“La perdita del lavoro determina un vero e proprio sconvolgimento, portando spesso con sé una crisi di identità e di status individuali, familiari e sociali, visto che la nostra cultura ci porta a credere che siamo ciò che facciamo e ciò che abbiamo” afferma Luciano Semper, segretario della Fnp Cisl. Che fare? Se ne è discusso al seminario Cisl “Crisi… disoccupazione… disagio… violenza familiare…: quali connessioni?” promosso dal Coordinamento donne Cisl, Coordinamento donne Fnp, Fnp Cisl e Cisl Reggio Emilia si è affrontato il tema. Punto di partenza il mondo maschile: perché quando a perdere il lavoro è l’uomo, si assiste anche ad un capovolgimento di ruoli – hanno condiviso i relatori – mentre, generalizzando, la donna disoccupata oltre al lavoro riesce a impiegare il proprio tempo. La parola ‘casalingo’ non esiste ma è la condizione nuova in cui si ritrova a vivere l’uomo disoccupato, che improvvisamente si trova a dover gestire casa e famiglia, come nel film “Full monty – squattrinati organizzati”, tornato d’attualità. Tra le implicazioni vi è il rischio che si possano scatenare meccanismi aggressivi e violenti, che non per forza sono sempre fisici; possono essere verbali, gestuali, e possono essere scatenati da tutti ed ognuno dei componenti della famiglia.
“Non ci sono dati su questo aspetto della disoccupazione - osserva Margherita Salvioli Mariani, segretaria generale della Cisl di Reggio Emilia -, ma è un problema da affrontare. Ogni persona reagisce alla perdita del lavoro in modo diverso: come sindacato ci poniamo domande e ragioniamo assieme su cosa scatena la violenza e su come porvi rimedio. Non basta agire solo sulla manifestazione del disagio (a volte fisica, dell’uomo verso la donna, altre volte psicologica della donna verso l’uomo che ha perso il lavoro). Tra le ipotesi, quella di creare una rete di relazioni tra chi il lavoro lo ha perso: raccontare il proprio vissuto, condividerlo con altri che stanno vivendo la stessa esperienza, permette di superare la solitudine e può anche far scaturire elementi di proposività e creatività. Cercheremo la collaborazione dei servizi, sociali e sanitari, e con le altre associazioni reggiane per costruire questa opportunità
“Certo è che fattori che generano la violenza sono molteplici – ha spiegato la dottoressa Lorena Ficarelli, sociologa responsabile del servizio sociale dell’Ausl di Reggio Emilia – e a volte ad essere violenta è la donna. Più spesso è l’uomo che riflette nella violenza la sua insicurezza che, oltre a motivi economici, attinge anche a motivi culturali. Si tratta di sconvolgimenti notevoli: la persona che si ritrova senza denaro…ha vissuti emotivi tra cui la vergogna,la solitudine e la rabbia che possono portare ad atti violenti. Da qui la necessità di contenere il disagio e supportare la persona a trovare i propri mezzi e risorse per fronteggiare in modo adeguato la situazione”.
I preamboli? “Spesso l’uomo che usa violenza è stato a sua volta oggetto di violenza. L’uomo che maltratta non va giudicato, ma aiutato a risolvere i suoi problemi. Occorre sviluppare l’idea che noi non siamo ciò che facciamo, noi siamo oltre l’identità lavorativa!”
“Non bastano le quote rosa per tranquillizzare le coscienze, ma occorrono gesti concreti. Sono situazioni che si vivono con maggiore pressione quando ci si avvicina all’età della pensione e non ci si potrebbe immaginare di doversi rimettere in gioco – ha aggiunto Luciano Semper, segretario provinciale Fnp Cisl di Reggio Emilia – ne riflettiamo assieme in occasione della giornata internazionale dell’Onu Contro la violenza sulle donne, del 25 novembre, voluta sin dal 1981 per ricordare la tortura e il massacro delle tre sorelle Mirabal, il 25 novembre del 1960 ad opera del regime della Repubblica Dominicana”.
“Chi è disoccupato e partecipa a manifestazioni nelle piazze a volte vede aumentare la propria aggressività – ha spiegato il dottor Sergio Cecchella, psicologo della Ausl di Reggio Emilia – Questo perché dopo un semplice confronto o anche l’ascoltare un semplice dibattito televisivo purtroppo genera ulteriore disagio in chi è senza lavoro che sente accrescere la propria condizione di difficoltà. Di fronte alla realtà l’uomo non riesce ad affrontarlo, perde il proprio status nel quale, storicamente, è abituato a dominare più con la forza che con l’uso della mente. La risposta si trasforma in aggressività non controllata, purtroppo verso il più debole, la donna, i minori, a volte verso l’esterno, sino al gesto estremo del suicidio. Nel contesto evolutivo non abbiamo ancora grandi strumenti per affrontare questi cambiamenti, mentre la società non offre adeguate soluzioni; la famiglia spesso è la prima a fronteggiare la situazione di disagio”.
