Nel 2015 hanno chiuso circa 100 stalle solo in Emilia-Romagna, oltre il 60% delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti.
È quanto ribadisce Coldiretti Reggio Emilia con lo scoppio della “guerra del latte” iniziata con l’assedio a Ospedaletto Lodigiano (Lodi) di migliaia di allevatori provenienti da tutte le regioni, di cui centinaia provenienti anche da Reggio Emilia, con trattori e mucche al centro di distribuzione dei prodotti della multinazionale francese Lactalis che detiene i grandi marchi nazionali Parmalat, Galbani, Invernizzi e Locatelli.
«A Reggio Emilia sono sopravvissute poco più di mille stalle – precisa Assuero Zampini, direttore della Coldiretti di Reggio Emilia – in Emilia-Romagna sono sopravvissute a fatica appena 3.700 stalle, molte delle quali rischiano di scomparire nei prossimi mesi perché gli allevatori non riescono a coprire neanche i costi per dare da mangiare agli animali».
«Con la ‘guerra del latte’ si mette sotto accusa – continua Zampini – il fatto di sottopagare il latte italiano al di sotto dei costi di produzione con le importazioni dall’estero che vengono 'spacciate' come made in Italy per la mancanza di norme trasparenti sull’etichettatura».
«L’industria - sottolinea Vito Amendolara, delegato confederale della Coldiretti di Reggio Emilia - ha deciso unilateralmente di tagliare i compensi per il latte alla stalla di oltre il 20% rispetto allo scorso anno. Il prezzo del latte riconosciuto oggi agli allevatori è inferiore a quello di venti anni fa e vengono proposti accordi capestro che fanno riferimento all'indice medio nazionale della Germania, con una manovra speculativa del tutto ingiustificata e quindi inaccettabile perché la produzione italiana di latte si distingue per le elevate caratteristiche qualitative».
"La vita o la morte di molte stalle sopravvissute fino ad ora in Italia – denuncia Coldiretti Reggio Emilia – dipende da almeno 5 centesimi per litro di latte che si ricavano dalla differenza tra i costi medi di produzione pari a 38-41 centesimi e i compensi riconosciuti scesi a 34 centesimi al litro".
"Gli allevatori perciò chiedono un adeguamento dei compensi in esecuzione della legge 91 del luglio 2015 che – sottolinea Coldiretti – impone che il prezzo del latte alla stalla riconosciuto agli allevatori venga commisurato ai costi medi di produzione che in Italia variano da 38 a 41 centesimi al litro".
"Lo studio sui costi di produzione del latte bovino elaborato ufficialmente dal Ministero delle Politiche Agricole in esecuzione della legge 91 del luglio 2015 – continua Coldiretti – evidenzia che nel giugno 2015 in Lombardia (regione di riferimento per il prezzo del latte) i costi medi di produzione oscillano da un minimo di 38 centesimi al litro per aziende grandissime di oltre 200 capi di pianura, a prevalente manodopera salariata, con destinazione a formaggi Dop, fino ad un massimo di 60 centesimi al litro per aziende piccole con 20-50 capi di montagna/collina, a prevalente manodopera familiare, con destinazione del latte a formaggi Dop".
«Siamo di fronte ad una palese violazione delle norme – ha ribadito Amendolara – poiché si tratta di un valore inferiore in media di almeno 5 centesimi rispetto ai costi di produzione e che, non coprendo neanche le spese variabili per l’alimentazione, il lavoro e l’energia, spinge all’abbandono delle campagne e delle montagne con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla qualità dei prodotti che giungono sulle tavole».
«A rischio – conclude Zampini – c’è un settore che rappresenta una voce fondamentale dell’agricoltura provinciale; Reggio Emilia rappresenta 1/3 del valore del latte dell’Emilia-Romagna».
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- Coldiretti: “Intesa raggiunta con la multinazionale Lactalis sul prezzo del latte alla stalla” (26 novembre 2015)
Pensiamoci ogni volta che facciamo la spesa. Scegliere è possibile.
(Sincero Bresciani)
In provincia di Piacenza ho visto un dispenser di latte e prodotti del latte. Il latte viene venduto a 1 euro al litro. Non si capisce perchè non si possano avere degli erogatori simili in tutta Italia. In alcune città li hanno tolti. Chissà perchè. Eppure il prodotto è valido, è fresco, prodotto in loco e pure buono. Penso che serva anche una nuova gestione della vendita da parte dei produttori che dovrebbero togliersi dalla grande distribuzione, se questa non riesce a venire incontro alle loro esigenze. Discorso che vale in genere per tutti i prodotti agricoli. Cordiali saluti e buon lavoro.
(Sergio)
Probabilmente li hanno tolti perché non redditizi… il problema è che il consumatore preferisce comperare un latte a lunga conservazione ma di incerta provenienza al supermercato piuttosto che uno di eccellente qualità prodotto direttamente nel territorio. E purtroppo è così non solo per quanto riguarda il latte.
(Luca Z.)
Rispondo al signor Luca Z. Quelli che hanno chiuso, per quanto ne so, sono dovuti o a vandalismi (!) o a problemi burocratici. Confermo che i dispenser del latte che ho avuto occasione di usare sono ottimi prodotti. Quello di Piacenza è da manuale e rende bene alla stalla. Cordiali saluti.
(Sergio)