Li preparavamo per tempo quei cumuli di sterpaglie. Ogni arbusto non idoneo ad alimentare il forno o il focolare finiva lassù, sulla spianata del Martino: ripulitura delle siepi, sfalcio di roveti, avanzi della potatura delle viti, e tutto ciò che dava l’impressioni di trovarsi fuori posto, foglie ed erba secca specialmente. Li ammucchiavamo con una certa cura. L’aria li doveva asciugare perché la fiamma potesse penetrare la catasta facilmente e produrre una fiamma alta, visibile da lontano. Perché esisteva una tacita gara a chi realizzava il miglior falò della vallata.
Prima del Concilio Vaticano Secondo la Resurrezione di Gesù si celebrava al Sabato Santo, intorno a Mezzogiorno. Il Triduo Santo (Giovedì, Venerdì e Sabato) veniva dedicato alle pratiche religiose. Il Sabato Santo la funzione cominciava presto con tante letture della Scrittura, le così dette Profezie, intercalate dal canto di Salmi. Erano letture piuttosto lunghe e per di più in latino. La pazienza veniva messa a dura prova. Ma bisognava resistere, memori che chi vuole essere felice a Pasqua deve fare penitenza nei giorni della Passione:
A Pasqua a cânta
chi ch’a piànš int la Stmâna sânta!
Come dire: Se vuoi passare una Pasqua gioiosa devi partecipare coscientemente alla commemorazione della Passione di Cristo.
A farci resistere concorreva anche la possibilità di scatenarci poi con le campane appena finita la Messa. Era una concessione che tutti i parroci facevano per l’occasione. Calcolavano che l’intonazione del Gloria coincidesse con lo scoccare del Mezzogiorno. Non so se vi fossero regole specifiche che imponevano l’orario. Ricordo però che c’era, anche in questo caso, una gara di precisione: tutti i campanili della vallata si scatenavano a mezzogiorno in punto. Si chiamava Slegare le campane, quelle campane che erano silenziose dal Giovedì precedente. E dopo c’era anche la gara di durata e … l’inizio dello Scoccino.
Il pomeriggio noi ragazzi lo passavamo in giro per il borgo a giocare con gli amici, a sfidarci allo scoccino o a ruzzolino. Oppure le mamme ci chiedevano di recuperare i radicchi spontanei che sarebbero serviti, nei giorni successivi, per fare l’insalata con le uova sode vinte a scoccino. Perché, si, di uova c’era abbondanza in quel periodo, ma guai a sciupare le cose, memori che
I’ öv i’ ên bûn ânch dop Pasqua.
Gli adulti invece collaboravano con le Rešdôre curando il forno e la cottura del pane e delle torte. Poi, nel pomeriggio, preparavano il mucchio di sterpi e rovi realizzando una pira alta come un pagliaio. Ne tenevano da parte una scorta per prolungare la durata della fiamma e si procuravano anche un bel numero di ginepri. Questi hanno la proprietà di accendersi facilmente anche se sono verdi e di fare una fiamma potente, seppure di breve durata.
Si cenava per tempo, in modo da essere intorno al falò appena la luce del giorno spariva. E anche qui vigeva una specie di convenzione per l’orario. Conveniva non anticipare troppo l’accensione altrimenti il nostro Falò non sarebbe stato visibile.
Per tradizione toccava al capofamiglia accenderlo. E c’era anche un accompagnamento di sottofondo. Dagli stessi luoghi ove ardeva il falò si sentivano degli spari. Come un richiamo alla gioia. La stessa usanza c’era anche per il corteo degli sposi quando, all’imbrunire, si trasferivano da casa della sposa a quella dello sposo. Per noi più piccoli, non in grado di sparare col fucile, c’era la possibilità di fare ugualmente dei botti col carburo.
Al comparire delle prime stelle il quadro diventava suggestivo, surreale. Si distingueva appena lo stacco tra il cielo e l’orizzonte, e le montagne non sembravano più vere ma sagomate di proposito per fare da sfondo, mentre la vallata si riempiva di puntini luminosi, da Scurano fino a Leguigno, al castello di Sarzano e su fino a Felina e Bismantova. E pensavo:
Sui colli, dipinti
nel chiaro orizzonte,
chi accende fiammelle,
frammenti di stelle?
Gli scarni profili
di uomini stanchi,
la luce riflette;
di bimbi festanti
le amene risate
fan lieta la sera;
di fresche speranze
la fiamma leggera
memorie ridesta …
Per continuare poi nel sogno quello spettacolo fino al momento di alzarsi, di scendere in cucina e, tra uno sbadiglio e l’altro, augurare a tutti la Buona Pasqua. Che auguriamo anche a Voi, amici lettori.
Che nostalgia!!!! Peccato si sia perso tutto questo e non lo possano vivere anche i nostri nipoti. Si creava una atmosfera così magica, che avvicinava tutte le persone del paese…
(Fiorella e Gaddo)
Fiorella, anche se in chiave Folkloristica, qualcosa si sta muovendo. Un amico che abita in pianura ma ha una casa in Val Tassobio, mi ha detto che la sera del Sabato Santo, di sera, ha percorso la strada da Buvalo fino a Castellaro e che tutta la vallata brulicava di falò. Le varie associazioni presenti sul territorio si sono organizzate ed hanno proposto lo spettacolo. Speriamo possano proseguire a lungo.
(http://www.savinorabotti.it)