Riceviamo e pubblichiamo.
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Ho pensato a come cominciare questa lettera aperta, non so nemmeno chi sarà il destinatario ma quello che so è il dolore che sto provando; da qui la necessità di scrivere. La prima domanda che molti si faranno leggendomi sarà di che religione sono, se credo o non credo, ma io ritengo che ogni uomo e ogni donna debba trovare la propria strada per raggiungere il cielo, così io mi sento un viandante alla ricerca del mio sentiero. Non so se lo troverò, ma già il percorso sarà valso qualcosa, o almeno vale per me.
Sono riflessioni, le mie, di una persona che vive tra due culture e tra due religioni; le persone che ho amato e che amo di più al mondo sono di due religioni diverse, eppure nell’amore ogni differenza viene appunto accolta e amata e in questo momento, in cui l’odio e il suo gelido respiro li senti sul viso, tanto sono vicini, io voglio scrivere di amore. Ecco: la mia è una lettera d’amore.
Non chiedo ai musulmani di dissociarsi, perchè una persona dovrebbe dissociarsi da una cosa o da un gesto a cui non si è mai associato; inutile e sciocco pretenderlo.
Il mio, però, è un invito alla riflessione perché, anche se molto evocativo, il messaggio "not in my name" non è sufficiente. Ancora più deleterio è rispondere alle critiche con post o frasi che ribadiscono l’orgoglio di essere musulmani e di amare il profeta. Legittima e comprensibile questa sorta di autodifesa, ma chi usa la propria fede come "bandiera" rischia, senza accorgersene (o forse se ne accorge e allora bisogna farsi altre domande) di legittimare proprio chi usa il nome dell’ Islam anche per altri scopi. Si è scelto di fare dell’ Islam una religione "politica", sociale, morale e si impone in ogni aspetto della vita; si priva l’Islam del valore spirituale per incentrare il tutto su un’ossequiosa osservanza di regole e codicilli; si impone nella vita sociale, nella quotidianità, nel rapporto con gli altri e addirittura si attua un’imposizione nella coscienza, fino ad arrivare a pensare ad uno "stato" con regole religiose; ed ecco uno dei problemi.
Troppi credenti hanno dimenticato la propria coscienza, hanno dimenticato il grande dono del "non c’è costrizione nella religione", hanno dimenticato il cuore, l’amore. Hanno sostituito la coscienza personale con una collettiva. Hanno delegato a imam e muftì la spiegazione delle parole, analizzate, rigirate, vivisezionate e, in tutto questo, si è dimenticato lo spirito, la spiritualità, la coscienza personale che è proprio nella libertà, perchè solo nella scelta personale e non comunitaria ha valore la scelta stessa. Dov’è finito l’Islam dei grandi pensatori, di grandi uomini che bramavano e dispensavano conoscenza, che hanno donato bellezza e saggezza?
Ora si parla di regole, di Halal (lecito) e haram (proibito), di cosa sia giusto indossare, di divieti e di permessi, ma non si parla né si discute di spiritualità, di tolleranza, di amore, di condivisione, di libertà di scegliere il "proprio Islam", ovvero di viverlo secondo la propria coscienza. Si imprigiona la volontà e si ostacola ogni scelta di vita. Perchè ancora non si è riconosciuto alle persone di vivere il loro rapporto individuale con la fede, la propria religione. Privi di libertà si è privi di scelta e i pochi che scelgono di vivere liberamente il proprio credo e la propria spiritualità sono spesso emarginati, giudicati, discriminati, esclusi. Ed ecco che diventano "cattivi credenti", ribelli. O peggio, eretici, quindi non riconosciuti dalla comunità. L’esclusione dalla comunità è una forma di "violenza" e questa "violenza" può essere in individui più fragili una legittimazione, una scusa per una violenza ben più grave.
Il problema non è l’Islam, ma chi ha scelto di farne un’accozzaglia di infinite regole, lo ha reso "una bandiera" per dare a tutti la sicurezza che seguendo le "regole" si è parte di una comunità e quindi accettati, al sicuro, "bravi credenti"; hanno ridotto una fede a qualcosa di misurabile con un righello, togliendo così la fatica e l’onere di dimostrare come individuo la propria fede e la propria umanità.
Basta proclami su quanto si ami il profeta, su quanto si è orgogliosi di essere musulmani: a chi serve? Serve ad Allah, serve al profeta Maometto, o serve piuttosto a sentirsi parte di una comunità e serve a legittimarsi come un "fedele" perchè si teme il giudizio della comunità stessa?