Citando papa Francesco: “La preoccupazione principale oggi deve essere il lavoro e la famiglia”.
Tra gli interventi quello di Loris Cavalletti, segretario della Fnp Cisl Emilia Romagna: “Molta della sofferenza che viene dalla disoccupazione viene anche da una concezione che abbiamo del vivere. Dobbiamo uscire dalla mentalità della crescita a tutti i costi, del consumismo, dell’economia a tutti i costi”. “Questi sono temi sindacali - ha rimarcato Marianna Ferruzzi, responsabile del Coordinamento donne Cisl Emilia Romagna – sono uno spaccato della nostra vita quotidiana dei quali dobbiamo dare risposte”.
“Una esperienza culturale nuova è possibile", ha affermato Simonetta Sambiase, responsabile del Coordinamento donne Cisl di Reggio Emilia. E’ stato così presentata l’antologia poetica Cuore di Preda, curata dalla professoressa Loredana Magazzeni, costruita intorno al tema della violenza contro le donne.
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Da segnalare che promosso sempre da Cisl Reggio Emilia, Fnp Cisl, Coordinamento donne "Le idee che si realizzano" martedì 25 novembre p.v., presso la sala consiliare di Castelnovo, si terrà l'incontro "Donne e violenza... problema attuale. A chi chiedere aiuto?" con gli interventi di Maria Luisi Muzzini, responsabile Ausl di Castelnovo ne' Monti e di un rappresentante dell'Associazione "Non Da Sola" di Reggio. A seguire il dibattito.
Che la violenza aumenti in una situazione di stress e disagio è sufficientemente retorico. Quello che però mi stupisce è che nonostante ci sia la convinzione dell’esistenza di una serie di servizi, fiore all’occhiello dell’Emilia, solo chi è costretto a vagare da quella casella fantasma all’altra sa, in realtà, dell’insussistenza di qualsiasi mezzo utile anche ad un piccolo miglioramento esistenziale. Parlando poi dell’aggressività bisognerebbe saper valutare quanto e cosa possa scatenare l’alienazione provocata da questa inconsistenza di servizio (uso questo termine per non dire qualcosa di più volgare). Ovvero, se ci si trova in uno stato di bisogno e vengono illustrati come una bella copertina una vasta serie di servizi, competenze, tutele, ma alla fine del giro ci si trova ad essere di nuovo al punto di partenza come al gioco dell’oca, la violenza che semmai si è subita per altro, cala o aumenta? Vorrei poi aggiungere un’ultima considerazione sulla violenza alle donne: essendo che non per caso ho chiesto in ogni modo aiuto in questi anni, da istituzioni, amministrazioni, associazioni (tra le quali “Nondasola” che ha ben rifiutato confronti sui lavori con le vittime di violenza ma ha anche rifiutato forme di collaborazione con vittime di violenza, cosa che ritengo non poco grave), pur essendo d’accordo sul fatto che ci si debba occupare degli uomini violenti (anche perchè la giustizia pare non farlo), mi chiedo perchè in tutti questi anni non ci si è preoccupati della prima cosa fondamentale, ovvero aiutare le donne a reinserirsi nel mondo del lavoro. Trovo allarmante che ancora una volta si pensi a restituire l’uomo in società e non la donna che ha subito. Ricordo da dati rilasciati dalla stessa associazione (ricordando anche che la raccolta dati costa e deve avere un senso progettuale), che il 67% delle donne che si sono rivolte (non uso il termine “accolte” perchè per noi ha un senso ben diverso), è italiana, cultura medio-alta, ceto medio-alto. Presentare progetti per: prendere la patente – scuola d’italiano – e scuola di cucito, si può pensare di essere efficaci? Se poi ogni iniziativa esclude le vittime di violenza se non per il numero che ci viene affibbiato di utente (perchè i numeri sono quelli che contano) e le iniziative finiscono per forgiare e arricchire sempre in circuiti “amichevoli” delle associazioni stesse, quali finalità hanno queste progettualità messe in campo? Capita per paradosso e demagogia politico-sociale che le vittime sopravvissute agonizzino sotto la violenza di secondo livello che gli viene imposta da questo sistema e semmai, giusto per completare l’immagine di “salvatori” al carnefice gli diamo un bel sussidio e un lavoretto!
(Marzia Schenetti)