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Un Natale disincantato se l’Appennino versa in abbandono

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Alcune settimane fa, durante un breve soggiorno in un Paese dell’eurozona che viene dato tra quelli economicamente più solidi e forti, anche sul piano industriale, ho avuto modo di far visita ad un maestoso Santuario, eretto circa tre secoli fa a memoria di eventi miracolosi ivi accaduti, e che ancora oggi è meta di un pellegrinaggio molto intenso.

 

Credo anche che per la sua specificità architettonica, e il pregio delle sue opere, figuri tra i Patrimoni dell’Umanità Unesco, e in ogni caso sono centinaia di migliaia i fedeli e i turisti che, a detta di chi ci accompagnava, vi si recano annualmente, di diversa provenienza e nazionalità.

 

Quanto a collocazione, il Santuario sorge accanto ad un borgo rurale, in una campagna ondulata, che potremmo definire collinare anche se di conformazione un po’ diversa dalle nostre, contraddistinta da un alternarsi di fattorie, tutte in attività, immerse fra prati, coltivi e aree boschive.

 

Orbene, una delle stalle del borgo dista poche decine di metri dal sagrato del santuario, e i recinti dei terreni dove pascolano gli animali arrivano a sfioralo, e davanti a questo “bucolico” scenario, per noi oggi piuttosto insolito, o raro, stando almeno alla mia esperienza, mi sono rivolto la classica e retorica domanda: sogno o son desto ?

 

Proprio in questi giorni mi è venuto di ripensare a quel luogo nel recarmi in una località del nostro Appennino, pur se non quello reggiano, presso alcuni conoscenti che, in occasione di queste Festività Natalizie, stavano allestendo un presepe vivente, anche per richiamare visitatori e vivacizzare in tal modo quella loro borgata, cui sono molto affezionati pur se vi abitano ormai soltanto poche famiglie.

 

Per raggiungere tale località ho attraversato zone nelle quali non passavo da anni e le ho viste profondamente trasformate rispetto a come io le ricordavo, molto popolate e piene di vita, mentre adesso sono parecchie le case vuote e in disuso, e non meno numerosi sono i poderi dismessi, con gli incolti che sostituiscono piano piano i campi di una volta.

 

Nell’osservare questa situazione, che è peraltro comune a diverse parti del nostro territorio nazionale, montano e non, mi è venuto naturale e spontaneo fare mentalmente un confronto tra questo stato di apparente abbandono e i luoghi di quel Santuario, nei quali si avverte bene la presenza dell’uomo, e del suo lavoro, pur se in grande armonia con l’ambiente circostante, e dove sembra altresì esservi un buon livello di benessere economico.

 

Nel contempo mi sono pure chiesto - con una punta di disillusa amarezza - perché mai anche da noi non sia successa la stessa cosa, e se non sia possibile e far sì che le nostre valli e frazioni abbiano a ripopolarsi di famiglie che riescano a trovarvi opportunità occupazionali e, più in generale, condizioni tali da risiedervi in modo stabile.

 

La risposta che in tal senso mi sono dato deve essere giocoforza disincantata, e non è pertanto entusiasmante, ma non può tuttavia non confortare ed incoraggiare il forte legame e l’attaccamento ai propri posti che stanno mostrando persone ancora abbastanza giovani, come quei nostri conoscenti, sentimenti che possono fare da stimolo e traino per altri sul punto di lasciare o che, semmai, e con percorso inverso, stanno invece valutando se farvi ritorno dopo aver soggiornato altrove.   (P.B.)

1 COMMENT

  1. Perchè si può ragionare anche come in un fondo comune di investimento finanziario in cui il guadagno e le perdite sono ripartite in funzione delle quote sottoscritte. Se certe zone erano e sono poco popolate ed economicamente poco sviluppate debbono in proporzione rimanere così sia in fase di crescita che di diminuzione, perchè la ripartizione non può cambiare senza stravolgere tutto. Basta ragionare a livello dei municipi per vedere come lo sviluppo e il suo esatto contrario si sono mossi.

    (Il fumoso)

    • Firma - il fumoso