"Mi hanno preso in giro, mi hanno detto che ero grassa, ho smesso di mangiare", "Volevo almeno essere magra, visto che avevo paura di essere niente", "Avevo dentro una grande rabbia a cui non sapevo dare un nome, ho iniziato a vomitare, era il mio rituale segreto, il mio modo per illudermi di poter avere tutto sotto controllo".
Spesso i racconti di chi finisce dentro un disturbo alimentare iniziano da una paura, da un grande disagio a cui all'inizio non si sa dare un nome. Una nota stonata dentro di sé, un rapporto contorto col proprio corpo. E un mezzo a portata di mano: il cibo.
Negato o ingurgitato, il cibo non è più nutrimento ma strumento per scappare da se stessi, dalle paure e dal dolore nascosto.
La fragilità negata porta a farsi del male, ci si illude di poter vincere da soli, contro il non sapere diventare se stessi.
Magro o grasso non è il problema. Il sé negato lo diventa.
Tutti sono a rischio, prima o poi, di incontrare una dinamica distorta col cibo. La consapevolezza e ascoltare i primi campanelli d'allarme aiutano ad uscirne. Perché uscirne si può. Con l'aiuto di una voce esterna che riporti a casa, che sostenga e incoraggi a dare un nome a quel dolore negato attraverso la privazione o l'esagerazione di cibo.