Riceviamo e pubblichiamo.
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Mi è da poco capitato di prendere parte, da visitatore, ad una rassegna agricola, anche se il termine può non essere del tutto esatto, tenutasi in una bella località collinare di una provincia emiliana.
La fattoria che ospitava l’evento mi è sembrata essere di quelle “polivalenti”, con allevamento di bestiame e coltivazioni ortofrutticole, e pure con finalità “didattiche”, come oggi si dice, ma non ho elementi per poterlo affermare con certezza.
All’interno dei padiglioni erano posti “in vetrina” e anche in vendita prodotti alimentari vari, caseari, salumieri, vitivinicoli e orticoli, provenienti verosimilmente anche da altre aziende, forse tra loro associate, ed erano altresì esposte diverse varietà vegetali autoctone, anche di vecchia origine, mentre all’esterno si potevano ammirare esemplari di antiche razze animali, qualcuna a rischio estinzione, che si vogliono salvaguardare o recuperare in funzione della biodiversità.
Ma al di là di questi aspetti organizzativi, peraltro nient’affatto secondari essendo alla base della iniziativa, ciò che mi ha favorevolmente e inaspettatamente colpito è stata la grande partecipazione, ossia una ragguardevole affluenza di pubblico di ogni età, e all’apparenza molto interessato, sia alle piante che agli animali. Ho visto ad esempio una coppia di giovani che mi sembrava fortemente intenzionata ad impiantare un piccolo allevamento ovino, ma non è stato l’unico caso del genere.
Per converso, durante il tragitto di andata e ritorno ho riscontrato che anche in quella zona diverse stalle, anche di costruzione abbastanza recente, non sono più in attività e v’è un buon numero di campi incolti, il che contrasta, e pare essere in antitesi, con la folta presenza alla rassegna, e con l’interesse che ho colto tra i tanti convenuti, ma questa “contraddizione” mi ha nondimeno ispirato un cauto ottimismo quanto all’uso del territorio ed al futuro della nostra agricoltura, della quale si va riscoprendo l’importantissimo ruolo.
Salvo le normali ed auspicabili eccezioni, sarà piuttosto improbabile, per un insieme di intuibili motivi, che lì come altrove, vale a dire negli ambiti collinari e montani, si possa rivedere a breve un generalizzato rifiorire dell’agricoltura, specie sui terreni più scomodi ed impervi, ma l’attenzione che viene oggi rivolta alla terra e ai suoi prodotti, e più complessivamente al “mondo rurale”, come anche tale recente circostanza ha fatto constatare, può essere di stimolo e incoraggiamento per quei giovani o per quanti ne sono attratti e vorrebbero dedicarvisi.
C’è in ogni caso da sperare che questo clima di “considerazione” nei confronti della terra contagi un po’ tutti e possa quantomeno evitare “le montagne di rifiuti lungo gli argini e le canaline di scolo piene di ogni cosa”, come lamenta l’Autrice di un articolo pubblicato su RedAcon proprio oggi, 7 settembre, e induca ad essere meno insofferente agli “odori di campagna “chi storce il naso” quando passa accanto ad un allevamento o ad un campo su cui è stato distribuito il letame prima dell’aratura o di altre pratiche agronomiche.
(P.B.)
Bel resoconto, “P.B.”. Purtroppo non credo sia realistico immaginare una realtà agricola diversa da quella attuale. Sia per il legame con il Parmigiano Reggiano, che di fatto vincola la tipologia della produzione, sia perché le continue evoluzioni della PAC, sommate alla miopia della politica, ed in parte a quella delle associazioni di categoria, non hanno fatto altro che strangolare l’agricoltura. Poi è chiaro, stiamo parlando di un mestiere che è una vocazione, il futuro è da conquistare a denti stretti. Ma un po di follia ci vuole… Ciao, “P.B.”.
(Serb)
Dopo il massiccio esodo dalle campagne, che ha preso avvio da tempo e non si è ancora arrestato – come confermano i dati che abbiamo letto oggi sulla stampa locale, quanto a stalle ed aziende rurali che hanno “chiuso i battenti” in terra reggiana – un ritorno all’agricoltura, al di là dei casi isolati, richiede probabilmente una concomitanza di fattori. Posso senz’altro sbagliarmi, ma tra questi fattori, oltre naturalmente alla passione e alla “vocazione”, che vanno messe dall’interessato, io vedo anche il “riconoscimento sociale”, che può esprimersi in varie forme, tra cui quella di cui dicevo, e che può funzionare da incentivo per un’attività che richiede notoriamente impegno e dedizione, quand’anche si fosse già proprietari dei terreni e non si dovessero affrontare grosse spese di avvio. La tipologia produttiva, ossia l’aspetto sollevato da “Serb”, è argomento sicuramente importante ed è innegabile che quella delle nostre parti sia tradizionalmente legata al Parmigiano Reggiano, ma il presupposto resta comunque quello che abbia a prender piede un rinnovato interesse per il “lavoro della terra, posto che in sua assenza sfuma un poco e inevitabilmente anche il discorso sulla tipologia produttiva.
(P.B.)
Credo che l’interesse, anche nel mondo dei giovani, ci sia. Anche per forme innovative di imprenditoria agricola, magari non allineate con la tradizione. Il problema è molto pratico e crudo: “ho tutti i soldi per avviare l’attività?”; “riesco a mantenermi/mantenere la mia famiglia?” Come la vede, “P.B.”? Condivide?
(Serb)
Vi sono giovani, o persone ancora nel fiore degli anni, che hanno alle spalle l’azienda agricola della propria famiglia, la cui attività è andata a finire perché non vi è stato il ricambio generazionale, forse perché a chi poteva subentrare è mancata allora la giusta motivazione per continuare, pur se non erano privi di interesse per la “terra”. Se almeno loro, o alcuni di loro, ritrovassero questa motivazione, spinti anche da un nuovo “clima” nel comune sentire, e riprendessero dunque in mano l’azienda, il che potrebbe forse avvenire senza dover affrontare grandi spese, io credo che potrebbero fare da “traino” anche per chi deve sobbarcarsi costi maggiori e può essere comprensibilmente un po’ più indeciso. A quel punto, però, dovrebbero poi essere le varie istituzioni a trovare il modo di dar loro un sostegno economico, il che può essere fatto in varie forme, visto che tutti stanno giustamente elogiando le molteplici funzioni dell’agricoltura, la quale va pertanto aiutata a “ripartire” o a continuare per quella parte che non ha finora desistito (questo è il mio modesto parere, signor “Serb”, senza naturalmente avere la presunzione di essere nel giusto).
(P.B.)
Condivido. La motivazione dei giovani svanisce di fronte ai sacrifici conditi con il poco ritorno economico. In sostanza, il suo modo di vedere le cose secondo me è giusto, spero che in un futuro non troppo lontano si avveri. Lo stimolo al ritorno nei campi deve essere di tipo economico e progettuale, la passione non basta per sfamare i figli. Cordiali saluti.
(Serb)