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Radio clandestine nei lager tedeschi: la Radio-Caterina

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  L'ho ritrovata!

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L’anno scolastico 1955-1956 era da poco terminato. Un professore che dal Collegio Internazionale  di Firenze, ove mi trovavo, era stato trasferito ad altra sede mi chiese di portare alcuni pacchi di riviste dal suo studio ad un ripostiglio ove si ammassava la carta da mandare al macero, riviste che coprivano una decina di anni, ma ormai fuori tempo.

Io, curiûš cme n’aršentèla, cominciai a sfogliarne frettolosamente alcune che nella nostra sala di lettura non avevano asilo. Un articolo attirò la mia attenzione: la storia di Radio-Caterina che i prigionieri del lager nazista di Sandbostel erano riusciti a costruire e utilizzare nonostante l’accanimento degli aguzzini contro questi tentativi. “Le perquisizioni della Gestapo si erano sempre succedute con frequenza dannata e venivano sempre eseguite con tanta scrupolosa meticolosità da oltrepassare spesso i limiti della decenza(1).

Staccai l’articolo e lo riposi tra le piccole cose interessanti che conservavo gelosamente. Vi scorgevo la voglia dei detenuti di tenere testa agli aguzzini, di farli fessi per mantenersi vivi attraverso un contatto col mondo esterno, contatto fragile ed aleatorio, ma in grado di captare qualche informazione in barba alle restrizioni del lager. “Quando si tratta di far fesso qualcuno per noi italiani la questione diventa di prestigio nazionale e si vedono cose impensabili”.

 L’ho poi rivisto più volte, il ritaglio, dopo ogni trasloco. C’era ogni volta la voglia di indagare di più su quell’oggetto, ma capitava sempre di trovarmelo tra le mani in momenti in cui qualcosa di molto più urgente da sbrigare prendeva il sopravvento.

Di recente mi è tornato in mente, ma non lo trovo più. Sarà in fondo a qualche scatolone di scartoffie che mi fa: acqua, acqua … focherello, focherello. Poi si è accesa la lampadina. La notizia poteva interessare chissà quante altre persone. E se l’avessero pubblicata su internet? Ed è qui che l’ho rintracciata. Anzi, sorpresa nella sorpresa, di Radio-Caterina (come veniva chiamato quel piccolo prodigio di ingegno e astuzia) ne sono esistite molte (2). Due portano lo tesso nome, la realizzazione è quasi identica, tutte hanno la stessa funzione sociale, (tener viva la fiammella della speranza in quegli ambienti mostruosi), ma ognuna all’insaputa delle altre ed a considerevole distanza. Nelle due Caterine diverso era solo il Detèctor, il mezzo per sintonizzarsi con le frequenze radio. In una era costituito dalla superata ma pur sempre valida galena, costruita nel Lazarettlager di Zheithain, usata e custodita fino a dopo la liberazione dal cappellano P. Luca Airoldi. Nella seconda invece si utilizzava una vecchia valvola, la 1Q5, recuperata da una radio sfasciata, talmente usata che il bulbo si stava staccando dall’ampolla.

 La Caterina in oggetto ha avuto un promotore di indubbio spessore: Giovannino Guareschi, anche lui ospite in quel Lager X B, a Sandbostel, vicino a Brema. Ne ha parlato nel Diario clandestino 1943-1945, Rizzoli 1949,  e credo fosse di Guareschi anche l’articolo che io avevo ritagliato. Lo scrittore commentava così la situazione degli italiani nei lager: “Fummo peggio che abbandonati, ma questo non bastò a renderci dei bruti: con niente ricostruimmo la nostra civiltà. Sorsero i giornali parlati, le conferenze, la chiesa, l’università, il teatro, i concerti, le mostre d’arte, lo sport, l’artigianato, le assemblee regionali, i servizi, la borsa, gli annunci economici, il centro radio, il commercio, l’industria, …”.

 Radio Caterina 3

Come realizzarono quella radio ricevente i prigionieri ?

 Le dimensioni erano: cm 10 x 9 x 5. La nascondevano dentro a una gavetta.

I Componenti:

 1) - Per l’accensione della valvola occorreva una batteria, una pila. “Un ex vasetto d’estratto di carne contenente un pezzo di carbone avviluppato in uno straccio e un pezzetto di lamiera di zinco tagliato dalla rivestitura dei lavatoi, il tutto immerso in una soluzione di sale da cucina e ammoniaca, quest’ultima ottenuta dosando opportunamente orina e capelli”.

Un’altra batteria fu costruita con: “un astuccio rotto di vecchia pila; venti monete da due soldi racimolate in giro fra i seimila ufficiali; venti dischi di zinco (anche questi tagliati dalla rivestitura delle vasche di legno dei lavatoi); venti dischi di panno ritagliati dalla coperta di Talotti; acido acetico recuperato da scatolette di sottaceti arrivati nei pacchi che pochi fortunati ricevevano”.

