Le uccisioni dei fratelli Cervi e di don Pasquino Borghi, le stragi di Cervarolo e della Bettola: violenza agìta da nazisti e fascisti contro i civili dal settembre 1943 al maggio 1945 nel territorio reggiano. Di questo si parlerà Giovedì 5 maggio, alle ore 21, nella sala polivalente di Vetto. E a parlarne sarà lo storico reggiano Massimo Storchi, ricercatore di Istoreco e autore di diversi volumi dedicati alle vicende guerra e della Resistenza nella nostra provincia. Ne parlerà presentando il suo ultimo libro Anche contro donne e bambini. Stragi naziste e fasciste nelle terre dei fratelli Cervi (Imprimatur 2016), libro in cui Storchi ha raccolto quanto la sua minuziosa ricerca ha prodotto in questi anni, lavorando sia sui documenti custoditi in varie istituzioni del territorio sia in archivi italiani e tedeschi. Suo obiettivo è precisare gli snodi fondamentali della strategia di “guerra ai civili” condotta dalle truppe tedesche e naziste e fornire elementi certi su quei fatti, per sottrarli – per quanto possibile – a ogni rischio di riscrittura o di negazionismo. Anche per questo, per ogni fatto narrato l’autore ha cercato di fare il punto sulla “stagione dei processi”, giunta ormai alla fine.
Un percorso dal quale emerge con chiarezza quanto il modesto lavoro dello storico non sia rivolto unicamente alla definizione di un passato ormai trascorso, ma si rifletta purtroppo nella nostra contemporaneità, scenario di quelle guerre “moderne” dove l’uccisione di civili innocenti è diventata la tragica e quotidiana normalità.
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L'AUTORE
Massimo Storchi, storico e archivista, dirige il Polo Archivistico del Comune di Reggio Emilia, gestito da Istoreco. Ha pubblicato diversi saggi su Resistenza e lotte politiche e sociali nel dopoguerra in Emilia Romagna, con attenzione particolare al tema della violenza. Ha scritto: Uscire dalla guerra. Ordine pubblico e forze politiche. Modena 1945-1946 (Franco Angeli, 1995); Combattere si può vincere bisogna. La scelta della violenza fra Resistenza e dopoguerra. Reggio Emilia 1943-1946 (Marsilio, 1998); Sangue al bosco del Lupo. Partigiani che uccidono partigiani. La storia di “Azor” (Aliberti, 2005); Il sangue dei vincitori. Saggio sui crimini fascisti e i processi del dopoguerra (1945-1946) (Aliberti, 2008); con Italo Rovali Il primo giorno d’inverno. Cervarolo 20 marzo 1944. Una strage nazifascista dimenticata (Aliberti, 2010); Question Time. Cos’è l’Italia. Cento domande (e risposte) sulla storia del Belpaese (Aliberti, 2011); Il patto di Khatarine. Gli strani casi di Dario Lamberti (Aliberti, 2012); con Germano Nicolini Noi sognavamo un mondo diverso. Il Comandante Diavolo si racconta (Imprimatur, 2012).
Ho letto il libro, oltre ad un libro interessante è un vero e proprio documento storico, non un racconto ma una raccolta di documenti e dati. Visto i molteplici tentativi, ultimamente, di sminuire i crimini nazi-fascisti o di imputarli ad altri, non si capisce bene con che logica, è bene studiare documenti e fatti. Complimenti e grazie all’autore.
(Monja)
Monja, continua a non capire le argomentazioni proposte. Oltretutto fuori luogo perchè qui si parla di un libro scritto da uno storico che sicuramente conosce bene la storia che in questo libro ci racconta. Poi se vogliamo contestualizzare e dare una visione d’insieme, sono da valutare altri aspetti dell’intera vicenda. Pioppi, aggiungo, legga le dichiarazioni rese alla Camera dei deputati da Pasquale Marconi, il 14 febbraio 1951, in merito alla lotta partigiana. Siamo tutti d’accordo sull’onestà cristallina di Marconi, giusto? Bene.