Non si ha bisogno di urlare e brandire la propria religione pubblicamente come fosse un accessorio o peggio una spada; capisco la rabbia di essere sempre guardati con sospetto per colpa di qualche fanatico, comprendo il bisogno di difendersi e difendere quello in cui si crede, ma difendersi dietro a frasi retoriche e forzatamente esibite a cosa serve se non a creare ulteriori divisioni, in un momento in cui occorrono apertura, comprensione, tolleranza e amore. Non servono le parole pompose ma l’esempio.
L’occidente ha molte, moltissime responsabilità e colpe, è pieno di ipocrisie, di pregiudizi. Ha commesso e commetterà errori, ma pensare solo alle colpe degli "altri" senza un’autocritica produrrà che quello che ci attende sarà un futuro pieno di odio e di guerre. Invece dobbiamo pensare a un futuro insieme, ripensarlo insieme o vogliamo davvero lasciare in eredità ai nostri figli un mondo pieno di odio?
Sarò sempre contro chi cerca di far passare l’Islam come una religione pericolosa, contro chi cerca di fomentare odio verso i musulmani, ma credo, proprio perchè ho imparato ad amare l’Islam, che serva una seria e profonda autocritica sul perchè ci sia tanta diffidenza e paura verso questa religione e l’addossare tutta la colpa all’ignoranza, al pregiudizio degli "occidentali", dei "non credenti" o a quei pochi estremisti che falsamente in nome dell’Islam compiono attentati sia solo una parte della verità. Un modo sbrigativo per autoassolversi. Quando si aprirà una vera, seria riflessione e discussione in nome della libertà di scelta, avremo fatto un passo avanti nella battaglia contro quelli che invece fomentano odio e spingono ad uno scontro, da una parte e dall’altra.
Riflessione che deve avvenire anche all’ interno della Oumma (comunità islamica), sulla libertà di coscienza anche sui dogmi della religione; capacità di discernere tra potere politico e il controllo che ne fanno le autorità religiose, pieno riconoscimento non solo del pluralismo religioso ma anche della democrazia e della libertà di critica, di opinione e di satira.
Spero che il senso di questa mia lettera sia vissuto nello spirito giusto e quindi non con un intento polemico ma solo come un invito a riflessioni che ritengo necessarie. Aggiungo che mi sento Charlie. Anche se alcune vignette non mi piacevano e non le apprezzavo, erano comunque una manifestazione di libertà, una libertà che è patrimonio di tutti gli uomini e di tutte le donne; ed è per questo che sono Charlie e lo sarò sempre.
Il mio pensiero, in ultimo, va ad Ahmed Merabet, il poliziotto morto durante l’attacco al giornale. Era lì a difendere il diritto dei giornalisti di Charlie di fare satira anche sul profeta e sulla religione in cui credeva e che amava; e poi voglio ricordare Lassana Bathily, il commesso del supermercato che ha nascosto dei clienti nella cella frigorifera durante l’attacco terrorista. Perchè Ahmed e Lassana hanno capito che non c’è offesa peggiore del sangue di un altro essere umano, perchè versare sangue e portare morte è la peggiore offesa, più di qualsiasi vignetta, battuta, libro possano mai essere pubblicate. Il loro esempio vale più di mille parole, più di mille post di orgoglio esibito, perchè l’umanità non ha colore, etnia, religione, sesso o età: si ha o non si ha. Il mio solo nemico è l’odio. Salam Aleikoum (la pace sia con voi).
(Monja Beneventi)
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Il problema, se così vogliamo dire, è che in Occidente c’è già stato Cesare Beccaria, l’Illuminismo, la Rivoluzione Francese, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Prima di questi eventi, l’eretico e il bestemmiatore erano condannati a morte, cristiani condannati da altri cristiani e tutto questo era normale. Nello Stato Islamico (IS) di recente fondazione mi risulta che il vilipendio di Allah o del Profeta siano puniti con la morte. Non vedo differenze, tranne che nel caso dell’Occidente, dopo qualche secolo, le idee e la sensibilità sono cambiate di molto. Sono cambiate di recente, invece, in Italia, le norme sul vilipendio della religione (nel 2006, per la precisione): i “delitti contro la religione dello Stato” ora si chiamano “delitti contro le confessioni religiose” dove la dizione “confessioni religiose” ha sostituito la precedente “culto cattolico”. Per cui è un reato vilipendere il culto cattolico quanto qualunque altro culto religioso. La questione diventa, a questo punto, se sto esprimendo liberamente il mio pensiero oppure se sto offendendo una confessione religiosa. Per nostra fortuna, al momento, e dopo un evoluzione di un paio di secoli, a decidere è un tribunale, non un kalashnikov.
