L’agricoltura è il presidio fondamentale del territorio ed il “lavoro dell’agricoltore è governo quotidiano del territorio, che si farebbe anche meglio se a questi veri e propri custodi fosse riconosciuto un ruolo di protagonisti in questo presidio, cosa che invece non trova riscontro nella cultura corrente e nella prevalenza di subculture politico-burocratiche”. E’ la considerazione di fondo con la quale il presidente nazionale Cia Secondo Scanavino ha concluso l’assemblea annuale dell’associazione reggiana, tenuta stamane presso la sede di Dinamica Reggio Emilia.
Territorio, uso e consumo, era il tema della mattinata, declinato sotto vari aspetti, sotto la regia del presidente provinciale Cia Antenore Cervi. Un territorio che ha conosciuto dagli anni '50 del secolo scorso ad oggi un profondo degrado, con una massiccia sottrazione di suolo all’agricoltura per destinarlo a fini più proficui sul piano monetario immediato ma con un corollario di problemi che nel tempo presentano il conto; conto che è salato!
I dati del rapporto Ispra sul "consumo" di suolo – sintetizzati da Roberta Rivi della Cia reggiana – danno il senso di una progressione distruttiva che sembra inarrestabile: se negli anni ’50 il suolo consumato (nel senso di direttamente impermeabilizzato) era al 2,9%, nel 2014 – dice il rapporto – è stato toccato il 7%. Tra le regioni l’Emilia-Romagna si colloca appena sopra la media con il 7,3%, non fosse che è prima per rischio idraulico, avendo ben 100mila ettari di territorio su cui pende questa spada di Damocle. La provincia di Reggio, poi, si colloca dietro la sola Rimini, con un consumo pari al 9,6%. Tra i comuni della provincia reggiana ci sono casi eclatanti: se infatti Reggio città fa segnare un robusto 18%, sopra ci sono Casalgrande al 24,6, Rubiera al 21,1 e Cavriago al 20,9. In generale, il consumo è molto intenso nei comuni della pianura e pedecollina, scende sotto le medie nazionali in montagna, con il crinale che resta quasi vergine (Collagna 1,6, Ligonchio 1,7). Ma quella fatta dalla Rivi non è una classifica per distinguere buoni e cattivi: “I fattori che hanno favorito questa proliferazione edificatoria dipendono da un insieme di fenomeni economici, politici e sociali connessi alla scarsa (o, paradossalmente, pletorica) regolamentazione urbanistica, all’elevata discrepanza tra la redditività dell’edilizia e quella agricola, oltre ad aspetti socio-culturali”, che hanno considerato in sostanza il territorio agricolo come riserva disponibile per l’espansione urbana, che però non ha più alcuna relazione con l’andamento demografico.
Però nell’ultimo decennio sono cambiate convenienze e sensibilità, quindi il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi ha potuto portare, con il proprio saluto, l’esempio della “variante in riduzione” al Psc del comune capoluogo, che sta dando risultati assai superiori alle aspettative nella riclassificazione ad agricoli di terreni già dichiarati edificabili. E per il prossimo futuro ha prospettato un progetto pilota che nasca da un accordo di programma per la gestione degli spazi verdi urbani e periurbani.
Un importante contributo è poi venuto dall’arch. Ugo Baldini, presidente della Caire urbanistica (Coop architetti ed ingegneri Reggio Emilia), una società con una consolidata esperienza nello studio del territorio rurale (ultima fatica l’aggiornamento dell’Atlante nazionale del territorio rurale, eseguita per conto del Ministero). Da Baldini sono venute utili indicazioni sulle strade possibili per mettere un freno ed un rimedio al degrado del territorio, fenomeno che ha quantificato come segue: se nel ’61 il 92% del territorio nazionale e l’83,7% di quello emiliano romagnolo erano governati (ovvero si eseguivano cure colturali e manutenzione da parte degli agricoltori), nel 2010 siamo scesi al 56,7% del territorio nazionale ed al 61,5% di quello regionale. Un degrado impressionante che investe particolarmente le zone più disagiate di montagna, cui si può cercare rimedio ripristinando il "governo" del territorio con le pratiche adeguate, attraverso accordi con gli agricoltori ancora presenti su quei territori, o con cooperative sociali e di comunità.