  2) – La Valvola 1Q5 è l’unico pezzo non costruito in loco e, come detto, molto usurata e con l’ampolla prossima a staccarsi dal bulbo. Per ovviare i costruttori la saldavano con il catrame delle coperture delle baracche. Per camuffarla era stato elaborato a dovere il fondo di una borraccia.

3) – I condensatori fissi erano fatti con stagnola, cartine da sigarette e, aggiunge l’autore, “un numero imprecisato di espressioni poco educate nei riguardi del destino”.

 4) - Il condensatore variabile, necessario per trovare la sintonia, (quello che abitualmente  viene mosso con una manopola graduata), lo hanno realizzato con “lamelle di una scatoletta di carne e pezzetti di celluloide tagliati dalle buste portatessere”.

5) – Al posto della manopola c’era una leva di latta verniciata con catrame.

 6) “L’antenna era una cosa divertentissima in quanto consisteva in un pezzo di filo che partiva dal suo chiodo fisso e aveva il capo libero saldato a un pezzo di stagnola. Durante la ricezione il pezzo di stagnola veniva stretto fra i denti di Oliviero (l’operatore) il quale, da ufficiale prigioniero si trasformava così in antenna di capacità variabile”.

 7) – Resistenza fissa: “Carta della margarina dentro cui si metteva grafite di matita e con le solite espressioni poco educate”.

 8) – Bobine, antenne, sintonia, variometro: il cilindro era costituito da un portasapone da barba, e i fili isolati erano ricavati dal così detto “filo del crucco”. Un cartone sagomato a cilindro faceva da supporto per la bobina, e, per isolare, si usava cera di candela, chiamata pomposamente paraffina. Il filo del crucco e i magnetini per la cuffia hanno una storia propria: “Il trovarobe si mise alla ricerca di filo isolato, ma in un lager non è facile trovare questa roba. Allora osservò che il sergente della Gestapo addetto all’ufficio dei pacchi lasciava ogni giorno per alcune ore la bicicletta appoggiata fuori della baracca. Studiò gli orari e una bella mattina, a pochi metri dalla sentinella della torretta, svitò la dinamo del fanale, tolse filo e magnetini e tornò a riavvitare la ex dinamo alla bicicletta. Di qui la denominazione filo e magnetini del crucco. Fu una delle operazioni più ingegnose dell’ingegner Martignago”.

 9) – La cuffia: un barattolino di latta, un dischetto di cartone, i magnetini del crucco, e filo isolato ricavato da “qualche Manolux sfuggita alle perquisizioni”. La Manolux era una torcia elettrica che funzionava a dinamo azionata a mano mediante una leva con molla di ritorno.

 10) – La stazione ricevente era una cameraccia adibita a magazzino, “piena di stracci pidocchiosi e di zoccoli spaiati e fangosi”. In un angolo c’era anche un letto a castello sfasciato. “Il tenente Oliviero si appollaiava su una traversa orizzontale del secondo piano, con una gamba a penzoloni nel vuoto. Cuffia all’orecchio fissata con un asciugamano, con la mano sinistra sorvegliava i comandi della Caterina e con la destra scriveva. La gamba penzolante si alzava o si abbassava continuamente. Questa era la regolazione micrometrica del comando di reazione”.

 “Questa è la Caterina, e con questa trappola la gente sepolta nei lager seguiva le vicende del mondo dei vivi”.

 Caterina articolo

Col tempo ho scordato qualche particolare, ma potere rileggere quelle informazioni mi ha riportato agli anni del liceo, a quando anche la nostra squadra di sperimentatori (eravamo in tre con la mansione di elettricisti del Collegio) disponeva di una galena clandestina e potevamo ascoltare il notiziario favoriti dalla vicinanza alla emittente di Firenze. Grazie alla posizione non servivano lunghi fili per antenna ma bastava collegare il breve spezzone alla rete del letto con un coccodrillo (morsetto dentato).

  • I testi riportati tra virgolette e in corsivo sono di Guareschi.
  • Secondo Ugo Dragoni furono realizzate almeno otto radio clandestine nei vari Lager, quattro delle quali a Sandbostel: Caterina, Mimma, Teresina, GEA (quest'ultima fu custodita dal Dragoni durante la prigionia). Di tutti questi ricevitori solo tre sono stati conservati e sono esposti al Museo dell'Internato Ignoto di Padova: Caterina, Radio Cestokova e la galena di Zheithain.

2 COMMENTS

  1. Mio padre, Cosimo Onnis, nato a Tiana il 28/02/1908, finanziere, fu fatto prigioniero in Grecia il 09/09/1943. Era internato a Sandbostel, numero del prigioniero xb 207029; liberato dalle forze inglesi il 15/04/1945 rientrà in Italia 18 agosto 1945. Mi ha sempre parlato della radio e della bandiera fatta a pezzi e distribuita ai colleghi per non darla ai nazisti. Se sapete dirmi qualcosa sul numero xb 207029 fatemi sapere (Carlo Onnis – via Sestu n°8 – 09030 Elmas CA). Grazie.

    (Carlo Onnis)

    • Firma - carlo onnis