Home Cronaca “La risposta al terrorismo? La necessità di un incontro”

“La risposta al terrorismo? La necessità di un incontro”

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Stiamo attraversando una congiuntura storica in cui la manifestazione di Tunisi (marcia contro il terrorismo nel 59° anniversario della indipendenza) assume un significato che va ben oltre la denuncia puntuale. L'attentato al Museo del Bardo, infatti, si concatena ad altre azioni orribili e cruente, che in diversi luoghi dell'area sud-orientale, nel breve giro di un mese, hanno fatto scempio della vita e dei valori umani: in Iraq, a Mosul – l'antica Nìnive – statue inestimabili sono state fatte a pezzi; a Lahore, in Pakistan, la furia degli attentatori ha colpito i fedeli di due chiese cristiane; a Sanaa, nello Yemen, un attacco devastante ha fatto strage di musulmani sciiti, raccolti in preghiera in due moschee della città.

Lungo questa catena di morte e distruzione, i fatti di Tunisi trovano un rilievo simbolico. Il teatro della strage – benché fortuito: pare infatti che gli attentatori avessero al principio individuato il bersaglio del Parlamento, dove quello stesso giorno di votava una legge sul terrorismo – è uno dei luoghi più significativi per la storia culturale del Mediterraneo: esso raccoglie opere straordinarie dell'arte cartaginese, greca e romana. Ebbene, proprio in quel luogo ventun persone di origine e religione diversa, sia cristiani che musulmani, sono cadute insieme sotto i colpi di un odio insensato. Come il Museo del Bardo segna l'incrocio di itinerari, in cui testimonianze di popoli lontani creano un incontro e si legano fra loro, così queste vittime innocenti con il loro ultimo gesto affermano una volontà di condivisione. Erano giunte in quel luogo per contemplare la bellezza di un'eredità comune, al cui cospetto si attenuano le differenze e risaltano le affinità.

Desideriamo interpretare quanto è accaduto a Tunisi proprio in questo senso, per cercare di volgere uno sguardo nuovo alla nostra stessa situazione. Talvolta infatti, in risposta alle azioni scellerate dei gruppi terroristici, assistiamo a condanne indiscriminate, che investono senza appello e senza distinzione tutta la cultura islamica. In tal modo però, ci pare si abbandoni l'obiettivo di convivere pacificamente: laddove, soprattutto nelle scuole del nostro territorio, la compresenza di bambini e ragazzi di origine origine diversa afferma ogni giorno – come le vittime al Museo del Bardo – la necessità di un incontro.

Tanto più forte allora, in questo delicato momento e nei nostri paesi, risuona l'appello del Presidente Mattarella a una risposta dignitosa. A un quotidiano francese egli ha infatti consegnato l'esortazione a «lanciare un Patto di civiltà per contrastare le campagne d'odio e di indottrinamento». L'auspicio è che anche noi sappiamo, con semplicità e coerenza, accogliere questo appello e non dimenticare.

(Robertino Ugolotti)

 

2 COMMENTS

  1. Mi permetto di dissentire, Robertino. Credo che non sia compito di noi occidentali risolvere i problemi islamici dell’area medio e nord-orientale. Non in prima analisi, comunque. Il problema è innanzitutto religioso tra sunniti e sciiti, tra integralisti e islamici moderati, tra piccoli e spocchiosi capibanda che, soprattutto in Iraq e in Libia, cercano di mantenere quel poco di potere che si sono conquistati nel caos creato da noi occidentali con interventi bellici non richiesti e sicuramente disastrosi. Dove gli occidentali si sono voluti intromettere nelle “beghe” orientali, e lo hanno sempre fatto solo per interesse economico, hanno sempre creato caos. Io non credo assolutamente nell’integrazione forzata di culture e mentalità diverse. Non credo che l’integrazione sia la panacea di tutti i mali di convivenza multiculturale. Le periferie francesi e tedesche ne sono un lapalissiano esempio. Credo innanzitutto che il problema integralismo islamico vada affrontato e risolto dagli stessi islamici o da coloro che ritengono l’Islam una cosa diversa da quello che propugnano Isis e Al Quaeda, agire come ha fatto il re di Giordania e come ha fatto l’Egitto sono l’unica soluzione. Questi integralisti vanno eliminati sul posto proprio da coloro che vogliono difendere il vero Islam. Ogni intromissione occidentale verrebbe sempre interpretata, anche dagli islamici moderati, come una intromissione dei nuovi crociati o come una scusa per rivendicare una nuova egemonia economica su quei territori fonte di petrolio. Tu, Robertino, fai lo sbaglio che fanno tutti gli occidentali, in buona fede, cioè credono di risolvere i problemi mediorientali e africani con la logica occidentale. Credete di poter inculcare la democrazia e l’ideologia occidentale in paesi che vivono e ragionano in maniera totalmente diversa dalla nostra. Il problema islamismo integralista va risolto da chi professa l’Islam moderato. Sono loro i primi ad avere interesse a farlo, ma essi stessi sono anche molto furbi nel non intervenire, perché sanno che ci sarà sempre un occidentale, che si erge a paladino della democrazia mondiale, che vorrà risolvergli il problema al posto loro.

    (Fabio Mammi)

    • Firma - fabiomammi
  2. Condivisione piena, totale, delle idee del signor Mammi. Le reinterpreto dal mio punto di vista: più amore per l’essere occidentali, più distacco verso la teoria della multiculturalità. Conoscendoli da vicino, la maggior parte dei musulmani adulti se ne stanno per conto proprio e va di lusso se riescono a mantenere un lavoro, a costruirsi la propria famiglia, nel rispetto del Paese (cioè l’Italia) che li ha accolti. Ma che non è disposto ad accettare pretese non consone al vivere civile occidentale. Non mi va di aprirmi al confronto con altre religioni. Devo ancora imparare a vivere pienamente la mia. Inoltre suggerisco a chi parla di apertura un rapido percorso psicologico di rafforzamento della propria identità, nel senso, cioè, di stare sereni, sicuri, in pace con se stessi e il mondo. Non siamo noi ad avere problemi di relazione con l’altro. Sono i fanatici a crearli al mondo intero dopo qualche ritiro spirituale full immersion in una delle tante moschee, le cui preghiere resteranno a noi sconosciute per via di una lingua (l’arabo) aspra e incomprensibile.

    (Una cittadina)

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