Infine un compito importante lo ha la politica: che deve rivedere i modi di produrre e di fare economia, precisando i rapporti tra bisogni, risorse ed ambiente. Un contesto nel quale l’agricoltura riacquisterà protagonismo e maggiori priorità.
Mi auguro che il nuovo Comune Ventoso e l’insieme delle istituzioni sappiano cogliere queste fondamentali indicazioni.
(Giorgio Tegani)
Tutto giusto, bisogna però tenere presente “i lacci” che rischiano di deprimere il settore, come l’avanzare ormai maniacale dell’HACCP (quando poi alimentiamo le vacche con mangimi contenenti OGM), animal welfare o le assurde norme che costringono il non agricoltore professionale ad una via crucis normativa per dotarsi di un trattore. Il discorso Parmigiano Reggiano lo lasciamo da parte; solo piccoli esempi che inevitabilmente fanno passare la voglia di prendersi cura della terra anche a chi, magari non per professione, lo farebbe comunque volentieri.
(Serb)
“…quindi il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi ha potuto portare, con il proprio saluto, l’esempio della ‘variante in riduzione’ al Psc del comune capoluogo, che sta dando risultati assai superiori alle aspettative nella riclassificazione ad agricoli di terreni già dichiarati edificabili…”. Semplicemente risibile: quando il mercato è privo di domanda (in questo caso di terreni edificabili) e la tassazione è alle stelle declassificare i terreni vuol dire fare pagare meno Imu. Non troverà opposizione ma gaudio. Vi piace vincere facile, eh!
(Ellebi)
P.S. – Qualche anno fa sarebbe stato più utile, si sarebbe evitato il sacco di Reggio, ma la rendita fondiaria è un brutto cliente…
Gli agricoltori sono stati sempre a presidio ed a salvaguardia del territorio. Man mano che dalle campagne costoro sono andati in città alla ricerca quasi sempre di assurde chimere, il territorio si è andato gradualmente degradando. Un intervento da parte delle competenti autorità in favore degli agricoltori rimasti sicuramente incoraggerebbe altri a tornare e riprendere in modi aggiornati l’attività agricola. E’ ora di dare il giusto valore ai contadini che procurano il cibo quotidiano a tutti. La città sta chiudendo, soltanto il ritorno alla terra può dare certezza di un lavoro duraturo e redditizio.
(Bruno Tozzi)
Sull’avvenuto consumo del territorio rurale, in ordine al quale sembrano vedersi in giro non pochi ripensamenti misti talora a “lacrime di coccodrillo”, mi sono fatto più volte la medesima domanda, di fronte appunto a questi “rimorsi”. Mi sono andato cioè chiedendo se in questi decenni, chi si è trovato ad essere un “decisore” o ha avuto comunque un ruolo nel programmare l’utilizzo del territorio, non si sia accorto (andando in giro per l’Europa, cosa che è capitata a molti, e “guardando fuori dal finestrino” come si usa dire, del treno, o dell’auto, ecc.) che vi sono Paesi del vecchio continente in cui, pur senza rinunciare allo sviluppo industriale e all’espansione urbanistica, si è riusciti a salvaguardare fortemente le aree agricole, stando almeno alle distese di campagna che si incontrano nell’attraversarli. Bisognerebbe ovviamente approfondire meglio il discorso, nel senso di non limitarsi soltanto a quanto si percepisce da semplice viaggiatore, ma se detti Paesi sono riusciti veramente a trovare il giusto equilibrio tra le diverse forme di impiego del territorio, valeva forse la pena di provarci anche da noi, visto che il tempo non è mancato per tentare una qualche “inversione di marcia”, prima che si arrivasse a cambiare non poco il volto del Belpaese, e prima di arrivare agli odierni e abbastanza tardivi “rimpianti”.
(P.B.)