Dopo una serata trascorsa fra vecchi documentari e bagno bollente, senza l’esigenza di falsi divertimenti, che proprio non ne ho voglia, anche l’inizio dell’anno richiede qualcosa di diverso, così colgo l’occasione di un invito da parte di amici e mi metto in macchina verso Ligonchio. Da Toano è un’ora di strada fra i monti. Sinceramente parto più per vedere Ligonchio che lo spettacolo dei miei amici, visto che la nostra montagna mi è quasi sconosciuta e a Ligonchio non ho messo mai piede.
Guidando fra i tornanti abbasso la musica, che di solito tengo a “palla”, perché mi sembra di violare la magia di questi boschi. Non è rigogliosa la natura, né colorata, né avvolgente. C’è una sorta di tristezza in questi alberi spelacchiati, ma curva dopo curva comincia ad aprirsi un panorama incredibile. Quasi a ogni tornante mi devo fermare e guardare in silenzio il tanto/troppo bello che mi circonda. Intorno sta imbrunendo, non c’è il tramonto spettacolare, è umido, non c’è nessuna delle condizioni che farebbero del paesaggio un incanto, ma è ugualmente bello di una forma bruta, contadina, montanara.
Ad un tratto dopo una curva appare una vista straordinaria che abbraccia i Gessi triassici e la Pietra. Pietra che mi ha accompagnato per tutto il viaggio, visibile da ogni costone, a ogni svolta, come un faro per chi costeggia.
Non sento la necessità di fotografare tutto questo, sento la necessità di nutrirmene. Una cosa solo mia.
Riprendo a guidare.
Le borgate si fanno più arroccate, aggrappate ai costoni, come se quel poco sole che c’è lo si debba usare tutto da mane a sera.
Poi eccolo Ligonchio. Non so cosa mi aspettassi, ma non di certo di trovarmi in un nido fatto da vette. Ormai è tardi, le mie soste hanno rosicato il tempo che mi ero data per esplorare il paese e corro in teatro.
Cioè, chiedo dov’è il teatro e mi dicono che è li! C’ero praticamente parcheggiata, perché a Ligonchio sei praticamente in piazza/chiesa/bar/teatro/centrale/diga/negozi/alberghi appena parcheggi.
C’è gente fuori che aspetta. Il posto è “bombonieroso”. Piccolo, raccolto, obbliga a un spalla a spalla con persone che non conosci. Anzi no, solo io non conosco gli altri perché qui tutti si salutano, sembra quasi una festa.
Alle pareti libri, dal soffitto pendono libri. Su un tavolino un rinfresco fatto da una delle organizzatrici. Fatto nel senso che proprio lei ha cucinato il tutto, come spiega a una conoscente, e tutto sembra delizioso, ma non mi azzardo ad assaggiare perché voglio tenermi la possibilità di immaginare la bontà di quei biscotti e di quelle torte, che sembrano così gustosi.
Silvano (Scaruffi) mi accoglie col suo sorriso quasi imbarazzato, come a doversi scusare sempre di qualcosa. Chicco (Salimbeni) e Tiziano (Bianchi) sono presi dagli ultimi preparativi. Continua ad arrivare gente, addirittura vedo dalle finestre persone portare sedie e cuscini. Il locale è stipato all’inverosimile e chi è fuori rinuncia e se ne torna a casa. Silvano è il primo a stupirsi da tanta partecipazione, forse convinto che “nemo propheta in patria” valga anche per lui, ma si sbaglia, sembra che tutto il paese abbia voluto esserci.
Si inizia, senza fronzoli, senza autocelebrazioni, si inizia e basta.
Così scorrono le letture, le immagini e i suoni di un racconto in equilibrio sul filo dell’irreale e del troppo reale. Della risata che però lascia un retrogusto che sa di miseria, miseria umana, miseria di cose da poco, ma che è l’intera vita di una persona.
Il palleggiare fra Chicco e Silvano nello spettacolo "Rospi e Umani", è un reading (lettura pubblica di brani da parte degli autori) che mette a confronto due personaggi che paiono distanti fra loro, e le note, a volte stridule, di Tiziano sottolineano alcune parole in modo perfetto. Proprio come se queste parole stridessero veramente nella nostra mente.