(Commento firmato)
Come può l’uomo giustificare delle cose così tremende se non con l’unica cosa che possiamo interpretare? In ogni frase che leggiamo o gesto l’interpretazione è importante, e l’animo di chi interpreta lo è ancora di più. La religione non ha colpa, è un problema culturale, di integrazione e sociale. Quando l’uomo dimentica l’amore ha scordato anche l’amore verso qualsiasi Dio in esso li creda. Io sono sicura che il potere e il denaro siamo le reali aspirazioni di chi combatte le “guerre sante”.
(Commento firmato)
Le sue sono parole molto belle. Ricordo che però oggi in Arabia Saudita (e non in uno sperduto e arretrato stato del terzo mondo in balia di fanatici) il blogger saudita Raif Badawi è stato condotto davanti ad una moschea e colpito con 50 frustate di fronte ad una folla in visibilio. Questa scena dovrà ripertersi una volta alla settimana per altre 19 settimane in quanto la sua condanna è di 1000 frustate. Queste frustate saranno probabilmente letali in quanto le ferite in una settimana difficilmente si cicatrizzeranno. La colpa di Badawi è quella di esercitare il diritto alla libertà d’espressione fondando un sito per il pubblico dibattito. Concludo dicendo che L’Arabia Saudita ha condannato l’attentato di Parigi contro il settimanale satirico “Charlie Hebdo”. Anche su questo c’è molto da riflettere.
(Corrado)
Signora Beneventi, condivido molte delle sue parole, anche se spostano completamente il focus del problema da una dimensione politica macro ad un livello esclusivamente di base, di comunità umana, di interiorità personale. Penso che le sue parole non importino nulla a chi è già armato, anzi ammalato, di fanatismo e di kalashnikov, di bambine imbottite di tritolo e mandate in un mercato a fare strage di altri bambini insieme alle loro madri, di coloro che catturano e trasformano in schiave studentesse liceali e donne yazidhe. Non importano per nulla nemmeno a quel brutale personaggio che è l’imam della città di Londra, di cui ho ascoltato i proclami contro l’Occidente e la promessa di dominare presto Roma. Non importano cioè a coloro che si stanno davvero attivando per diffondere l’odio. In questa fase storica è statisticamente provato che così come è ovvio che i musulmani non sono terroristi, la maggior parte dei terroristi attivi sono musulmani. E, per finire, le sue argomentazioni sull’amore sono completamente smentite dalla sua pagina Facebook, ove campeggia un recente cartello in cui dichiara che non sarebbe capace di sgozzare neanche un pollo mentre è perfettamente in grado – riferendosi a Salvini e seguaci – di tirare lo sciacquone del vater. Vede, io sono proprio una di quelle persone che lei identifica con il materiale organico destinato a percorrere la rete fognaria partendo dai nostri servizi igenici. Pertanto anche lei prova disprezzo per il prossimo. Anzi, una parte del suo prossimo, circa il 14% degli italiani, il 25% dei francesi di Marine Le Pen, sono da lei equiparati al materiale organico di cui sopra. Le sue sono solo belle parole non sorrette da coerenza tra tutto il suo pensiero e la sua lettera a Redacon. Complimenti per il tentativo di invitare la Ummah musulmana ad una seria e profonda riflessione ed autocritica. Sono dell’idea che solo in Occidente si possa attuare. Nei paesi arabi susciterebbero indignazione, frustate, lapidazioni, condanne a morte.
(Una cittadina)
Non sono d’accordo. Forse ci sono fatti che fanno meno notizia ma esistono: il fratello di una mia amica francese è stato ucciso non molto tempo fa da un gruppo di estremisti di destra, sostenuto dal partito della sua citata Marie Le Pen, solo perché aveva una parvenza da omosessuale. Quindi noi occidentali non crediamoci tanto bravi, buoni ed emancipati. Nessuno ha il verbo e la ragione: la Germania e buona parte di un’Europa collaborazionista ha ucciso milioni di persone, non dimentichiamolo mai.
(Una cittadina dell’86% degli italiani)
Brava Monja, il tuo dire mi dà speranza, il singolo deve emergere, il confronto, le diversità sono fondamentali per crescere e far crescere. Ottima esistenza a tutti.
(Corrado)
L’amore sicuramente può superare tante frontiere, soprattutto in Occidente. Tuttavia non credo che lei sarebbe riuscita a scrivere e pubblicare questa lettera se fosse stata in certi Paesi veramente integralisti.
(Il fumoso)
La libertà dovrebbe essere reciproca; andate in Arabia o in qualsiasi paese musulmano e rivendicate le cose che vogliono i musulmani qui da noi e poi ne parleremo.
(Gabriella Roffi)