Il 17 Gennaio era speciale per i contadini di un tempo, quasi come la Sagra. Ricorreva la festa di Sant’Antonio abate, il protettore degli animali domestici. Per l’occasione la stalla veniva ripulita per bene, agli animali si forniva un poco più di cibo e possibilmente migliore del solito, si rinnovava la lettiera e si accendeva un cero davanti all’immagine del santo che, immancabilmente, era presente in ogni stalla. In molte parrocchie c’era anche la benedizione solenne degli animali.
Come Sant’Antonio sia diventato il protettore degli animali domestici resta un mistero. Si ritiene che il fatto sia da collegare alle tentazione che il santo subì nel deserto: il diavolo gli appariva sotto forma di animali di ogni genere.
Era l’occasione per chiedere scusa agli animali per i tanti sacrifici chiesti loro durante l’anno. Tentativo di rabbonirli? Forse era più un segno di ringraziamento.
Teniamo presente che gli animali erano il vero, l’unico capitale di ogni famiglia. Si curavano di più la stalla e gli attrezzi da lavoro che la casa.
Non manca una nota di colore che cambia data a seconda delle località: a Istria il fatto avviene la notte di Natale, nell’Italia centrale per la Befana, in altre località la notte di S. Antonio abate, come da noi. La leggenda sostiene che gli animali, quella notte, parlano tra di loro.
La notte di Befana nella stalla
parla l’asino, il bove e la cavalla.
La nòte de Nadàl
tùte le bestie sà parlar.
Ma le bestie cosa si saranno mai dette? Qualcuno le ha volute equiparare al mondo umano attribuendo loro un esame critico del comportamento dei loro padroni. Ma forse loro sognavano soltanto pasti più abbondanti e minor fatica!
Sant’Antonio abate in dialetto veniva definito anche Sant’Antùni dal bublîn, con chiaro riferimento all’iconografia del santo, che lo ritrae quasi sempre con un campanello appeso al vincastro, che spesso è un bubbolo. Il bubbolo è un campanellino a forma sferica, con due fori uniti da un taglio. All’interno del bubbolo era alloggiata una piccola sfera o un sassolino o il seme secco di qualche frutto. Col movimento di questo oggetto si produceva il suono.
Pensando ai tempi grami di una volta anche Sant’Antonio abate veniva invocato soprattutto contro la miseria nera. Una strofetta ricorda una mamma rimasta vedova con quattro figli piccoli:
Sant’Antùni da Bulùgna
fê guarîr sta pôvra dùna
cun sti quàter ragasèt,
Sant’Antùni benedèt!
[Sant’Antonio da Bologna, fate guarire questa povera donna con quei quattro figli, Sant’Antonio benedetto].
Il riferimento a Bologna probabilmente è dovuto alla confusione con la chiesa di Sant’Antonio da Padova, famosa in quella città, dove da oltre mezzo secolo si organizza lo zecchino d’oro.
In un’altra strofetta si chiede l’intercessione del santo per avere cibo:
Sant’Antùni dal bublîn,
chì a n’ gh’è pân e chì a n’ gh’è vîn,
a n’ gh’è ‘ngùta int al granâr.
Sant’Antùni, cum’èmia da fâr?
[Sant’Antonio dal campanellino, qui non c’è pane, qui non c’è vino, non c’è nulla nel granaio. Sant’Antonio come dobbiamo fare?]
Ma poi, a stemperare un tantino la disperazione, salta fuori il solito buontempone che cambia le richieste:
… mtîs al vîn int al tinèl
e ‘l giudìsi int al servèl.
[…metteteci il vino nel tino e il giudizio nel cervello].
“Par S. Antone un ura tonda can ghin manca ne insem ne in fonda“. Un altro detto antico che scandiva l’allungarsi delle giornate.
(Anna)