Questa cosa che sta accadendo non è più un racconto e non è ancora uno spettacolo. È un esperimento, una prova dal vivo, un farci parte della creazione di una storia, per metterci alla prova, per vedere quali sono le battute che fanno ridere e quelle che fanno pensare, quelle che fanno applaudire “a scena aperta” e quelle che una volta finite trovano un sospeso.
Così finisce troppo presto questo spettacolo lasciando tutti con qualcosa da avere.
Si esce nel buio illuminato dalle luci di Natale.
Le persone commentano: “Silvano l’ho capito, ma l’altro mica tanto”; “Sono proprio bravi, e poi è qui a Sologno”; “Sembra proprio di vederlo quello mentre scrive”; "Chicco è proprio bravo!"
In effetti sì, ho letto quasi tutto quello che ha scritto Silvano e sentire adesso lui stesso raccontare i suoi scritti conferma esattamente come nella mente mi ero immaginata di sentirlo raccontare le sue storie mentre le scriveva.
Riprendo la via di casa ormai nel buio avvolgente e penso: quanta bellezza abbiamo intorno e non ce ne accorgiamo? Sono belli i paesaggi che diamo per scontati. Anche adesso nel buio totale la bellezza mi travolge, in questo cielo stellato fra i monti i piccoli borghi sono un tutt’uno con le stelle e non si capisce dove finisca l’uno e dove cominci l’altro.
Il bello delle persone, di Silvano che continua a scrivere anche se non sempre qui gli diamo il valore che, per me affamata di letture, ha realmente.
Il bello di Chicco che mette in gioco la sua professionalità, acquisita con anni di cinema e di televisione, in un piccolo borgo di montagna.
La bellezza di Tiziano che pochi giorni fa era in tour in India e adesso è qui a sperimentare e sperimentarsi, con la stessa concentrazione e professionalità che metterebbe in un concerto davanti a migliaia di persone.
Il bello delle persone di Ligonchio che senza differenze di generazione, dai bambini agli anziani, si è stretta attorno ad un suo concittadino con la curiosità di vedere cosa si è inventato questa volta.
Il bello di essere in montagna e di poter vivere nell’arco di poche ore così tanto da ricordare e condividere.
Grazie, devo ringraziarvi, ligonchiesi, Silvano, Chicco, Tiziano, le montagne, il crepuscolo, le stelle. Grazie, perché il bello ancora esiste e qui in montagna ne facciamo tutti parte senza neppure accorgercene!
(Doris Corsini)
Doris, animo sensibile il più delle volte celato da un turbine di efficienza, professionalità e… pudore. Le tue parole, commoventi e così ben scritte, mi sovvengono altre che ti dedico con affetto:
«Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.»
Giacomo Leopardi
(Cri)
E’ stato semplicemente meraviglioso “leggere” la montagna e i suoi montanari così descritti da “Doris Corsini” che purtroppo non conosco. Apprezziamo tutto ciò che abbiamo intorno e ringraziamo Chicco, Scaruffi e Tiziano per l’arte e il tempo che ci dedicano.
(Fiorella e Gaddo)
Voglio ringraziare Doris Corsini per il bellissimo articolo in cui esalta le bellezze del nostro Appennino e di Ligonchio che, piccolo com’è, se non ho interpretato male, le pare un nido nascosto tra le vette. C’ero anch’io al reading con Silvano, Chicco Salimbeni e Tiziano Bianchi, l’ho trovato veramente divertente e interessante per la novità dello spettacolo. Io come tanti ligonchiesi apprezzo e sostengo l’opera di Silvano, ne ammiro l’estro, la fantasia, lo spirito poetico e, non ultimo, l’attaccamento alle sue radici, al suo casato, al suo paese che cerca di valorizzare in ogni occasione. Così come cerca di valorizzare il dialetto e le parole dialettali, come abbiamo ascoltato anche al reading, tradotte pari pari in italiano diventano efficacissime nel contesto della narrazione. Importante anche l’attenzione che dedica alle persone a quelle che conosce da sempre, persone schiette e genuine che hanno una loro particolare filosofia di vita e comunque una cultura da trasmettere. Un altro grandissimo e doveroso grazie va alle ragazze Sara, Marika e Annalisa che, pur tra mille difficoltà, con tanta dedizione, tengono vivo il nostro teatro e hanno riaperto la biblioteca che non so se è “bombonierosa”, come dice la Corsini, ma è decisamente accogliente.
(Ester Nuccini)