La stagione Teatrale del Bismantova 2014 - 2015 dedicata agli spettacoli in scena si chiude venerdì 27 febbraio con l’esibizione di Andrea Menozzi, diretto da Francesco Marchesi.
La storia è quella di Plato, un uomo che vive in solitudine circondato solo e soltanto da oggetti, i quali prenderanno, in un certo senso, forma e vita, raccontando ciò che Plato non riesce a raccontare di sé.
E così Andrea e Francesco, con la voglia di condividere qualcosa, che fosse un’idea, hanno trasportato questo qualcosa, che era un’idea, la loro idea di questo personaggio, dalla mente al palco.
Plato è un uomo pieno di oggetti e ricordi, possono gli oggetti raccontare di una persona e del suo modo di essere?
A: Non basta mettere degli oggetti sopra ad un palco perché questi raccontino un personaggio. Vanno fatti vivere, va donato loro un senso, che può essere soggettivo, e che possa realmente parlare di un personaggio e per un personaggio. Soprattutto in questo spettacolo gli oggetti vestono una parte fondamentale, e vengono trasformati a seconda di quello che Plato vede in quegli arnesi. Sono un modo di trasmettere ciò che lui è.
F: Credo sia anche grazie agli oggetti che vengono fatti vivere che in un certo senso le persone si ritrovano e si raccontano, perché, paradossalmente, un oggetto vivo può raccontare molto del suo e del tuo passato.
Cosa può spingere una persona a vivere in solitudine?
A: Credo che la solitudine sia una reazione particolare alla vita. Si può scegliere di vivere in solitudine, ma spesso, quello che accade, è che una persona venga isolata. A volte ci si auto-isola, inconsapevolmente. E penso che una persona isolata debba essere sostenuta, pubblicamente.
F: Plato da sempre è isolato. Ha sempre vissuto in solitudine. Un po’ per scelta, un po’ no. In un qualche modo mi verrebbe da dire che personifica lo specchio di tutte le nostre paure, di tutte le nostre intimità estremizzate.
Cosa può, invece, spingere una persona ad uscire dalla propria solitudine?
A: È la natura dell’uomo, animale sociale, a spingerlo verso il contatto, verso l’altro. Verso il confronto, la possibilità di uscire dal proprio contesto per scoprire e scoprirsi, perché, fondamentalmente, da soli non siamo nulla.
Come è nato lo spettacolo? E quanto ha giocato a vostro favore la complicità che c’è fra voi?
F: Lo spettacolo, Plato, è nato e si è costruito a quattro mani. Sentivamo l’esigenza di ispezionare questo concetto della solitudine, grazie a questo personaggio che poco a poco arriva ad esplorare il genere umano, di cui fa parte, più o meno consapevolmente, e a conoscersi meglio. Ed è per questo che credo sia sopravvissuto, grazie ad un’evoluzione costruttiva. Il confronto, il contatto con gli altri, i contrasti, le affinità: tutto questo porta a Plato, ma anche ad ognuno di noi, la consapevolezza di non essere soli, per l’appunto.
Curare la regia è stato bellissimo perché Andrea è un lavoratore infaticabile, se fosse per lui si starebbe sul palco intere giornate senza pause, e questo è motivo d’orgoglio per un regista.
A: Forse la difficoltà maggiore è stata trovare un punto di distacco fra ciò che siamo noi, come persone, e ciò che volevamo portare in scena. A volte c’è bisogno di un punto di vista esterno, di qualcuno che guardi il tuo lavoro con razionalità e oggettività. È per questo che ci siamo affidati a chi potesse dirci la sua con le appropriate competenze. Siamo contenti del fatto che la nostre idee siano state catalizzate nella maniera più giusta.
Li saluto, con la certezza che i loro pensieri che diventano arte, e la loro voglia di scoprire e di scoprirsi, li porterà lontano.
Buona fortuna Andrea, buona fortuna Francesco.
Inizierà mercoledì 11 marzo, con il concerto per pianoforte di Corrado Greco, Musica immaginaria, la mini-stagione del Teatro Bismantova dedicata alla musica.
Recensione
Un uomo e i suoi oggetti, un uomo e se stesso. Plato (Andra Menozzi) e i suoi abiti buffi ti strappano subito un sorriso e un senso di compassione, come se il personaggio sul palco fosse quel lato di te che hai sempre voluto nascondere, un po’ per vergogna e un po’ per paura.
Lui ci gioca, con i suoi oggetti, con le sue biglie di vetro, il suo giradischi, e la sua donna, che non è una donna ma una specie di robot composta da lampade costruita da lui. Ed è proprio questo che fa Plato, costruire, ricostruire, modellare e rimodellare. Per riordinare e riordinarsi a modo suo. Cercando il senso del proprio tempo, il suo, quello che mette da parte da una vita, in ogni gesto, in ogni biglia che rotola sul pavimento, quando cade, se cade.
Plato e le parole che non dice, che non pronuncia, che non sa. Plato e tutte quelle piccole luci nella sua soffitta che ha adibito a regno di se stesso. Lui che è capace di divertirsi come un bambino mai cresciuto abbastanza, trasformando quel senso di solitudine in tragicomicità, trovando il coraggio, poi, di scavalcare i propri muri e di oltrepassare quel confine che lo separa dal resto del mondo, portandosi con sé una piccola lucina per illuminare tutto, per illuminare il buio, ed ogni passo, per quanto piccolo possa essere, risulta un’ottima scusa per sorprendersi di qualcosa che pensavamo diverso ma che in fondo ci è molto simile.
Uno spettacolo che coinvolge ogni spettatore, perché è proprio nel pubblico che Plato trova i suoi primi veri amici, grazie soprattutto all’idea geniale di Menozzi e del regista Marchesi, di far diventare il pubblico cooprotagonista di questa storia, fatta di luci e ombre, di cose e oggetti che hanno il loro spazio e il loro tempo.
È questo gioco di equilibri che rende lo spettacolo appropriato e perfetto per la chiusura di una splendida e ricca stagione del Teatro Bismantova.
Complimenti.
(Gabriele Agostinelli)
Spettacolo bellissimo e geniale! Bravi.
(Mb)