio, senza contare don Pessina ucciso a guerra già finita da un pezzo, e oltre 130 quelli assassinati in Italia, era una lezione da valutare attentamente e su cui meditare.
Ricordo, a proposito di clima di sospetto e surriscaldato, che nel ’47 il parroco, durante la messa nel nostro piccolo oratorio, lesse la lettera dei vescovi che condannava la dottrina Comunista e chi la condivideva. Ci fu un giovane del luogo che pretendeva avere dal parroco il giornale appena letto. Dubitava di lui. Sospettava che questi avrebbe potuto falsare il testo con interpolazioni personali, visto che spesso alzava gli occhi dal testo pur continuando la frase. E ci fu anche un altro giovane (gli era stato affidato l’incarico di distribuire giornali) che chiese ad un amico se gli comperava un giornale. Alla domanda di quale testata si trattasse, lui rispose tranquillamente: Unità o Libertà, ignorando forse che si trattava di organi di stampa antitetici per il loro contenuto politico.
Il clero locale aveva comunque capito che non era più come una volta. La gente si stava allontanando dalla chiesa. La guerra non aveva portato solo morte e danni materiali. I concetti inculcati in quel periodo si stavano radicando fra il popolo. Molti parroci tentarono di rimediare con pellegrinaggi ai Santuari Mariani, con cicli di conferenze, con le famose Missioni. Dalla Curia giunse anche l’invito a consacrare le parrocchie alla Madonna e ad intraprendere una manifestazione destinata a lasciare il segno. Si trattava della Peregrinatio Mariæ. Una statua della Madonna avrebbe percorso capillarmente tutta la Diocesi per rinvigorire la fede del popolo.
Dal 12 Maggio 1946 Reggio aveva un nuovo Vescovo: Mons. Beniamino Socche. Arrivava da Cesena dove si era prodigato a favore dei poveri e dei sofferenti, specie in tempo di guerra, e si era inoltre impegnato a difendere la città “ quando molte autorità cittadine erano fuggite in Veneto. Non era venuto a Reggio di sua volontà, ma per obbedienza al S. Padre Pio XII, che l’aveva incoraggiato dicendogli: "Coraggio, fratello, ella avrà sempre il Papa dalla sua parte". Il suo episcopato sarà una continua lotta per il trionfo di Gesù, della Verità, dell’amore verso Dio e verso l’uomo” [Dal sito Peregrinatio Mariæ]. E di sicuro il suo parlare schietto centrava il bersaglio. Tanto che gli stessi avversari furono costretti a cambiare tattica, passando dalla intimidazione e dalla violenza diretta alla quasi tolleranza. Sul suo operato correvano, in quegli anni, due espressioni significative. Mons. Socche indiceva spesso giornate a favore della “Chiesa del silenzio”, cioè i cristiani perseguitati nei territori soggetti al Comunismo. E i compagni dicevano: “Quella russa sarà pure la chiesa del silenzio, ma quella di Reggio è la chiesa del baccano”! E qualche anno dopo, mentre si costruiva il Nuovo Seminario Diocesano, i soliti compagni dichiaravano, ironicamente: “Ci preparano la nuova sede del Partito”? A Mons. Socche avevano appioppato anche il soprannome di Martello di Dio per la sua predicazione irruenta contro i persecutori dei cristiani e del suo clero.
Ma ritorniamo a noi. Finita la guerra in tutta Italia fu un fiorire di iniziative in onore della Vergine per ottenere il ritorno del popolo alla fede. La più importante fu, appunto, la Peregrinatio Mariæ, svoltasi in tutta Italia dal 1946 al 1951. I cattolici si impegnarono a fondo perché l’iniziativa avesse buon esito sia come ricarica spirituale che come spettacolo.
Io non l’ho vissuta in prima persona. Il nuovo parroco, arrivato nel 1946, cercava di coinvolgerci con lo scoutismo, con l’azione cattolica, con ritiri in cui si alternavano meditazione e giochi per noi nuovi, ma quando arrivò da noi la Madonna Pellegrina io ero già in collegio, sulle amene colline che fanno da corona a Bologna, proprio di fronte al santuario di San Luca. Ho potuto assistere comunque ad una delle feste in onore della Madonna, quella che si svolse a Ligonchio nella estate del ‘49. Erano le prime vacanze che trascorrevo a casa dopo oltre nove mesi di permanenza in collegio senza vedere alcun familiare. Fu lo zio Delfo a prendere l’iniziativa. Sapendo che lassù c’era la centrale elettrica la gente immaginò fantasmagorie di luci e si organizzò con corriere e camion. Partimmo da Rosano, e la corriera raccoglieva pellegrini via via che saliva verso Ligonchio. Giungemmo che era già buio. Lo spettacolo fu suggestivo, anche se ricordo ben poco del paese e niente dei panorami circostanti. C’erano catene di lampadine disposte lungo il percorso, fino all’interno della chiesa. Anche il bacino della centrale era illuminato a giorno.
E c’era soprattutto il coinvolgimento del popolo. Ad ogni canzoncina che i sacerdoti intonavano la gente rispondeva con entusiasmo. Ma quella che maggiormente vedeva la partecipazione di tutti era la canzone Pel trionfo di Maria. Don Orlandini, autore del testo, era riuscito a compendiare l’importanza del Rosario e la necessità di vivere in pace: … Sulla terra insanguinata / Maria deve trionfar. E … con Maria l’odio tace, / Cristo regna in ogni cuor. Quando veniva intonata sembrava che il pubblico acquistasse più voce e più coraggio. Io ero frastornato. La devozione alla Madonna nel nostro collegio era un punto irrinunciabile, uno scopo di vita. Ma quella marea di gente, venuta da tutta la provincia e di ogni ceto sociale, mostrava in concreto il significato delle prediche dei nostri istruttori. Era l’immagine vivente della fede.
Grazie Savino per questa suggestiva e istruttiva rievocazione.
(Ivano Pioppi)