Spostarsi prima di diventare un viaggio nello spazio è un luogo della mente. Studiare, a ogni età, implica confrontarsi con altri. E fare ricerca significa apprendere quello che già è stato scritto per aggiungervi un nuovo contributo. Il mio come dottoranda di ricerca lo sono venuta a cercare qui, spostandomi in questa terra lontano da casa, in cerca di idee da condividere e portare a casa.
Perché la Finlandia? Perché collabora con l’università di Parma dove sono stata assunta per questi tre anni per poter svolgere il mio dottorato di ricerca. E perché tra università ci si contamina, si scambiano analisi dei dati raccolti, in una comunità scientifica internazionale che non conosce frontiere, ma è unita per temi di interessi. Così appena arrivata qui mi sono trovata a pranzo con altri dottorandi di tutte le età e di varie provenienze. Islanda, Iran, Taiwan, Ungheria, e il lungo elenco potrebbe proseguire. La conoscenza dell’inglese facilita le conversazioni che iniziano tutte allo stesso modo: “I’m a PhD student, I come from…” I nomi sono difficili da memorizzare, ma i visi diventano presto familiari.
Lavorare e fare ricerca a Helsinki è un’avventura facilitata dalla cultura finlandese. Stando qui ben presto comprendi come un popolo così provato da lunghi inverni finisca per avere caratteristiche come pazienza, accoglienza, rispetto.
Vivere a Helsinki è facile per molti aspetti. C’è una razionalità organizzativa, la città è piccola, tranquilla funzionale. Non ci sono rifiuti lasciati in giro, né mozziconi per terra, nessuno alza la voce. I genitori parlano a bassa voce con i figli, i figli dal canto loro non strillano. I finlandesi escono spesso senza ombrello anche se piove, abituati a ben altri climi nei mesi invernali. Tutti camminano o corrono attorno ai numerosi laghi costeggiati da parchi. E ovunque vendono salmone.
La Finlandia è il paese al mondo con più alto consumo di caffè pro capite, lo trovi ovunque, caffè lungo, acqua diremmo noi, per due euro, se va bene. Il costo della vita ti sembra il doppio dell’Italia, la gentilezza dei finlandesi ti ripaga di questa disparità. Se chiedi indicazioni per strada chiunque ti aiuta garbatamente, e tutti parlano l’inglese, anche gli anziani.
Passeggiando per il centro non ti sembra di essere in una capitale europea, ma in una tranquilla cittadina ordinata di provincia. C’è un senso dignitoso del lavoro, ci sono locali piccolissimi, arredati in stile minimalista.
Il tempo atmosferico cambia con una rapidità incredibile e ben presto impari che se c’è un’ora di sole conviene, potendo, fare una passeggiata attorno agli innumerevoli laghi, nei parchi, sul lungo mare. Perché dopo un’ora può grandinare, e spesso ti trovi il takatalvi, l’inverno di ritorno con la neve a fine aprile.
A Helsinki impari subito che il superfluo non serve. Nemmeno le parole. Nessuno ti fa domande, nessuno ti scruta o osserva. C’è un’accettazione diffusa di usanze ibride. Si respira pacatezza, come se nel DNA ne avessero viste di ben peggio che ghiaccio e neve per strada.
La lingua è impossibile, non ha nulla di familiare. Ogni indicazione è scritta anche in svedese (ed è quasi un sollievo perché risulta meno ostico per chi sa l’inglese) poiché fino a qualche anno fa qui era dominio della Svezia. E tuttora i finlandesi studiano lo svedese per anni a scuola. Poi ci sono influenze russe, le correnti del Baltico portano usanze e sonorità lontane, mischiate a ghiaccio e mirtilli, che richiamano villaggi di pescatori e pianure che si perdono fino al Polo Nord.
A parte il salmone si mangiano patate, e pane nero. Spalmato di burro. Non ci sono donne eccessivamente magre, né hai l’impressione che ci siano persone sovrappeso (mi chiedo come mai mangiano pane spalmato con burro a ogni pasto e non ingrassano), bevono vari tipi di yogurt a pasto, non c’è acqua minerale, usano quella del rubinetto. Una birra media costa 6.50 euro. Una corsa in tram 3.50 euro. E non si fa rumore sui bus.
La moda non è per nulla imperante. Tutti hanno buone scarpe da ginnastica per camminare. E outfit sportive. Si respira una passione per il design e l’architetto Aalto qui è considerato una divinità, la sua facoltà è visitata da tutto il mondo. Ci sono correnti culturali di avanguardia come il post umanesimo che si occupa principalmente della civiltà sovrastata dagli oggetti, anche tecnologici. Si possono assistere a conferenze dove si discorre su cosa resterà dell’essere umano quando tra duecento anni avremo la stessa forma ma saremo rifatti con materiali sintetici.
L’aspetto più affascinante di lavorare a Helsinki per me è scoprire come sono gestiti gli spazi comunitari nelle scuole, nelle università. Ogni piano ha una cucina con il bollitore, la loro macchina del caffè lungo, un microonde, un frigorifero. Divani e sedie per ogni esigenza. Negli uffici ci sono palloni per distendere la schiena, divani, i locali senza pareti. Ma pensati per usi diversi. Gli oggetti sono lasciati per l’uso comune, nessuno porta via nulla. All'università puoi trovare piccole stanze dopo fare chiamate via skype, stanze insonorizzate per leggere, poltrone ergonomiche. Spesso chi lavora si porta anche i figli per qualche ora, vedi adulti e bambini in ogni ambiente, e quasi non te ne accorgi.
La cosa più bizzarra è andare a un seminario con docenti ospiti di tutto il mondo, e vedere le personalità accademiche finlandesi in ciabatte. Appena arrivi sul luogo di lavoro ti togli le scarpe, o stai scalzo o hai le tue pantofole comode, mentre disquisisci dei massimi sistemi.
Credo sia molto difficile vivere qui, e potendo scegliere non ci vivrei: in inverno col ghiaccio perenne diventa arduo camminare per strada, uscire per andare al lavoro con 25 gradi sottozero è un atto stoico. E d’estate c’è una luce perenne che fa sembrare tutto quasi surreale. Qui il dialogo col tempo atmosferico è costante, non è mai distratto. La natura ti ricorda che si è insieme, non te lo dimentichi proprio mai.
Tuttavia in questa università, in questa città, ci lavorerei. È tutto facilitato, la burocrazia semplificata, non ci sono code, non c’è lo stress disorganizzato all'italiana.
Starò qui altre quattro settimane. Dell’Italia non mi manca quasi niente, se non quella bellezza creativa che respiri in ogni angolo e di cui ti accorgi soprattutto quando sei lontano.
E’ per i motivi elencati che vorrei vivere in un contesto come quello descritto, anche se, visto il clima, è molto difficile per noi che siamo nati nel paese del sole. Non parlare ad alta voce in nessun luogo, non dovere per forza vestirsi “bene”, essere rispettosi delle proprie città o paesi, non pensare che sia sempre l’altro a dovere fare le cose, non gettare il pattume in strada, insegnare ai bambini un’educazione che a volte qui è disattesa, ma se lo è, la responsabilità la si trova spesso nei genitori. Siamo lontani anni luce da questi comportamenti e questo mi dispiace, anche se basta poco per soffermarci a pensare e mettere in atto quei comportamenti rispettosi degli altri.
(C.)
Bello! Molto interessante, un altro mondo. Ora mi piacerebbe leggere il reportage di un finlandese che viene “spedito” all’Università di Parma per lo stesso stage. Complimenti per il suo lavoro, Ameya!
(M.B.)