(Serb)
Signor Serb, è lei a non capire. Ho letto il libro, lo trovo molto interessante, proprio perché non è un racconto, ma una seria e minuziosa raccolta di dati e documenti, a mio avviso, il modo migliore per mettere a tacere negazionisti e revisionisti. I documenti sono dati oggettivi e non soggettivi. Buona lettura, signor Serb, vedrà che il commento non è fuori luogo.
(Monja)
Mi rasserena saperla forte delle sue certezze senza vederla costretta a praticare l’esercizio del dubbio. Contenta lei, contento io. Non ho la presunzione di riuscire ad introdurre un iscritto Anpi ai piaceri del pensiero critico di popperiana memoria.
(Serb)
Avere delle convinzioni non vuol dire essere privi di senso critico. Se uno è un “lazzarone” (termine che spesso usava mia nonna) rimane quello che è, per intenderci, non tutti i partigiani erano “stinchi di santo”, ma questo non toglie che la lotta partigiana, rossi o azzurri che fossero, ha contribuito a rendere l’Italia libera da una feroce dittatura e da un’altrettanto spietata occupazione. Lei, signor Serb, ha troppe “smanie” di riabilitare invece chi ha già avuto la condanna della Storia. Detto questo, inutile continuare una discussione in eterno, ognuno ha le sue idee, bella la democrazia! Saluti, Serb.
(Monja)
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Riteniamo che il confronto possa dirsi concluso.
red
Da Wikipedia: “La locuzione Triangolo della morte (o Triangolo rosso), di origine giornalistica, indica un’area del nord Italia ove alla fine della seconda guerra mondiale, tra il settembre del 1943 e il 1949, si registrò un numero particolarmente elevato di uccisioni a sfondo politico, attribuite a partigiani e a militanti di formazioni di matrice comunista. Alcuni autori indicano in circa 4.500 i morti causati dalla ‘giustizia partigiana’ scatenatasi alla fine della seconda guerra mondiale nel Triangolo della morte. Secondo lo storico Francesco Malgeri, l’espressione era originariamente riferita al triangolo di territorio compreso tra Castelfranco Emilia, Mirandola e Carpi, mentre il giornalista Giampaolo Pansa indica la zona del modenese, corrispondente al triangolo compreso fra Castelfranco Emilia e due sue frazioni, Piumazzo e Manzolino. In seguito, l’espressione è stata ripresa per indicare aree di volta in volta più ampie sia dentro che fuori dall’Emilia, ad esempio il triangolo Bologna-Reggio Emilia-Ferrara. Lo storico Giovanni Fantozzi sostiene che nel dopoguerra, dall’aprile del 1945 alla fine del 1946, nella provincia di Modena gli omicidi politici furono diverse centinaia, probabilmente oltre il migliaio, stando alle stime dell’allora prefetto di Modena Giovanni Battista Laura, del resto non molto dissimili da quelle dei Carabinieri. Sempre secondo Fantozzi i responsabili di tali delitti politici nel modenese furono nella stragrande maggioranza dei casi ex partigiani iscritti o simpatizzanti del Partito comunista italiano (Pci), ma solo una piccola parte tra le loro vittime erano realmente fasciste (quelle uccise cioè nell’immediato dopoguerra), mentre gli altri, la maggioranza, furono eliminati in quanto considerati ‘nemici di classe’ o semplicemente un ostacolo ad un’auspicata rivoluzione comunista”.
(Ivano Pioppi)
Ringrazio gli amici di Vetto per l’invito a presentare il mio libro stasera. Come è stato sottolineato, dovere dello storico è rifarsi alle fonti con attenzione e spirito critico. Lascerei da parte Wikipedia come mezzo per approfondire fenomeni complessi, utile magari per altre informazioni ma certo non per quanto in oggetto della discussione.
(M. Storchi)