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In una limpida giornata di fine inverno mi son trovato a percorrere un buon tratto di Pianura Padana, risalendola anche verso nord, sul lato sinistro del Po, e per tutto il tragitto sono stato accompagnato dall’incessante susseguirsi dei campanili, ben visibili pure in lontananza, e fino all’orizzonte, dal momento che in quella stagione gli alberi sono ancora spogli e lasciano completamente libera la visuale.
Questo gradevole paesaggio mi aveva fatto ricordare alcune scene di un vecchio film, credo degli anni cinquanta, che riprendevano, dall’alto dei primi rilievi alpini, il territorio sottostante, nel quale si scorgevano antichi borghi, o semplici agglomerati di case, ognuno col proprio campanile, il che non mi aveva lasciato indifferente: vuoi per la bellezza e armonia dell’immagine, vuoi pensando che fosse il medesimo scenario incontrato, per tantissimi anni, da quanti scendevano a piedi o a cavallo da quei monti e da quelle valli.
Non era la prima volta che facevo un percorso del genere nella nostra pianura, ma non avevo mai avvertito una presenza così intensa di questi “svettanti” compagni di viaggio, silenziosi ma coinvolgenti, non foss’altro perché, sulle ali della fantasia, possono trasportarti con la mente nel passato, ossia al periodo cui data la loro costruzione, e farti altresì immaginare gli eventi dei quali sono stati partecipi e testimoni.
Senza andare troppo indietro nel tempo, all’epoca della mia fanciullezza il suono amico e rassicurante delle campane era consueto e famigliare, ci svegliava al mattino e, specie nelle zone di campagna, scandiva lo scorrere delle ore, e permetteva di regolarvi i tempi del lavoro, e se la memoria non mi tradisce i loro rintocchi venivano invocati per scongiurare la minaccia di grandine quando imperversava un temporale.
Nel corso dei secoli i campanili hanno spesso orientato il cammino di viandanti e pellegrini, indicando loro la direzione e le distanze; hanno cioè funzionato da riferimento geografico, ma anche da punto di “umano” appoggio, perché ai suoi piedi il viaggiatore ha potuto sempre trovare qualcuno che gli fornisse un’informazione, o un po’ di ristoro, e fors’anche di incoraggiamento se ve n’era bisogno.
Viene poi da pensare alle tante volte in cui, nei momenti difficili, le varie comunità si sono riunite sotto il proprio campanile, anche al batter delle sue campane, per cercare soluzione ai problemi, o darsi reciproco conforto; e alla sua ombra molti hanno trovato accoglienza, assistenza, nonché asilo e protezione.
Questo per dire che i campanili, oltre gli aspetti che riguardano il sacro e la spiritualità dei fedeli - e anche al di là dei loro pregi architettonici, che pure stanno ad esprimere la devozione e la bravura di chi li ha fatti sorgere - sono parte viva della storia e della identità di questo Paese, anche con tratti fortemente “civici” a fianco della prioritaria valenza religiosa.
Oggi non sono poche le canoniche rimaste vuote, soprattutto nelle zone di montagna, ma le nostre vecchie e suggestive chiese, con annesse torri campanarie, non hanno perso il loro fascino, e possono ancora regalarci un’emozione, fors'anche a chi si dichiara non credente, tanto che in un recente convegno sul futuro del nostro Appennino qualcuno ha parlato di “turismo religioso”, a dimostrare la preziosità e l’attrazione di questi luoghi; ma il pensiero corre inevitabilmente ai tempi in cui attorno ai campanili “brulicava” la vita.
(P.B., 2.6.2015)